Inciso tra le lettere

I miei radar sono sempre all’erta quando si tratta di cercare nuova musica da ascoltare. Quando però l’artista in questione non è particolarmente noto a livello internazionale, tanto meno in questo paese, capita che perda qualche colpo. Ma ogni tanto scorro i nomi della mia collezione e mi aggiorno su i più silenti. Mi è balzato all’occhio il nome di Kristoffer Bolander, cantautore svedese ex frontman degli Holmes. Scopro così solo pochi giorni fa che lo scorso anno a pubblicato il suo terzo album solista, intitolato semplicemente 3. Mi sono subito precipitato ad ascoltare la voce unica di Bolander senza perdere altro tempo, ero già clamorosamente in ritardo.

Kristoffer Bolander
Kristoffer Bolander

L’album si apre con The Child, introdotto dalle fragili note di una chitarra. La voce di Bolander si conferma magnetica e unica e da sempre dà un tratto riconoscibile alla sua musica, “Head off and walk alone, let it reach you boy / Head off and walk alone, through the storm / Head off you’re not alone, find your reasons boy / Get up we’re all alone, you’ve seen it“. Am I Wrong? percorre sonorità più indie rock, sulle quale si rincorrono le parole. Una delle canzoni che preferisco di questo album, nel quale si mescolano passato e presente di questo cantautore, “I’ve been stalling out / Pretending I’ve come to fight it off / And have ascended high / If I had a coin for every time I’ve lied / I’d retire alone, to a private isle“. La successiva Evelyn è un delicato folk pop che rivela tutta la sensibilità di Bolander. Il desiderio di confidarsi, di cercare una spalla per i momenti difficili. Una canzone orecchiabile e ben scritta, “Evelyn, I’m in the city / And I’ll no longer hide from you / Evelyn, it’s somewhat silly / But I would like to confide in you / It’s been years since I saw you / I’ve been spinning / It’s been years since I broke the truce“. Replace Me è una canzone che riprende le sonorità più più oscure degli album precedenti. La voce emerge sulla musica, graffiata dal suono della chitarra, “There’s someone caught up / That’ll obtain my spot / Let someone else be brought up / I’m not the one that you thought / I’ve given all I’ve got / Now let me be absolved“. The Rogue segna un ritorno al folk. Una chitarra acustica in sottofondo lascia spazio al canto di Bolander nella prima metà, per poi essere spazzata via dal suono più profondo della sorella elettrica, “I outgrew remorse / Portrayed what they saw / I’d lie and steal to sustain / Once I’d hasten to help / I was shunned because I strayed / And now what you’ve dealt we shall play / Had you known“. Le sonorità degli Holmes riemergono prepotentemente nella bella Attaboy. La chitarra di Bolander galoppa tracciando la melodia e regalandoci una delle canzoni più belle dell’album, “And the wealth she’ll offer you / Carrying ease and gold / You’ll be walking around asleep, send her on / And the gray suits will come for you / Trying to plead enrollment / You’ll be marching to their beat / Let em leave alone“. Her World è una delicata ballata indie rock poetica e luminosa. Kristoffer Bolander dimostra tutto il suo talento di cantautore, “Winter sleeps / The frost is thawed / She’ll abdicate her throne / The birds in return / Relieve my concerns / I fall asleep alone“. L’album si chiude con The Animal, un brano teso ed oscuro. Il canto si insinua tra le note di una chitarra, dando vita ad immagini vivide e potenti, “I thought it would come together / The soon I’d become / Engraved amongst the letters / And then I’d belong / And I have been brought along / Leeching like an heir / But it’s like I’ve forgotten something / You seem to share“.

Kristoffer Bolander con 3 mette a fuoco la sua carriera solista, trovando maggiore equilibrio tra il suo passato folk e la sua anima rock. Si alternano canzoni delicate e positive ad altre più malinconiche e criptiche. La voce e la chitarra restano le sue uniche due costanti, sempre riconoscibili ed efficaci, capaci di toccare le corde giuste di chi ascolta. 3 è un album prezioso e per certi versi fragile che mette in evidenza la sensibilità di questo autore, un po’ in contrasto con la sua immagine sicura e severa, che appare sempre più come una corazza che come lo specchio della sua anima.

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Vorrei solo avere più tempo

Gli ultimi mesi dello scorso anno sono stati caratterizzati da numerose uscite discografiche interessanti ma che non hanno trovato spazio su questo blog. C’è ancora un po’ di tempo prima che febbraio porti con sé nuovi album e quindi sfrutto l’occasione per consigliarvi un album uscito lo scorso novembre. Si intitola Pohorylle e segna il debutto della cantautrice americana Margo Cilker. La sua è stata una vita in viaggio, tra l’Oregon e i Paesi Baschi, segnata da problemi con l’alcol. Tutto questo ha influenzato la sua musica e questo album dalle sonorità genuinamente country.

Margo Cilker
Margo Cilker

That River dà inizio all’album e subito ci cattura con il ritmo e la melodia che introducono la voce giovane ma ruvida della Cilker. I riferimenti all’Oregon e al fiume Minam si mescolano a quelli della Spagna, in un flusso di ricordi, “Out driving past Minam / When the moon came up / I could see her, I had a fever / Lit by the troubles of love / I was asking a question, what did she say / She was answering one from yesterday saying“. Kevin Johnson è un honky tonk vecchia scuola che racconta istantanee di una vita immaginata ma fatta di piccole cose reali. Una delle canzoni più orecchiabili di questo album, “Kevin Johnson took a bonny wife / Kevin Johnson took a bonny wife / But when the two lay down to bed / There was a rattle in her head / Kevin Johnson took a bonny wife“. La successiva Broken Arm In Oregon ed è ancora un viaggio nei ricordi che fanno emergere un sentimento di malinconia perfettamente veicolato dallo stile americana, un territorio sicuro per la Cilker, “I took a tumble on a mountain / And it rattled up a few things / But I was singin again by the time I made it down / Now I fight the urge to ramble / With every three-egg breakfast scramble / And I marvel at hot water as it leaves the tap“. Flood Plain è una ballata triste che fa emergere il lato più riflessivo e intimo di questa cantautrice. Una canzone che prova a trovare un pace in un animo irrequieto, “The textures we live for / The vices we chase / They’re all out on a flood plain / That the tears inundate / So if you don’t like yelling / You ain’t one to cry / Find a brackish imitation / To keep those suckers alive“. Di tutt’altro tenore la successiva Tehachapi. Una canzone si un amore finito all’improvviso ma che non cede alla disperazione. Un’altra dimostrazione del talento e della capacità della Cilker, “Wasn’t much of a warning / He disappeared one morning / Put his mattress up on the back of a pickup truck / I’d been workin’ / My shoulders were hurtin’ / I was learning how to turn my muscles into somethin’“. Barbed Wire (Belly Crawl) è una riflessione sulla vita, sul sentirsi legati irrimediabilmente a qualcosa. Anche questa è davvero un ottima canzone, ben scritta ed interpretata, “There’s a barbed wire fence way down in the canyon / Are we inside or outside the line? / You step over it / I go through it / And the kid belly crawls cause they’re five“. Chester’s affronta il tema della solitudine con una ballata lenta e triste. Margo Cilker si mostra sensibile e capace di trovare le parole giuste per esprimere i suoi sentimenti, “I’ve made my bed on the side of the road / Seen my good friends get married and then feel alone / I’ve seen the drunks in a line at Chester’s / I can’t let myself get lonely no more“. Brother, Taxman, Preacher è ancora un country vecchia scuola, da saloon, con il quale la Cilker si diverte ad immaginarsi nei panni di chi è sicuro di sé e decide della vita degli altri, “I wish I was a preacher / I could tell you who to love / I could tell you who to vote for / Who to pity, who to fuck / I wish I was a preacher / I’d know what it means to know everything“. La ballata Wine In The World chiude l’album, cercando di racchiudere dentro di essa i momenti difficili della sua vita come la dipendenza dall’alcol e la perdita del nonno, “A funny thing happened this last time I was out traveling / Nobody’s lives stood still / My grandfather tended to his bees and his garden / And we lost him on the first of the year / I’m a woman split between places / I’m gonna lose loved ones on both side / It’s my life- I can relate create participate / I just wish I just had more time..“.

Pohorylle è un viaggio fisico e non attraverso il tempo e la vita di Margo Cilker. Un debutto che ci fa conoscere, dopo vari EP, una cantautrice di sicuro talento che sa tirare fuori l’anima migliore della musica country, affidandosi alle esperienze personali e ai ricordi. Un album che alterna canzoni orecchiabili e spensierate ad altre più riflessive e meno accessibili. Se Pohorylle è solo l’inizio, allora è lecito immaginarsi una carriera ricca di soddisfazioni, che già comincia con la partecipazioni di artisti di tutto rispetto che hanno collaborato con lei in questa occasione. Un album di grande impatto, fatto di ottime canzoni country.

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Mi ritorni in mente, ep. 81

Riprendo questa rubrica, la quale è, per così dire, ferma dall’agosto dello scorso anno. Lo faccio per consigliare un album uscito a novembre intitolato Best Self. Dieci canzoni firmate dalla cantautrice americana Hayley Johnson ma presentate con il nome del suo progetto The Little Miss. Di lei avevo già ascoltato il precedente Pollyanna del 2017 che offriva una collezione di sue canzoni in una versione acustica e dalla produzione scarna, se non del tutto inesistente. Ma mi ha fatto apprezzare la voce unica e carismatica della Johnson.

Best Self ripropone alcune di quelle canzoni e ne aggiunge altre inedite, tutte accompagnate da una produzione più ricca e varia. Difficile definire lo stile di The Little Miss ma forse la definizione più corretta è quella della sua pagina Bandcamp: folksy nonsense. Il suo approccio è country e a volte malinconico come vuole la musica americana ma c’è sempre un ironia di fondo che le permette di spaziare verso sonorità indie. Un mix di stili ben riuscito. Non sapendo quale canzone scegliere tra le dieci, ho pensato bene di proporvi tutto l’album che merita un ascolto per intero.

Troppo tardi per scrivere una canzone d’amore

Questo è il periodo più adatto per dare spazio agli album dello scorso anno che mi sono piaciuti ma che non ho avuto modo di consigliare su questo blog. Non sono pochi ma ho scelto di partire dalla cantautrice americana Riddy Arman e il suo disco di debutto omonimo. La sua ascesa è iniziata con un video per il canale youtube Western AF (da seguire per chi vuole scoprire ottimo country). Questo album nasce dalla necessità di raccontare i dolori e le difficoltà della vita. La semplicità e la sincerità di questa artista mi hanno subito catturato. Basta davvero poco a volte per avere la mia attenzione.

Riddy Arman
Riddy Arman

Spirits, Angels, Or Lies è dedicata al padre scomparso e apre l’album nel migliore dei modi possibili. Il padre racconta di aver ricevuto la visita di Johnny Cash, morto però quella stessa notte. Un storia commovente, “He said, ‘You won’t believe who came to my bedside / Johnny Cash on a freight train, sometime in the night / Well, he wanted me to go along for a ride / But, I told him I would stay for my children and my wife’“. Half A Heart Keychain è la canzone di un amore finito male. Una canzone country intrisa di malinconia, sorretta dal suono delle chitarre, “Should have stopped before I started / I’m a forlorn lonely loner out of love / Just a forlorn lonely loner out of love / And I hope she gets to keep the keys to your heart / Don’t you dare leave her like you left me standin’ in the dark“. Barbed Wire è una canzone che sembra arrivare direttamente a cavallo dalle praterie del west. Un country genuino, illuminato dalla voce carismatica della Arman, “There’s one thing he wants and can’t seem to find / So he sits atop his horse as his dog trails beside / Seeking freedom from his mind under sunny desert skies / The wind will dry his tears that fall as if he’s never cried“. La successiva Both Of My Hands è più oscura e triste. Un testo essenziale ma profondo racconta di un disagio da affogare nell’alcol, supportato da un accompagnamento musicale da brividi, “This kitchen stove / Warms the same dinner twice / And I have not dealt with / The sign of the mice / And I pass the bottle around / To both of my hands / There’s a stillness in the air / That makes me wanna drown“. Help Me Make It Through The Night è una splendida e disperata ballata che viaggia sulle note del pianoforte. Un sound classico ma sempre efficacie,”Take the ribbon from my hair / Shake it loose and let it fall / Laying soft against my skin / Like the shadows on the wall / Come and lay down by my side / ‘Til the early mornin’ light / All I’m takin’ is your time / Help me make it through the night“. Herding Song racconta la vita quotidiana di un pastore che non sopporta più di vivere in città. Una canzone breve ma ricca di significati, “Well, that was then / And, this is now / I moved to the city and it’s breaking me down / My boots haven’t seen horse shit in weeks / Now it’s just the city that stinks“. Segue Old Maid’s Draw, una lenta ballata che racconta uno scorcio di vita rurale. La Arman continua ad incantare con la sua voce ferma e sincera, “Up the Old Maid’s Draw where the grass is green / The wolves a little mean and the arrowleaf’s tall / Where the meadowlarks sing to the cows bellowing / And the rhubarb grows out of rocks“. Too Late To Write A Lovesong è una riflessione sulla propria vita. Questa volta oltre alla melodia c’è un ritmo trascinante che accende la speranza, “Moved away from our old home / It felt too wrong with you gone / Miss the sunrise in our windows / And it’s too late to write a lovesong“. L’album si chiude con Problems of My Own che ritorna alla ballata malinconica. Una dura presa di coscienza che l’età porta con sé. La voce della Arman è diretta e il testo non lascia spazio ad interpretazioni, “The older I get, the more pain in these people that I see. / There’s lies that are kept, for a comfort that needs settin’ free. / Someone’s gotta go, somebody’s gotta leave. / And I know, that somebody is me“.

Riddy Arman, questo è semplicemente il titolo dell’album, di fa scoprire una cantautrice di talento che ha fatto della musica e della scrittura una sorta di terapia per superare i momenti difficili della vita. Un album molto diretto e sincero che in alcuni momenti sembra chiudersi in sé stesso ed in altri aprirsi, mostrando le ferite che porta dentro. Riddy Arman è tra quegli artisti che stanno riportando il country alle sue origini sfruttando le tante emozioni, positive e negative, che questi anni difficili stanno risvegliando. Un nome da aggiungere ad una lista sempre più numerosa e viva.

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Sognare al rallentatore

Tra gli artisti dei quali attendevo l’album di debutto c’è sicuramente il nome di Danielle Lewis, cantautrice gallese con alle spalle vari EP. Una delle sue caratteristiche principali è senza dubbio la voce meravigliosa, inizialmente al servizio di un folk melodico e poi di un folk pop dalle sonorità alternative. Questo Dreaming In Slow Motion ha iniziato a prendere forma già un paio di anni fa e i singoli che lo hanno anticipato lasciavano intravedere le sue atmosfere e le sue sonorità. A Danielle Lewis l’onore di chiudere un anno consigli di questo blog per il quale è arrivato il momento di tirare le somme.

Danielle Lewis
Danielle Lewis

Woman Like You ci apre al mondo etereo della Lewis. La voce ci avvolge e la musica riempie l’aria, attirandoci a sé. Delicatezza e forza si incontrano e lasciano il segno, “A place of kindness / Was your kingdom / A home with many to grow / You gave me strength, imagination / To a girl awaiting the world“. La title track Dreaming In Slow Motion è semplicemente meravigliosa. La voce è melodia pura e si apre verso spazi infiniti. Danielle Lewis mette in mostra tutte sue capacità, sia come scrittura che come canto. My Youth viaggia su leggere note folk pop, venate da un sentimento di malinconia. L’accompagnamento musicale è più ricco ma non nasconde la voce, “I was last seen at sea / Until you came over me / The lightning doesn’t strike / The same place twice / I will let my youth wash over you / If we don’t come through / I won’t make you / I won’t lose my youth“. Flower esprime un desiderio di rinascita, come un fiore che aspetta la primavera. Il canto della Lewis è musica ed incanta, “Light, leave me to grow / I can find my own way home / Glow, lay me to bloom / Embody me alone / I am a flower / I need the rain / Like moon the moves the water / I breathe in your air“. La successiva In My Sleep è tratteggiata sulle note di un pianoforte ma ancora una volta è la voce, qui particolarmente impalpabile, a fare la differenza, “I see a silhouette in dreams, in my sleep, / Guide me like I’m a fantasy, / Through the night, / Whispers in my mind in the silence / A presence by my side in the darkness / I’ve felt in my sleep“. Slow, Sad And Real è tra le mie preferite di questo album. Una canzone dal testo oscuro e affascinante che si apre in un ritornello meraviglioso, “I’m a warrior, a barrier / Stick to what I’m needing / Lose what I believe in / I’m an animal, a criminal / Tempted by the wrong things / Shut down by these feelings“. Temporary prosegue su sonorità eteree, esaltate dalla voce della Lewis. Non molto lontano dalle sonorità degli esordi, questa canzone è tra i momenti più alti di questo disco. Segue Life Of Worth che si libra leggera nell’aria grazie ad un ritornello che è un piacere per le orecchie. Qui musica e voce si fondono in perfetta armonia. Let Me Imagine è essenziale e il canto è musica. La voce della Lewis è pulita e sempre venata di una certa malinconia capace di dare un tratto unico alle sue canzoni. Help Me chiude l’album e lo fa con sonorità marcatamente più folk. Una ballata moderna e ispirata che ben s’addice alla voce di quest’artista.

Dreaming In Slow Motion è un ottimo debutto che rivela la capacità di Danielle Lewis di prendere ciò che c’era di buono nella sua produzione precedente e riproporlo in una chiave più moderna e personale. Al centro resta la melodia, incarnata dalla voce e intorno ad essa di dispiegano suoni a volte elettronici ed altre più acustici. In Dreaming In Slow Motion le traccie sono coerenti tra loro anche se frutto, probabilmente, di un lavoro durato più anni. Danielle Lewis debutta quindi con un disco più che convincente, ben al di sopra delle mie personali aspettative. Sono contento per lei ma anche per me, che mi scopro ancora capace di sorprendermi per un po’ di musica.

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Le nuvole corrono nel cielo

Questo autunno è stato davvero ricco di nuovi album e spero di riuscire a chiudere l’anno con pubblicando qui tutti i consigli che meritano un ascolto. Tra questi non può mancare Wonderful Oblivion delle sorelle australiane Mabel e Ivy Windred-Wornes, in arte Charm Of Finches. Il loro terzo album è uscito lo scorso ottobre ed ero sicuro che avrei trovato di nuovo le melodie e le voci cristalline del duo che già nell’ultima occasione aveva dimostrato una crescita significativa. In questa stagione (fredda e buia da in questo emisfero) non c’è niente di meglio che ascoltare questo folk oscuro e nuovo.

Charm Of Finches
Charm Of Finches

Concentrate On Breathing apre l’album con le voci delle sorelle unite in perfetta armonia. Una canzone eterea ed evocativa che ci invita a tornare all’essenziale e vivere appieno, ispirata dal lockdown, “Ooh, try to concentrate on breathing / And let your thoughts fall like water to the floor / When you put a name to what you’re seeing / Know that it’s all just the trick of the light / As simple as that“. Gravity è guidata da un accompagnamento scarno che sostiene le voci, qui tristemente ipnotiche. Una canzone con un testo molto intenso e toccante, “We all believed in a dream where she was alive and well / No one told us she was falling down then one day she fell / Couldn’t tell nobody in this whole damn world / Now we’re drunk on the floor watching it all unfurl“. La successiva Gravity si affida alle note del pianoforte per tessere una riflessione sul mondo di oggi e sul suo futuro. Tutto sembra cadere a pezzi e ci sembra di impazzire, “I watch the smoke form towers rising up to the heavens / The trees were screaming ashes as we wielded our weapons / Once the sky was blue / We could see a clear window view“. Pocket Of Stones è un’altra bella canzone dove le voci delle due sorelle ci spingono a liberarci di ciò che pesa sulla nostra vita. Una prova di scrittura davvero notevole, “Cast my memory back / Slowly draw in the net / Throw myself right into the current, will I float? / What a time we did have / When we weren’t thinking so hard / Well I guess it’s a comfort we’ve emptied our pockets of stones“. Con As A Child queste due ragazze, seppur molto giovani, hanno capito che il tempo dell’infanzia è finto. La magia e lo stupore di quegli hanno vanno dissolvendosi ma, a quanto sembra, sono rimasti impigliati in questa canzone, “When you’re a child / On a broomstick you might just fly up and away / And if you listen close / The wise old oak might have something to say“. Miranda è una ballata che racconta di una storia di gelosia. Una chitarra traccia la melodia e fa risaltare il canto. Qui si torna a sentire l’influenza delle First Aid Kit ed è perfetto così, “And on the lawn together you’d lie / And all the clouds scuttle across the sky / And you wonder if you should just, you wonder if you should just let it all pass you by / Oh Miranda, oh how hard, oh how hard you try“. Treading Water è una delicata canzone malinconica che racconta di un amore finito. La musica e le voce sono quasi impalpabili, “It’s now I remember all of the best times / Like when we camped under stars when we first met / We climbed a hill to those abandoned trams / Lay together underneath the pines and / Skinny-dipped in the river as the sun set“. Goodnight è ispirata dalla perdita di una persona cara. Una riflessione profonda sull’inevitabilità di questi eventi, scritta con talento e sensibilità, “I came home one Wednesday afternoon / It was a long day and I’d said goodbye to you / Now every piece of me is aching for that touch, / Aching for that love, / Aching for that heart to beat“. Canyon è ispirata ad un sogno e questo si può sentire nella sua leggerezza. Questa è una delle canzoni meno oscure dell’album nel quale apprezzare ancora la sintonia tra le due sorelle,”I had a dream snow was all I could see / A woman took me way up to the mountains / She wanted to show me just how far I could go / Before my lungs were at risk of exploding“. Un breve intermezzo intitolato Into The Well apre alla title track Wonderful Oblivion che chiude l’album. Una canzone affascinante e riflessiva. Dove andremo quando arriverà la nostra ora? “And when it’s our time / We’ll fade into the light / Maybe upwards or some other direction / Reaching heaven or hell / Or back into the well of wonderful oblivion“.

Wonderful Oblivion è la dimostrazione che la strada intrapresa dalle Charm Of Finches comincia a dare i suoi frutti. In modo particolare la scrittura delle due sorelle appare più matura e consapevole. Ogni canzone è ispirata e ricca di immagini, a volte vaghe e a volte più nitide, ma sempre lucide. Il passaggio all’età adulta è uno dei temi principali di questo album e lo specchio di ciò è nei testi di ciascuna canzone. Il vero grande passo in avanti fatto con questo album sta proprio nella scrittura e nella naturale sintonia che intercorre tra le due artiste. Wonderful Oblivion è la riprova del talento delle sorelle Windred-Wornes che ci regalano un ottimo album, tra i migliori di questo anno che sta per finire.

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Periodo blu

Non capita spesso che un artista pubblichi due album di inediti nello stesso anno. Ma quando capita la domanda che sorge spontanea è sempre la stessa: era proprio necessario? Per rispondere bisogna innanzitutto ascoltare l’album in questione. In questo caso è toccato a Lana Del Rey essere oggetto di tale domanda. Il suo secondo album del 2021, Blue Banisters, nonché settimo della sua carriera, ha avuto una genesi un po’ travagliata, tra annunci e smentite sulla sua uscita. Nel mezzo anche l’addio ai social network della cantautrice americana. Poco male per quanto mi riguarda, ciò che mi interessa è poter ascoltare la sua musica e il fatto di avere due album nuovi così ravvicinati mi fa solo piacere. Ecco, appunto, ma era proprio necessario?

Lana Del Rey
Lana Del Rey

Si comincia con Text Book e si percepisce subito che in questo album c’è la volontà di tornare alle sonorità degli esordi. Musica essenziale ed oscura sulla quale corre leggera la voce ammaliante della Del Rey, “I guess you could call it textbook / I was lookin’ for the father I wanted back / And I thought I found it in Brentwood / It seemed only appropriate you’d easily have my back“. Segue la title track Blue Banisters nella quale la nostra Elizabeth sfodera la versione sorniona e malinconica della sua voce. La ricetta è sempre la stessa ma non da noia, anche grazie alla continua ricerca di una melodia orecchiabile ma non troppo, “Jenny jumped into the pool / She was swimmin’ with Nikki Lane / She said, “Most men don’t want a woman / With a legacy, it’s of age” / She said “You can’t be a muse and be happy, too / You can’t blacken the pages with Russian poetry / And be happy” / And that scared me / ‘Cause I met a man who“. Tra le mie preferite di questo album c’è senza ombra di dubbio Arcadia. Un pianoforte fa da sfondo ad un testo poetico e fatto di quella tristezza che solo la Del Rey riesce a dipingere. Un ritornello melodioso, quasi angelico che non risparmia qualche brivido. Da ascoltare, “In Arcadia, Arcadia / All roads that lead to you as integral to me as arteries / That pump the blood that flows straight to the heart of me / America, America / I can’t sleep at home tonight, send me a Hilton Hotel / Or a cross on the hill, I’m a lost little girl / Findin’ my way to ya / Arcadia“. Segue la strumentale Interlude – The Trio, omaggio in chiave trap al maestro Morricone della durata di poco più di un minuto. Black Bathing Suit è ancora un altro esempio di come quest’artista abbia voluto riprendere certe sonorità da qualche tempo abbandonate. Nel finale prova soluzioni vocali del tutto inedite e come sentiremo poi, non resterà un caso isolato, “Grenadine quarantine, I like you a lot / It’s LA, “Hey” on Zoom, Target parking lot / And if this is the end, I want a boyfriend / Someone to eat ice cream with and watch television / Or walk home from the mall with / ‘Cause what I really meant is when I’m being honest / I’m tired of this shit“. If You Lie Down With Me richiama le sonorità di Ultraviolence dal quale è stata scartata. Voce calda e sensuale, sempre un po’ con quel fare svogliato alla quale ormai ci ha abituato, “Dance me all around the room / Spin me like a ballerina, super high / Dance me all around the moon / Light me up like the Fourth of July / Once, twice, three times the guy I / Ever thought I would meet, so / Don’t say you’re over me / When we both know that you lie“. Beautiful è una delle classiche ballate al pianoforte tipiche della Del Rey. In questa occasione appare quasi più fragile del solito. Una riflessione sulla tristezza e sulla sua importanza nell’arte, “What if someone had asked Picasso not to be sad? / Never known who he was or the man he’d become / There would be no blue period / Let me run with the wolves, let me do what I do / Let me show you how sadness can turn into happiness / I can turn blue into something“. Violets For Roses è una canzone personale e come sempre arricchita da un ritornello ben architettato e orecchiabile. Lana Del Rey continua a dimostrare tutto il suo talento di cantautrice, “There’s something in the air / I hope it doesn’t change, that it’s for real / The beginning of something big happening / And by the murder alleys / In the streets have ceased / And still the shadows haunt the avenue / The silence is deafening“. Segue Dealer che vede la partecipazione di Miles Kane, leader dei Last Shadow Puppets. Sonorità inedite per la Del Rey che si lascia andare a virtuosismi vocali fin qui inediti per lei. Qualcosa di nuovo che rompe le consuetudini alla quale ci ha abituati, Please don’t try to find me through my dealer / He won’t pick up his phone / Please don’t try my doctor either / He won’t take any calls / He’s no fucking spirit healer / He just can’t stop to talk / But he’s gone now for the weekend“. Thunder è ritorna alle sue sonorità riconoscibili, raccontandoci di un amore pericoloso. Una Lana Del Rey sui generis ma sempre benvenuta, “You roll like thunder / When you come crashin’ in / Town ain’t been the same / Since you left with all your friends / You roll like thunder / When you come crashing in / Regattas in the wind / That’s why you’re visiting“. Wildflower Wildfire riflette sul suo difficile rapporto con la madre. Una ballata sorretta dalle note del pianoforte e dalla voce fragile, pronta a spezzarsi in qualsiasi momento, “My father never stepped in when his wife would rage at me / So I ended up awkward but sweet / Later then hospitals, and still on my feet / Comfortably numb, but with lithium came poetry“. Nectar Of The Gods si spoglia di qualsiasi orpello e si affida al suono di una chitarra acustica. Lana Del Rey tiene bene la scena con la sola voce, attirando l’attenzione con la sua solita interpretazione, “What cruel world is this? Nectar of the Gods / Heroin gold in my veins, and you in my thoughts / I’m on the freeway racing at a million and I just can’t stop / I call you up twice, hang up the phone, call again, I wanna talk“. Living Legend parla ancora d’amore e non si discosta molto dallo stile di questo album. La semplicità resta la caratteristica più evidente in canzoni come questa, “But baby you, all them things you do / And those ways you moved, send me straight to heaven / And baby you, I never said to you / You really are my living legend“. La successiva Cherry Blossom, altra esclusa da Ultraviolence, è l’ennesima ballata di questo album. C’è il pianoforte e c’è la voce soave e leggera, non manca nulla, “And when you’re scared / I’ll be right here / You feel afraid / Mommy is there / It’s a cruel, cruel world / But we don’t care / ‘Cause what we’ve got / We’ve got to share“. L’album si chiude con Sweet Carolina è una ninna nanna scritta per la sorella in dolce attesa. Una canzone quindi molto personale e intima che mostra un altro lato della Del Rey, “Pink slippers all on the floor and woven nets over the door / It’s as close as we’ll get to the dream that they had / In the one night sixties, and / Jason is out in the lawn / And he powerwashes every time things go wrong / If you’re stressed out, just know you can dance to your song / ‘Cause we got you“.

Blue Banisters mi ha ricordato un po’ quello che fu Paradise dopo Born To Die. Una sorta di raccolta di canzoni, a volte un po’ slegate tra loro, che vogliono in qualche modo chiudere un capitolo. Quattrodici canzoni (più un breve strumentale) che a quanto pare non potevano andare perse. Come se uno scrittore pubblicasse i suoi appunti dopo una vita di romanzi. Lana Del Rey ripesca vecchie canzoni scartate e da forma ad emozioni private che non hanno trovato sufficiente spazio negli album precedenti a questo. Blue Banisters può risultare quindi un po’ frammentato ma è quella la sua natura, fragile e incerta come a volte appare la voce. Dunque qual è la risposta alla domanda sorta spontanea? Era necessario un album così più per la stessa Lana che per noi ascoltatori, che comunque ringraziamo e mettiamo Blue Banisters a fianco degli altri suoi album, consapevoli di non essere mai stati delusi dalla nostra Lizzy.

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Punto di rottura

Mi ha colto un po’ di sorpresa la collaborazione tra queste due cantautrici americane, entrambe da tempo presenti nella mia collezione. Non avrei mai pensato di vedere riunite sotto un unico nome Aubrie Sellers e Jade Jackson ma il progetto Jackson+Sellers è proprio questo e debutta con l’album Breaking Point. In realtà a pensarci bene, le influenze musicali delle due ragazze non sono poi così distanti. Entrambe propongono un country alternativo, più rock per la Jackson e più garage per la Sellers ma comunque perfettamente paragonabili. Quindi questa collaborazione l’ho accolta fin da subito con curiosità, sicuro della sua buona riuscita.

Jackson+Sellers
Jackson+Sellers

L’apertura è affidata alla cover di Devil Is An Angel, scritta ed interpretata da Julie Miller nel 1997. L’affiatamento c’è e le due voci stanno bene insieme, la più dolce della Sellers e quella più ruvida della Jackson,”You look just like an angel / You sound so bright and true / You seem so sweet coming down my street, but the devil is an angel, too / Yeah the devil is an angel, too“. La title track Breaking Point, scritta dalla Sellers, è vicina al suo stile garage country. Il suono delle chitarre riecheggia, lasciando che il canto tratteggi la melodia, “I’m at the breaking point / You’re breaking me, baby / Everything you say to me, it’s driving me crazy / I know what you’re doing, but you need a new toy / ‘Cause you’re breaking me / I’m at the breaking point“. As You Run è scritta dalla Jackson ed è lei a prendersi la scena con la sua voce, questa volta più morbida. Una ballata rock, una delle tante alle quali ci ha abituato, “Why so scared / Of looking back / Following footsteps / And covering up your tracks / Won’t you stay one more night / Let me make it alright“. The Word Is Black è una canzone della Sellers nella sua versione più dark. Istantanee cittadine e di solitudine prendono forma tra le chitarre distorte, sulle quali galleggia la voce, “Eleven cars hauling strangers / Everybody on their phones / Staring down at their papers / Everybody all alone“. Segue Waste Your Time che ricorda le sonorità anni ’70 ed è una canzone nella quale si può tornare ad apprezzare meglio l’unione delle due voci. Un ritornello ripetitivo ed orecchiabile racconta di un amore difficile, “Gem on my necklace hit me like a heartbeat / As we ran in the street / Gold chain wrapped around your fingers when you kissed me / The love that I wanted I knew I wouldn’t get / But I still tried / I still tried“. Hush è una malinconica ballata a due voci. Nonostante in questo brano abbiano rinunciato al rock, le Jackson+Sellers riescono a dare alla luce una delle canzoni più belle di questo album, “Wind’s wild, sparrow beguiled / By a rose of fragrance so sweet / She swooped down low like wind to an arrow / And crashed in its soil and seed“. Con Fair Weather si ritorna alle sonorità più in linea con quelle della Sellers. Le chitarre contrastano con la sua voce delicata e tutto è leggero come in un sogno, “Fair weather, we’ll be together / Always, forever / You’ll never leave me alone / Long as the sun is shining / We don’t need a silver lining / But fast as a cold wind blows, / Fair weather comes and it goes“. Wound Up è decisamente più rock e con un piglio blues che ben si sposa con l’interpretazione delle due ragazze. Molto simile a quanto ci ha fatto sentire la Sellers nel suo ultimo album, “Can you live up to / My mirage of you / Wound up, wound up / The day’s way too long / And the night’s not long enough / I’m weak-kneed, so kiss me / Come on and light me up“. La mia preferita è sicuramente la cover di The Wild One, l’originale è del 1974 ed interpretata da Suzi Quatro in un veste decisamente più punk. L’alternarsi delle voci, la melodia orecchiabile la rendono perfetta per entrambe. Da ascoltare, “I’m a red-hot fox, I can take the knocks / I’m a hammer from hell, honey, can’t you tell / I’m the wild one / Yes, I’m the wild one“. Chiude l’album Has Been che prende ancora spunto dal passato per offrirci un altro bel rock a due voci. Le chitarre restano in primo piano e le voci si uniscono, “They’ll say, “passé, out of date” / They’ll run away from you / Oh, you ain’t nothin’ but a has been / So old news, so last year / You ain’t nothin’ but a has been / Go ask anyone“.

Breaking Point è un album nel quale Aubrie Sellers e Jade Jackson si danno spesso il cambio alla guida e raramente le si può sentire entrambi al microfono. Considerato che questo si può considerare un album di debutto è comprensibile che le due cantautrici abbiano portato alla causa ciascuna il loro contributo. Nelle cover si intravede maggiormente il potenziale e l’affiatamento del duo che, libero dalla propria personale scrittura di ciascuna, riesce a rendere al meglio. Breaking Point è un album ben fatto, nel quale le due cantautrici stanno cercando il punto di equilibrio tra due personalità musicali simili ma non identiche. Jackson+Sellers è un esperimento riuscito che soddisfa le aspettative e che speriamo sia solo l’inizio di una collaborazione lunga e produttiva.

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Il cuore su questi ciottoli

È possibile sorprendere senza fare nulla di nuovo? La risposta è sì. Ci sono riusciti quattro giovani ragazzi inglesi che si presentano sotto il nome di The Lathums. In mezzo a rapper, trapper e compagnia ecco spuntare una paio di chitarre, un basso e una batteria. Tutto già visto, già sentito. Eppure era da un po’ che non si sentiva nulla del genere. How Beautiful Life Can Be segna l’atteso esordio di una band che ripropone tutte le sonorità più note che hanno caratterizzato gli anni d’oro del pop rock made in UK. Sono tante le influenze che si possono citare ascoltando questo album, una su tutti i The Smiths. Ma non mi piace fare confronti, se posso li evito. Quindi non resta che ascoltare questo How Beautiful Life Can Be dimenticando per un attimo quel senso di déjà vu che può suscitare.

The Lathums
The Lathums

Cirles Of Faith apre l’album e subito si è immersi nel suono delle chitarre e dalla voce di Alex Moore. Un sound familiare ma che vibra di un’energia giovane, un testo ispirato e un ritornello orecchiabile. Serve altro? “Circles of faith in an undisputed land / I’ve taken up my refuge / I’m sticking to my plan / We all carry things we dare not speak / It’s humbling down here / At the bottom of the heap / And I will define the things I’vе seen“. Più luminosa e leggera I’ll Get By. La band rivela un lato sentimentale che non è per nulla scontato di questo tempi. Una canzone gioiosa che non cade mai nel banale e non può non far piacere ascoltare, “I’ll get high on the things you like / And we’ll be alright, I know / And if you want to, I can help you / Help you feel alright“. Fight On si apre con le note di una chitarra che ci cattura subito, lasciando poi spazio alla voce che canta un testo di resistenza alle battaglie di tutti i giorni. Una voce che corre veloce e sicura, “So fight on / My little bird / Oh I’m running jumping flying / Gunning faster fighting / Faster than the world / So fight on / My little bird / Oh I’m running jumping flying / Gunning faster feeling / Faster than the world“. How Beautiful Life Can Be è la title track, nonché singolo di punta dell’album. Una rasserenante riflessione sulle cose belle e semplici della vita. Un gioiellino da ascoltare, “Just how beautiful life can be / When one allows her to breathe / Let the children have their chance to see / Just how beautiful life can be“. The Great Escape è un po’ il cavallo di battaglia di questa band. Un piccolo compendio del brit pop, fatto di immagini lucide e tenute insieme da una melodia orecchiabile e un giro di chitarra che ti entra in testa, “And they could call it the great / The great escape of the world / And I don’t need diamonds and pearls / Just to vanish off the face of the earth / Is there any life on Mars / Or will I be arriving first? / Will I be arriving first?“. Segue I Won’t Lie, è una scanzonata cavalcata pop rock che galleggia leggera, lasciando che i pensieri scorrano liberi. Questa band mette a segno un altro punto a loro favore, “I’ll wait beside her, a constant reminder of when we were young / But I’ll let my guard down, pour all my heart out on these here cobblestones / In good time, lay my-my / In my life, I’ve been hurt some / I won’t lie, I won’t lie“. I See Your Ghost mette in mostra le capacità di Alex Moore, le sue parole sono veloci e corrono sulle note delle chitarre, “My chain, I know it, is particularly fancy / Means a lot to me, but if you come a little closer, you might find / Is there anything you’d like to say to me? / I find it very funny but I likely turn to anger very quick“. Segue Oh My Love che ancora una volta ci sorprende con la sua leggerezza e vitalità. La vita è troppo breve per viverla con negatività, “Time is weak and demanding of me / They will crumble at your fingertips / If you want to be happy / Then happy you will be / Oh, my love / Oh, my love“. I’ll Never Forget The Time I Spent With You è una ballata molto bella, guidata dal suono di una chitarra acustica. Questo dimostra di avere una spiccata sensibilità, senza paura di fare affidamento a melodie collaudate, “I won’t forget the time I spent with you / Before we’d even met I’d spent a lifetime with you / If only in your imagination but where else can we go? / You’re a shooting star I know / You’re a shooting star I know“. I Know That Much è una canzone che nasce dai sogni di questi ragazzi, la voglia di lasciare volti e luoghi conosciuti per esplorare il mondo e la vita, “But I put names to their faces / So I don’t make the same mistakes / And I’ve seen grey clouds up above / But I won’t let them take my love / I’ve come too far and I’ve lost too much / I won’t stop now I know that much / I know that much“. Artificial Screens si riferisce alla dipendenza dagli schermi degli smartphone, un tema moderno supportato da chitarre d’altri tempi. Un’altra canzone riuscita alla perfezione, “I think you are / Under a spell / And you don’t even know yourself / Everywhere I go / Everybody that I see / They’re looking down on the artificial screens“. Si chiude con l’epica The Redemption Of Sonic Beauty, un inno alla musica. Una canzone diversa del resto dell’album, che inizia al piano ma cresce in tripudio rock, “The redemption of sonic beauty / Here to save your souls / It’s the redemption of sonic beauty / I wonder do you know your role / It’s the redemption of sonic beauty, oh“.

How Beautiful Life Can Be è un debutto eccezionale, nel quale il talento della band è ancora coperto dai numerosi riferimenti del passato. Ma non c’è nulla di male in tutto questo. Non importa quali artisti vi possano ricordare, non importa se avete la sensazione di aver già ascoltato qualcosa di simile, i The Lathums sanno scrivere canzoni. Basta ascoltarli per rendersi conto che le basi di questa band sono solidissime e in controtendenza con le mode. Un ritorno alle chitarre, ai ritornelli orecchiabili e alla gioia di fare musica. Un ritorno nelle strade delle periferie inglesi dove quattro ragazzi hanno inseguito un sogno di mettere su una band e provare a vedere se la storia si può ripetere.

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C’est parfait si l’on tremble

Non è passato molto tempo da quando la cantautrice canadese Béatrice Martin ha voluto dare alla luce un album esclusivamente strumentale, eppure ecco qui tra le mani il suo quinto album. Cœur de pirate, questo il suo nome d’arte, è tornata con dieci canzoni pop raccolte sotto il titolo di Impossible à aimer. Lo fa affidandosi ancora alla lingua francese, abbandonando definitivamente quella inglese con la quale aveva flirtato del 2015. Cœur de pirate è una cantautrice pop dalla spiccata vena compositiva, spesso sincera, capace di sfornare canzoni orecchiabili ma allo stesso tempo poetiche e profonde. Sarà stata in grado di ripetersi ai livelli fin qui raggiunti? Non resta che ascoltare Impossible à aimer.

Cœur de pirate
Cœur de pirate

Une chanson brisée richiama alla memoria le sonorità degli esordi. Il pianoforte, la voce melodiosa e malinconica. Una canzone per un amore finito male, una canzone rotta per chi non si merita altro. Strano modo di cominciare un album, “Mais qu’importe tu m’aimes oui / Ça justifie tous tes oublis / Mais qu’importe le temps joue / Une chanson sur mes plaies qui s’entrouvrent / Tu sais que j’en ai plus qu’assez / T’es con en plus t’as pas compris / Que j’allais plutôt te laisser / Tu ne mérites qu’une chanson brisée, désolée“. Con On s’aimera toujours si torna prepotentemente al pop. Lo stile è quello della Martin, il testo è schietto, tutto è perfetto. Un singolo che funziona con un ritornello che è una gioia per le orecchie, “Et je sens mon cœur s’étendre / Quand mes yeux se fondent au vert des tiens / Si le passé nous secoue tu sais / C’est qu’on pense au lendemain / Si on revit de nos cendres / C’est parfait si l’on tremble“. Une complainte dans le vent è una ballata pop che corre sulle note di una chitarra. Ancora una canzone d’amore, ancora un amore finito. L’interpretazione della Martin è impeccabile, sempre venata di una dolorosa malinconia, “Je longerai l’anse vers toi, pour tes soupirs / Les rives d’un fjord m’attendent, j’en perds mes vivres / Je ne comprends plus pourquoi on ne chantait plus / Une complainte dans le vent / Mon amour perdu“. La successiva Le Pacifique è un pop leggero ed impalpabile in contrasto con le immagini che evoca il testo. Una delle canzoni più belle di questo album, con un altro ritornello a dir poco perfetto, “Mais moi je t’attendrai là-bas / Sur les rives, morte de froid / Dans l’espoir que j’ai partagé avec moi seule pour constater / Que tu ne m’atteins pas et c’est comme tous ces pas / Que le sable pourra effacer / Du Pacifique, tant aimé“. Tu ne seras jamais là è una canzone che viaggia sulle note di un pianoforte suonato dall’artista canadese Alexandra Stréliski. Poesia e musica si fondono in un altro gioiellino nato da una collaborazione più che riuscita, “Mais quand tu partiras au large / Essaie de rester loin de moi / Ton retour n’est plus qu’un mirage / J’essaie de rester comme avant / Quand tu n’étais pas là, quand tu n’étais pas là, et tu n’étais pas là, tu ne seras jamais là“. Spazio al pop e al ritmo con Dans l’obscurité. Cœur de pirate non si accontenta della musica accattivante e l’arricchisce di un testo che vuole trasmettere tutta la forza dell’amore, “Pourrais-je la voir sourire / Dans un monde comme le mien / Je ferais tomber les murs entre nous cette fois / Malgré les interdits / Traverser les eaux plus troubles qu’autrefois / Affronter le passé, qu’on s’impose dans l’obscurité“. Segue Tu peux crever là-bas che viaggia negli stessi territori ma questa volta non c’è spazio per sentimentalismi. Un tradimento diventa ispirazione, Cœur de pirate, sotto una melodia accattivante, non le manda a dire, “Pourrais-je la voir sourire / Dans un monde comme le mien / Je ferais tomber les murs entre nous cette fois / Malgré les interdits / Traverser les eaux plus troubles qu’autrefois / Affronter le passé, qu’on s’impose dans l’obscurité“. Un pop anni ’80 si espande nell’aria con Crépuscule. Un’altra canzone perfetta, nello stile ormai riconoscibile e irresistibile di questa cantautrice, “Et le temps d’avant / Nous tend ce que l’on caressait / À vif, nos vies, ne laissaient que nos / Cris au loin, crédules, nos peaux au crépuscule / Et pourtant j’espère encore que l’enfant que j’étais / Retrouve enfin, une parcelle de paix / De rires, de liberté, sans fin“. Fin dal titolo, Le monopole de la douleur, si presenta come una sommessa ballata che si srotola sulle note di un’arpa. Parole e musica sono pura poesia, “Que je crie plus fort que toi, tu n’entends plus rien / Que je maudisse tes actions, tu n’y vois qu’un autre destin / Et les rêves qu’on chérissait deviennent les pires des cauchemars / Mais j’en ai marre qu’on garde espoir“. La conclusione dell’album arriva con Hélas. C’è solo la voce ma distorta e sdoppiata, in modo da amplificarne l’effetto musicale. Un’inedita trovata per la Martin che non sbaglia scelta, riuscendo ad esprimere un senso di solitudine con grande efficacia, “Hélas, je pensais être seule / Et ce retour vient me noyer / Dans les abysses de l’inconnu, que je ne croyais toucher“.

Impossible à aimer, come il precedente, sembra voler ripercorrere la carriera di Cœur de pirate iniziata nel 2008 con l’album omonimo. C’è il pianoforte, le canzoni d’amore e poi ancora il pop orecchiabile e la leggerezza dell’accompagnamento con gli archi. Béatrice Martin torna con un album perfetto, senza sbavature, ben bilanciato ed ispirato. Ancora una volta c’è un’attenzione particolare alla composizione, all’idea di trovare al melodia perfetta. Impossible à aimer è un ottimo album, un esempio di come per me deve essere la musica pop. Un album che non delude ma anzi conferma Cœur de pirate come un eccezionale cantautrice pop che ha saputo, in più di dieci anni, mantenere sempre alta la qualità delle sue canzoni, rimanendo fedele alle sue scelte.

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