Lascia che il vento ti riporti a casa

L’avventura delle First Aid Kit è iniziata nel 2008 quando le sorelle svedesi Johanna e Klara Söderberg hanno esordito con l’EP Drunken Trees. All’epoca la più giovane, Klara, aveva solo quindici anni. Nel 2012 è arrivata la consacrazione definitiva con The Lion’s Roar che ha permesso alle due ragazze di arrivare al loro quinto album di studio, Palomino, uscito all’inizio di questo mese. Le First Aid Kit sono note per la loro musica fortemente ispirata al folk americano ma negli anni hanno saputo trovare nuovi spunti, lasciandosi influenzare dal pop e dal rock. Per me questa coppia di artiste è una garanzia, ogni loro album è un acquisto a scatola chiusa. Questo non fa eccezione, fatto salvo che non ho resistito ad ascoltare i suoi singoli.

First Aid Kit
First Aid Kit

Out Of My Head apre l’album con la voce unica di Klara e ci riporta alla luminose e vitali melodie di Stay Gold. La scelta di aprire con una canzone che spazza il buio del suo predecessore non è casuale, “Stuck inside my dreaming / Falling behind / Running on low / Does it matter now? / Let me out, out of my mind / Out of my head, ooh, ooh, ooh / Out of my head, out of my mind“. L’amore, anche se non ricambiato, è l’ispirazione per Angel, un brano folk rock che esplode in un ritornello orecchiabile e liberatorio. C’è un’energia in questa canzone che dimostra tutta la voglia di tornare a fare musica con gioia, “All of this pain that I’ve kept concealed / Thought if I didn’t speak it, it wouldn’t be real / But sometimes, sometimes I feel I have to shout / At the top of my lungs and just let it out“. La successiva Ready To Run riprende le sonorità più vintage alle quali queste sorelle sono più affezionate e ci riporta ai loro brani migliori. L’atmosfera di questo brano è ancora coma di gioia e buoni sentimenti, “Did I disappoint you? / I’m pretty sure I did / You thought I was some kind of rock star / I was a nervous little kid / And I assumed you were someone I could lean myself upon / But with the blink of an eye, you were out the door, gone“. Turning Onto You è una ballata dalle stile americana che si affida alla voce di Klara per regalarci una canzone nostalgica. Inutile sottolineare l’affiatamento delle due sorelle, “Cause you got me hanging on / Like the words to my favorite song / Let the night turn into dawn / I’ll be turning onto you / Oh as time’s moving on / I’m asking you don’t keep me waiting too long“. Il basso guida le voci dolci di Klara e Johanna in Fallen Snow. Una canzone essenziale e ben equilibrata. Orecchiabile e con un ritmo irresistibile. Cosa chiedere di più? “When you think that I’m not watching / I can see a bleakness in your smile / I know all the depths you’ve gone to / To lift the sorrow from your eyes / Oh, was it worth your while?“. C’è ancora tanta nostalgia in Wild Horses II. Un viaggio fa da sfondo a questo brano, lento e accompagnato dalla musica di Gram Parsons e dei Rolling Stones, “We passed a canyon / We passed a fire brigade / Headed up the mountains / They set the woods ablaze and then we got hungry / Stopped at a diner / You flirted with the waitress / And I didn’t even care“. The Last One è una potente canzone d’amore che brilla luminosa, una canzone a due voci con un ritornello perfetto come sempre. Le First Aid Kit hanno ancora un tocco magico come il primo giorno, “When did I become a woman / Who waits, fevered, for a call? / I need a word from you, a touch, a feeling / Oh so desperate to feel anything at all“. Nobody Knows è una canzone elegante e misteriosa, accompagnata dal suono degli archi. L’esperimento di uscire dalla loro comfort zone è pienamente riuscito e non possiamo che goderci il risultato, “Caught in the rain with no protection / Biding my time with no sense of direction / That look in your eyes keeps getting stranger / Caught in the rain, helpless without you“. Segue A Feeling That Never Came è più in linea con lo stile classico delle First Aid Kit. La voce di Klara tratteggia una melodia sempre più ricca e irresistibile. Ancora una canzone solare e dolce che spazza via i cattivi pensieri, “It’s funny how it happened / How fast your world can change / It’s funny how you tricked me / And how you keep fooling yourself / It’s funny how I believed you then / When you said we all try our best / I loved you, I did, but I’ve put that notion to rest“. A seguire una ballata intitolata 29 Palms Highway. Le sonorità anni ’70 di cui sono innamorate queste due ragazze si fanno risentire anche qui, “I hold my arms out to you / I hold my arms out to you / I’m ready to listen / Are you coming through? / I hold my arms out / 29 Palms Highway / Stretches out in the desert sand“. Chiude l’album la title track Palomino. Una delle mie preferite di questo album. Il sound del southern rock si addolcisce con le voci angeliche delle sorelle. Il ritmo, la melodia e il ritornello orecchiabile creano qualcosa di meraviglioso. Da ascoltare, “Where you go my love goes, darling / I can hear the unknown road calling / So let the winds carry you home, my darling / For where I go your love goes, darling“.

Palomino segna un ritorno delle First Aid Kit che dimostrano di essere in grande forma e di aver trovato un sound più personale e maturo. Smessi i panni da ragazze, ore le sorelle Söderberg iniziano una nuova carriera come donne, più consapevoli del loro talento e di ciò che la loro arte può fare. Questo album chiude le porte alla malinconia del precedente Ruins e apre a nuove melodie, più luminose e leggere. Gli anni passano ma le First Aid Kit continuano il loro percorso artistico rimanendo sempre riconoscibili, regalandoci quel dolce mix di folk, pop e rock che però lascia intatta un’anima sincera. Palomino si candida come uno degli album più belli di questo anno che sta per finire, nonché uno dei ritorni più graditi ed attesi. Brave ragazze, anche questa volta avete fatto centro.

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Ancora un altro libro, ep. 12

L’ultimo episodio di questa rubrica risale allo scorso luglio e da allora di libri ne ho letti diversi. Quindi direi che è arrivato il momento di riassumere qui le mie letture più recenti.

Bloodline è un romanzo storico che racconta le vicende della Guerra delle Rose, il terzo di quattro che compongono la saga scritta da Conn Iggulden. Rispetto ai due precedenti, questo non mi è sembrato all’altezza di essi. L’autore non riesce a portarci indietro nel tempo anche a causa della scarsa caratterizzazione dei personaggi, un difetto già riscontrato nel primo e nel secondo volume. Molti sono solo dei nomi e uno dei pochi personaggi di fantasia, nonché uno dei più riusciti, Derry Brewer, il deus ex machina, che spiccava sugli altri, viene inspiegabilmente relegato a poche apparizioni. In alcuni capitoli più che un romanzo sembra una cronaca, con un susseguirsi di avvenimenti che servono solo a coprire lunghi intervalli di tempo. Bloodline è un buon romanzo storico che si prende alcune libertà (è tipico di questo genere) ma prova a rimanere fedele ai fatti per quanto possibile. L’autore però appare comunque più schierato dalla parte dei Lancaster piuttosto che da quella degli York ma se si cerca qualcosa di imparziale e veritiero meglio un saggio.

Prosegue la mia avventura (tra alti e bassi) nel mondo della saga de La Spada della Verità di Terry Goodkind. Il quinto volume, L’anima del fuoco, ricalca la struttura dei precedenti, introducendo nuovi personaggi e nuove ambientazioni. Richard e Kahlan si ritrovano alla prese con i “rintocchi” che minacciano la presenza della magia nel mondo fantastico creato dall’autore. I pregi e i difetti rimangono gli stessi dei capitoli precedenti. Lo stile asciutto e scorrevole dell’autore contrasta con le numerose ripetizioni e banalità. Ad esempio i continui rifermenti al cibo, del tutto inutili all’interno della narrazione, e la tendenza a sottolineare le vicende amorose di personaggi, spesso ininfluenti sulla loro psicologia e sull’intreccio. Inoltre, ma forse è solo una mia impressione, Goodkind sembra avere qualche problema con la gestione del tempo. Settimane che sembrano giorni e viceversa. Le varie linee temporali non sembrano intrecciarsi a dovere e il finale mi è parso affrettato e un po’ campato in aria. Non importa, il prossimo volume chiude un ciclo narrativo e lo leggerò sicuramente ma non subito. Sono nella fase: devo sapere almeno come va a finire.

Questo è uno di quei libri che compaiono un po’ per caso mente si cerca altro ma che sentiamo il bisogno di leggere subito, lasciando in attesa altri libri che aspettano il loro turno da mesi, se non addirittura anni. 1793 è un romanzo storico che segna il debutto dello scrittore svedese Niklas Natt och Dag. Si potrebbe definire un giallo o un thriller storico ma in realtà è qualcosa di più di questo. La coppia di investigatori, il tisico Cecil Winge e il reduce Mickel Cardell, è quella classica. La mente e il braccio. Entrambi sono ben integrati nel contesto storico in cui vivono, la Stoccolma del 1793. Più originale è la struttura del romanzo, che non segue semplicemente le indagini e, nella parte centrale, lascia che sia il lettore a scoprire parte della verità con occhi diversi, con gli ultimi capitoli che servono a chiudere il cerchio. Lo stile dell’autore è incalzante e condito da ottimi dialoghi. Le scene forti non mancano e la violenza potrebbe disturbare i lettori più sensibili ma nel contesto rende tutto più vivido. Un ottimo esordio che tiene sulle spine fino all’ultima pagina ma non privo di qualche difetto, come le ripetizioni, le espressioni ricorrenti e qualche colpo di scena di troppo. Leggerò sicuramente il suo seguito che si presenta come una storia indipendente ma in continuità rispetto a questo libro. Ovviamente, come d’uopo, anche questa è una trilogia.

Altro che di trilogia si tratta, quella del Le Storie dei Re Sassoni che è arrivato al suo tredicesimo volume. Modestamente non sono nemmeno arrivato a metà con Il signore della guerra, quinto libro di questa serie di romanzi storici del maestro Bernard Cornwell. Nonostante si tratti del quinto capitolo di una lunga saga, questo autore riesce a mantenere alto il livello della narrazione, anche grazie agli elementi storici inseriti in essa. Data la scarsità di evidenze storiche, il nostro non manca di dare spazio alla fantasia ma lo fa senza mai risultare poco credibile come avviene spesso in alcuni romanzi storici d’avventura. Il protagonista Uhtred, nonché voce narrante, è sempre più spavaldo e strafottente almeno nelle apparenze ma la sua fedeltà a re Alfredo è messa ancora una volta a dura prova. Le note storiche dell’autore, seppure brevi, sono sempre interessanti perché chiariscono cosa è vero e cosa no del romanzo appena terminato. Non vedo l’ora di tornare con Uhtred sulle colline inglesi per vedere cosa ne sarà del sogno di Alfredo.

Chiudo in bellezza con un capolavoro ovvero Lonsome Dove (le prime edizioni in Italia avevano l’inspiegabile titolo di Un volo di colombe). In questo grande romanzo western affrontiamo, insieme ai ranger Call e Augustus, un lungo viaggio che ci porterà dal Texas al Montana di fine ‘800. Tra personaggi indimenticabili e dialoghi cinematografici (non a caso è nato come sceneggiatura), Larry McMurtry ci fa conoscere la dura vita sulla pista. Si sente, tra le sue righe, la polvere delle pianure, il caldo torrido, la tensione dei pericoli, i sogni e le speranze degli uomini. Nonostante la mole e il ritmo lento, questo romanzo scorre senza intoppi tra scene divertenti e altre tristi e dolorose. Ci sono numerose riflessioni sulla vita e la morte, sempre ben inserite nel contesto e alleggerite dalla simpatia di Gus e di altri personaggi bizzarri. La capacità di McMurtry di dare “voci” differenti a ciascun protagonista ha dell’incredibile (non per niente questo romanzo vinse il premio Pulitzer nel 1986). Difficile lasciare i suoi protagonisti al loro destino e infatti esiste un seguito che leggerò sicuramente (anche se mi dicono inferiore), perché questa strana compagnia di cowboy già mi manca. Qui sotto un paio di citazioni che mi sono segnato.

– Dove credi che andrà a finire Jake?
– In una fossa, come me e te.
– Non so perché continuo a farti domande.

– Avete fretta di arrivare da qualche parte. È un grosso errore andare di fretta.
– Perché? – domandò Joe. Quasi tutto ciò che diceva il viaggiatore lo lasciava perplesso.
– Perché la nostra destinazione è la tomba. Chi va di fretta di solito ci arriva prima di chi procede con calma.

La parte del nichilista

Nel 2018 con il suo album di debutto, Dead Capital, il nome del cantautore irlandese, ma di stanza a Londra, Louis Brennan è finito dritto tra quelli degli artisti più interessanti degli ultimi anni. Con voce profonda e carismatica, cantava il nostro tempo e i momenti difficili che lo hanno portato verso una nuova vita. Quest’anno è tornato con Love Island, progetto che appare più ambizioso del precedente e che si propone come conferma del talento di questo cantautore. Se il primo aveva una copertina più soggettiva e cupa, il suo successore ne ha una più ironica e vivace. Le copertine dicono più di quanto si possa pensare e non resta che scoprire se è davvero Love Island è davvero come sembra.

Louis Brennan
Louis Brennan

Si comincia con God Is Dead nel quale ritroviamo sia la voce unica di Brennan che il suo stile folk. Anche le tematiche riprendono un discorso iniziato con il precedente album. Una disamina di una società decadente che sembra senza speranza di redenzione, “So let us rejoice / Under the all seeing eye / Just click on the link / It costs nothing to apply / Kingdom or caliphate / It does not discriminate / It uses a part of the brain we evolved to survive“. Non nascondo che The Post-Truth Blues è tra le mie preferite di questo album. Qui Brennan viaggia briglia sciolta e con piglio ironico ricostruisce un mondo contraddittorio e ipocrita, bastato sulla cosiddetta post-verità, “Oh I know just how my coffee’s grown / That Chinese children made my phone / With cobalt exacerbating conflict situations / In the poorest regions of the Congo basin / I’s a shame / But what can you do? / If you need someone to blame / You can always pin it on the ….“. Con la successiva Cruel Britannia se la prende con il Regno Unito e la deriva di questi ultimi anni. Louis Brennan non le manda certo a dire e anche in questo caso condisce il tutto con un accompagnamento in contrasto con il tono delle parole, “But the people have spoken / The country is broken / The politicians have lost all respect / And you can’t wave the flag / ‘cause some liberal rag / Says you’ve got to be politically correct“. The Nobel Price è un sogno di gloria a metà verità e finzione. Il testo è pungente e l’abilità di questo cantautore di trovare le parole giuste e mai banali, è stato ed è uno dei suoi punti di forza, “When I win the Nobel Prize / And the public finally recognise me / They will show their gratitude / Offering their firstborn daughters / As virginal brides / When I win the Nobel Prize“. La title track Love Island è guidata dalle note di un pianoforte e racconta una dolorosa presa di coscienza. Un amore finito, senza speranza di rinascere. Una canzone intima che scava in fondo all’anima, “There is no cash prize / No way for the public to decide / On love island / We’ll be consumed by the rising tide / There is no hotline / No recorded message on the end of the phone / On love island / It’s just you and I alone“. A Zero-Sum Game è un irriverente country folk che prende di mira ancora la falsità della nostra società. Brennan sembra avere quell’urgenza artistica che pochi artisti possono sperimentare, “‘Cause everybody wants a slice of the cake / Oh, but I own the oven in which it was baked / I own all the bakers and all the flour / I’ve got my finger on the trip switch to all of the power / So, when you get up to the front of the line / Just take your goddamn crumbs and remember to smile“. The Big Tomorrow è un’altra ballata riflessiva e dura. Le parole come sassi che mettono il luce un’amara verità e ci colpiscono, una dopo l’altra, “Now I’ve got no one but myself to blame / For this hubris of identity / All this bitterness and shame / So I’ll be waiting tables / While your friends all reproduce / I’ll play the part of the nihilist / To another empty room“. Leftover Meat è accompagnata da una melodia rilassante e confidenziale ma le parole del testo vanno in direzione opposta. Louis Brennan dimostra di non aver esaurito gli argomenti e continua a spingere, “Making a living as an act of contrition / It’s a race to the bottom / And it feels like I’m winning / Screaming internally through the clinking glasses / Leftover meat for the unwashed masses“. My Favourite Disguise torna a fare emergere riflessioni personali, sempre più arrendevoli e cupe. Il suono confortevole della pedal steel addolcisce una pillola sempre più amara, “Inflatable rafts / In the straits of Gibraltar / It’s someone else’s problem / It’s someone else’s daughter / I act like I care / ‘cause I know that I ought to / But really I’m empty inside“. L’album si chiude con l’oscura Naked And Afraid, un flusso di coscienza, guidato dalla voce di questo cantautore. Forse c’è una speranza in tutto questo ma meglio non illudersi troppo, “I lay down where once I had stood / I bit down on my lip / Just so I could taste the blood / Of arteries connected to the heart / A cipher in the flesh / A flashlight in the dark / Hold on to something“.

Love Island dimostra che Louis Brennan è uno che non molla e va per la sua strada. Avrebbe potuto mordersi la lingua e scrivere canzoni d’amore con un ritornello orecchiabile, invece no. Ha scelto di riprendere laddove Dead Capital era finito, con un pizzico di cinismo e mezza dose di ironia in più. Louis Brennan si può ascoltare superficialmente mettendolo in quella categoria di cantautori che “hanno qualcosa da dire” oppure provare a comprendere da dove viene questa sua capacità di cogliere le brutture della nostra società ma anche di noi stessi. Provare a vedere con occhi diversi, sperando di trovare qualcosa da salvare. Forse la sua è una battaglia senza speranza, persa in partenza ma non per questo una battaglia inutile. Love Island è un album che conferma il talento di Louis Brennan che con mano ferma tratteggia un mondo decadente di cui noi ne siamo parte.

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La vita è migliore senza piani

Il nuovo album di Courtney Marie Andrews arriva a due anni di distanza dall’ultimo Old Flowers e si intitola Loose Future. Si tratta del nono album di questa cantautrice americana che ha iniziato la sua carriera all’età di diciotto anni. Fin dal suo album Honest Life, che la fatta conoscere al grande pubblico, tra le principali caratteristiche della sua produzione, spiccano la voce angelica e le atmosfere malinconiche e solitarie. Il nuovo corso intrapreso da questa artista sembra quello di voler rinnovare la propria immagine, trovando nuovi spunti d’ispirazione. Questo album vuole lasciarsi alle spalle le ombre delle produzioni precedenti, che già negli ultimi anni l’hanno vista allontanarsi progressivamente dalle sonorità strettamente country e folk.

Courtney Marie Andrews
Courtney Marie Andrews

La title track Loose Future dà il via all’album, dandoci il primo assaggio delle sue sonorità. Se l’accompagnamento musicale è più luminoso e moderno, è la voce della Andrews ha rassicurarci che dopotutto è sempre lei. Una riflessione sull’inizio di una nuova vita, di un nuovo amore, “Running towards hearts to fix / When mine’s still busted, I’m not over it / Let’s keep it easy, honeymoon / Sweet as summer nights in June / I just wanna take it slow / Don’t wanna give a yes or no“. La successiva Older Now riprende le stesse tematiche, sottolineando la volontà di ricominciare dai propri errori. Un sound fresco e luminoso danno nuova linfa alla musica di quest’artista, “Fuck it up, make you laugh / We both have traumatic pasts / See it for what it is / Still feel like a little kid / Running through open fields / Dog is biting at our heels / Falling down in the sand / Life is better without plans“. On The Line è una lenta ballata che è un’istantanea sui rischi dell’amore, cantata con voce sommessa ma che scava a fondo ed emoziona. Questo genere di canzoni, così fragili e accorate, sono l’anima della Andrews, “Room above me, they’re having sex, / With the TV up to drown out the noise / That’s just like this world we’re in / We cover up each truth with a void / Why do I give you the satisfaction of knowing I still care? / You only call when it’s your love on the line“. Satellite è una canzone d’amore leggera come l’aria, positiva e orecchiabile. L’amore al centro di tutto e Courtney Marie lo esprime con un’immagine cosmica. Qui l’album trova il suo centro ideale, “You are a satellite, / Orbiting around my mind / I’d like to see you tonight, / Tonight, and every night / Cause I, I, I like you all the time, / A constellation I always find / And I, I, I like to see you shine, / My favorite piece of the sky“. These Are The Good Old Days ci invita ad assaporare il presente invece di guardare sempre al passato e lo fa con un brillante indie folk guidato dalla voce delicata della Andrews, “People like me think feelings are facts / Falling in love gives us a heart attack / One foot in the future, one in the past / Wanna know for sure if it’s gonna last / These are the good old days / Don’t let time slip away / These are the good old days“. La successiva Thinkin’ On You è una canzone che affronta il tema dell’assenza con cuore e passione. Il pensiero unisce anche quando si è distanti, “Pictures of us aren’t the same / Can’t hold your hand or pick your brain / The heart in you is the heart in me / The stars you see are the ones I see / I’ll be thinkin’ on you / I’ll be thinkin’ on you“. You Do What You Want è una canzone affettuosa verso una persona al quale le si concede tutto. Ancora spazio ai buoni sentimenti e alla luminosità di un folk moderno, “I can still imagine you, / Green as agave, / True as the bluest sky, / Making your brother cry with laughter / You and I, in the corner of a room, / At an awkward party, / Where no one was talking, / As you were mocking the disaster / I still hold space for you, / Even with all you put me through“. Let Her Go è una canzone eterea dedicata ad una persona libera e selvaggia. La voce morbida tratteggia una melodia delicata che incanta chi ascolta. Una prova della sensibilità di questa artista, “An emotional Aries dancing to Tim McGraw / Recalling her dreams in her underwear and bra / An old soul and a child all wrapped into one / She will help you remember what it’s like to have fun, like to have fun / She’ll give you advice that she wouldn’t take / Freer than the winds blowing off the Cape“. Change My Mind è ancora una riflessione su ciò che si è e su ciò che si è diventati. Qui si può leggere il cambiamento che a portato alle canzoni di questo album. Un canzone personale e confidenziale, come tante altre della Andrews, “You’ve given me no reason not to trust you, / But I keep looking for new ways to be let down / Trying to break old habits isn’t easy, / When I’m addicted to losing what I’ve found / I’m not used to feeling good / I’m not used to feeling right / Maybe you could change my mind“. La conclusiva Me & Jerry è una canzone che è una sorta di inno alla sicurezza che una presenza fisica può trasmettere. Una canzone dal sound insolito per questa cantautrice ma perfettamente in linea con lo spirito di questo album, “If there’s a God above I bet he’s making love / And it’s a good day on Earth when love is enough / I’ve lost count of all the people at my door, / All the almost-fairytales with only a before / We’re out of our minds, / Out of our minds“.

Loose Future segna un rinnovamento nel percorso artistico di Courtney Marie Andrews ma non un netto distacco con il passato. Il tempo passa e le cose cambiano, non solo per noi ma anche per gli artisti che fanno la musica che ci piace ascoltare. Questo porta inevitabilmente ad avere un approccio diverso alla propria arte. Questa cantautrice lo fa con la maturità di chi non ha mai indossato una maschera ma è sempre stata sincera con il pubblico. Loose Future ci restituisce una Courtney Marie Andrews più fiduciosa, meno solitaria ma ugualmente sensibile. Questo non può che segnare un nuovo inizio ma non significa che tutto ciò che c’è stato prima sia finito. La carriera di quest’artista è arrivata ad un momento significativo, positivo ma non per questo tranquillo e sicuro. Loose Future è come un abbraccio, non ci illudiamo che sarà per sempre ma intanto ce lo godiamo tutto.

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