Giovane fuoco, vecchia fiamma, ep. 5

In queste settimane, nonostante i vari ponti, ho ascoltato poca musica in termini puramente legati al numero di ascolti. Perché in realtà aprile è stato un mese ricco di uscite interessanti ed attese da tempo ma che non ho ancora ascoltato un soddisfacente numero di volte. Sì, perché prima di abbandonare un album e riporlo nel dimenticatoio o quasi, concedo sempre una seconda possibilità a tutti. A volte, così facendo, mi accorgo che il mio giudizio era stato affrettato, altre invece confermo le mie prime impressioni. Questo vale soprattutto per i nuovi artisti, perché per i miei preferiti difficilmente un loro album cade presto nel suddetto dimenticatoio. Siccome maggio si presenta anche lui ricco di nuove uscite, è bene ricapitolare qui sotto gli album più meritevoli che ho ascoltato ultimamente. Tra conferme e nuove scoperte, alla fine non è andata male nemmeno stavolta.

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Giovane fuoco, vecchia fiamma, ep. 3

Questa settimana ho letto un interessante articolo che riguardava la fruizione della musica nel mondo e in Italia. Per correttezza pubblico il link dal quale l’ho letto: La musica in download vicina all’estinzione. Lo streaming a pagamento è quasi metà del fatturato globale.
Tra l’altro ultimamente, ho l’abitudine di appuntarmi, a chissà quale scopo, gli articoli più interessanti che trovo online. A volte devo ammettere che mi tornano utili, altre volte sinceramente non so perché li metto da parte. Ma torniamo al tema di questo articolo. Il titolo è eloquente, lo streaming musicale si sta divorando il download ma ha ancora pietà per CD e vinili. In Italia chi scarica ancora musica (legalmente s’intende) rappresenta solo l’1% del totale. Sapevo che la mia abitudine di comprare musica in digitale era da tempo passata di moda ma non credevo di essere parte di una così ristretta minoranza.

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Giovane fuoco, vecchia fiamma, ep. 2

A chi segue, come me, le nuove uscite discografiche e qualche notizia musicale qua e là, non sarà sfuggita quella del nuovo singolo di Beyoncé. Perché ha fatto notizia? Prima di tutto per la sua svolta country, un genere spesso considerato “di nicchia” e poi perché lei è afroamericana e qualcuno né ha approfittato per fare polemica. In realtà, questo è solo il punto più alto di una riscoperta della musica country da parte del pop mainstream, di cui Beyoncé è una delle massime esponenti da decenni ormai. Personalmente sono contento di essermi appassionato alla musica country anni fa, prima che diventasse cool e questa rinascita non mi lascia del tutto indifferente.

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Giovane fuoco, vecchia fiamma, ep. 1

Torno a scrivere su questo blog cercando di trovare una nuova forma a questi miei post.  Per il prossimo futuro sono pronti una manciata di articoli nei quali racconterò la mia storia di lettore e del rapporto che ho con i social network. Argomento, quest’ultimo, che in queste ultime settimane è sulla bocca di tutti. Insomma vale ancora il vecchio detto ma rivisto e corretto, chi di social ferisce, di social perisce. Ormai i social non sono più un passatempo per ragazzi ma una vera e propria parte della nostra società, direttamente per chi li usa e indirettamente per chi preferisce starne fuori. Molti non si rendono conto che anche una sola frase pubblicata un po’ per scherzo un po’ per goliardia potrebbe essere potenzialmente letta in tutto il mondo e avere delle conseguenze inaspettate. A maggior ragione potrebbe essere letta dal nostro datore di lavoro, dalla nostra compagna o compagno di vita, da un amico o da persone che non conosciamo e condivisa ovunque, uscendo così dal nostro controllo. Ciò che scriviamo e facciamo oggi sui social potrebbe essere motivo di imbarazzo, o peggio, anche dopo anni. Come avrò modo di approfondire, io non sono mai stato un utente social attivo e interessato alle dinamiche di quel mondo. Preferisco scrivere qui in modo anonimo, senza pretese di essere letto e facendo del mio meglio per essere rispettoso di tutti. Forse è proprio questo che non mi rende un utente social modello ma non mi interessa.

Mentre finisco di preparare questi post di prossima pubblicazione torno a concentrarmi sulla musica, argomento principe da sempre di questo blog.

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Non mi giudicate – 2023

Un altro anno è arrivato in fondo e come di consueto mi fermo un momento per tirare le somme e cercare di riassumere qui quanto di meglio ho ascoltato quest’anno. Dei 73 album pubblicati quest’anno e che ho ascoltato ho dovuto fare una scelta e a malincuore lasciarne fuori parecchi altrettanto meritevoli. Ecco dunque la mia personalissima lista di fine anno.

  • Most Valuable Player: Margo Price
    L’album Strays e la sua successiva versione estesa, ci fanno ascoltare una Margo Price ispirata e finalmente sobria. Ormai questa cantautrice sembra aver trovato la sua strada.
    Una mentina in tasca e una pallottola tra i denti
  • Most Valuable Album: Thank God We Left The Garden
    Questo album di Jeffrey Martin aveva già un posto prenotato in questa lista, tanto era la fiducia in lui. Fiducia pienamente ripagata da un album profondo e personale.
    Alla fine, niente ha importanza, figliolo
  • Best Pop Album: Lauren Daigle
    Lauren Daigle ci regala un album pieno di vita e colori, per tutti i gusti. Una voce meravigliosa che sa toccare le corde giuste e andare al di là del suo particolare genere musicale.
    Vedo angeli che camminano per la città
  • Best Folk Album: A Seed Of Gold
    Scelta non facile ma ho voluto premiare il folk tradizionale di Rosie Hood e la sua band. Un ritorno fatto di ottime canzoni caratterizzate dalla voce unica di quest’artista.
    Un regalo riservato agli amici lontani
  • Best Country Album: Ain’t Through Honky Tonkin’ Yet
    Nonostante la spietata concorrenza, la spunta Brennen Leigh, con un album ben scritto e orecchiabile. Il suo stile unico e riconoscibile rendono questo album semplicemente perfetto.
    A volte sento di non avere un posto dove andare
  • Best Singer/Songwriter Album: Dreamer Awake
    Tanti ottimi album potevano rientrare in questa categoria ma questo di Rachel Sermanni è un ritorno molto gradito e rende giustizia al suo talento di cantautrice.
    Lascia che i segreti entrino dalla porta
  • Best Instrumental Album: Haar
    Lauren MacColl è una delle violiniste più prolifiche della scena folk scozzese, anche grazie alle sue numerose collaborazioni. Quando si mette in proprio ci regala sempre ottimi brani strumentali.
  • Rookie of the Year: Snows of Yesteryear
    Non sono pochi i debutti di quest’anno a questo trio ma Snows of Yesteryear mi ha sorpreso più degli altri con il suo album omonimo. Un ottimo mix di canzoni folk con contaminazioni rock e alternative che conquista subito.
    La neve dei tempi andati
  • Sixth Player of the Year: Ida Wenøe
    Pochi dubbi, la sorpresa di quest’anno si rivela essere la riscoperta di questa cantautrice danese con il suo Undersea. Un  album di canzoni folk di ottima fattura.
    Non ho mai saputo niente dell’amore
  • Defensive Player of the Year: Bille Marten
    Drop Cherries è l’album che ci si aspettava da questa cantautrice che continua a portare le sue sonorità distese e riflessive. Sempre un piacere ascoltarla.
    Non è rimasto niente per cui piangere
  • Most Improved Player: Kassi Valazza
    Con il suo Kassi Valazza Knows Nothing, dimostra un cambio di approccio alla sua musica, ora fatto di ballate in bilico tra classico e moderno. Un nuovo interessante inizio per lei.
    Non sai come funziona il fuoco
  • Throwback Album of the Year: Peculiar, Missouri
    Non sono molti gli album che sono andato a pescare dagli anni passati ma la scelta non è stata semplice. Willi Carlisle però si è distinto particolarmente con il suo country vario e carismatico.
    Mi ritorni in mente, ep. 88
  • Earworm of the Year: The Coyote & The Cowboy
    Non volevo lasciare fuori il buon Colter Wall da questa lista e dopotutto questa canzone, una cover di Ian Tyson, è così riuscita ed orecchiabile che mi è entrata subito in testa.
    Si deve riempire il grande vuoto con piccole canzoni
  • Best Extended Play: Forever Means
    Angel Olsen non delude mai anche quando si limita a proporre una manciata di canzoni. Ormai questa cantautrice è una garanzia e anche in questa occasione si dimostra una delle migliori del suo genere.
  • Honourable Mention: Jamie Wyatt
    Questo suo nuovo album intitolato Feel Good è un deciso passo in avanti e un cambio di rotta davvero sorprendente e non poteva mancare in questa lista di fine anno.
    Non abbiamo bisogno di morire senza ricordi

Un regalo riservato agli amici lontani

Nel 2017 l’album The Beautiful & The Actual segnò l’esordio della cantautrice folk inglese Rosie Hood. Quest’anno è tornata con una nuova raccolta di canzoni, tradizionali e non, intitolata A Seed Of Gold e presentata insieme alla sua band, la Rosie Hood Band appunto, composta da Nicola Beazley, Rosie Butler-Hall e Robyn Wallace. Quest’artista ha già messo in mostra il suo talento nel ridare vita alla tradizione folk con un piglio giovane e fortemente radicato alla sua terra. Il suo ritorno con questo album è sicuramente la giusta occasione per confermare le buone impressioni di sei anni fa, supportata da un band all’interno di un progetto più ampio e non solo da solista.

Rosie Hood Band
Rosie Hood Band

Apre l’album The Swallow, una canzone ripescata dal passato, dal 1853 e riproposta quanto più fedelmente possibile anche grazie alle annotazioni originali riguardo alla melodia. Segue a ruota, Turtle Dove, riarrangiata dalla Hood che ne sceglie i versi più belli per farne questa versione. Lyddie Shears è la prima delle canzoni originali scritte da questa cantautrice e racconta la storia della strega Lyddie Shears che ancora oggi sarebbe la padrona di Winterslow Wood. Anche le successive cinque canzoni sono tutte originali ma stilisticamente fedeli alla tradizione, a partire dalla bella Marrow Seeds seguita da The Stranger On The Bank, scritta in risposta alla tradizionale Claudy Banks. Ethel è un gioiellino di parole e musica, leggero e poetico, così come la bella Wild Man Of The Sea. Tra queste spicca l’affascinante e oscura Tyger Fierce. Everything Possible è una cover dell’originale di Fred Small, riproposta in una chiave ancora più folk dell’originale e decisamente più ricca musicalmente. Bread & Roses si ispira ad una poesia del 1910 di James Oppenheim e qui proposta nella versione in musica di Mimi Fariña del 1974. Si chiude con Les Tricoteuses scritta da Jenny Reid, uno dei momenti più alti di questo album, ispirato alla figura delle lavoratrici a maglia che assistevano in prima fila alle decapitazioni durante la rivoluzione francese.

A Seed Of Gold è un album ricco di ottime canzoni folk dalle quali ancora una volta Rosie Hood, con la complicità della sua band, trae nuova linfa ed ispirazione. Tra brani tradizionali, cover ed originali si assapora la poesia della natura e la bellezza della vita che resiste. Un passo in avanti deciso e nella direzione giusta per Rosie Hood che si conferma essere una delle più talentuose cantautrici ed interpreti della scena folk inglese di nuova generazione. L’apporto di una band è stato fondamentale per dare maggiore profondità e forza alla sua musica dimostrandosi una scelta giusta. A Seed Of Gold è probabilmente l’album folk migliore che ho potuto ascoltare quest’anno.

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Non ho mai saputo niente dell’amore

Nel 2020 mi incuriosì, dopo aver letto diverse recesioni positive, l’album The Things We Don’t Know Yet della cantautrice danese Ida Wenøe. Ricordo che lo trovai di mio gusto ma per qualche motivo non riportai tra queste pagine le mie impressioni di allora. Ascoltai l’album subito prima che scoppiasse la pandemia e, travolto dagli eventi, finì presto per essere dimenticato. Per la verità il nome di Ida Wenøe non lo dimenticai del tutto. Infatti non è passato inosservato il suo nuovo Undersea che, devo ammettere, ero molto indeciso se ascoltare o meno. Ma io sono sempre per dare una seconda possibilità e anche questa volta non ho fatto eccezione. Ho fatto bene.

Ida Wenøe
Ida Wenøe

La traccia di apertura, Not Here, ci cattura subito con le note di una chitarra e la voce cristallina della Wenøe. Il suo è folk contemporaneo dalle influenze alternative e noir, come possiamo sentire nella bella ed essenziale Don´t You Grow Weary, nella poetica Shapeshifting o nella delicata Curtains. Le origini nordiche della Wenøe sono un altro aspetto che influenza inevitabilmente la sua musica, come succede nell’oscura Pretend e nella leggera With The Wind. Atmosfere malinconiche prendono forma grazie ad un’attenzione particolare alla melodia e ai dettagli. Halfway Nowhere e Walking Mantra ne sono degli esempi. Tra le mie preferite in assoluto ci sono la cupa Mourning Time e la straordinaria e affascinante The Lighthouse / Bay of Woe.

Con Undersea riscopro Ida Wenøe nella sua forma più folk ed essenziale. Un album che mi ha sorpreso per la sua spontaneità, che emerge soprattutto grazie alla cura nei dettagli, apprezzabili ascolto dopo ascolto. Un album fatto di emozioni diverse ma percorso da un’ispirazione comune di grande forza e chiarezza. Undersea si candida ad essere una delle sorprese di questo anno che sta per finire. Il consiglio di non buttare via niente va bene anche quando si tratta di musica. Anche un nome già conosciuto può rivelarsi una piacevole novità, come in questo caso.

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La neve dei tempi andati

Tra gli album di debutto di quest’anno mi ero segnato sul calendario uscita di Snows of Yesteryear, omonimo del trio di stanza a Glasgow, composto da Kat Orr (piano e voce), David Mitchell (chitarra) e Yuuka Yamada-Garner (violino). Questo album mi aveva subito incuriosito sia per la voce cristallina, sia per le sonorità folk molto interessanti che si potevano sentire nei singoli pubblicato. L’album è uscito lo scorso agosto e fin dal primo ascolto ho capito che stavo ascoltando un album più sorprendente di quello che mi aspettassi inizialmente.

Snows of Yesteryear
Snows of Yesteryear

Il singolo Wait By The Shore ci introduce al sound di questo trio folk, che mescola la purezza delle sonorità tradizionali con elementi indie di grande effetto. Un esempio di questo perfetto equilibrio lo possiamo sentire in canzoni come Something Shatters che introduce una lieve venatura rock, molto più marcata nella bella Deer Across My Path. La voce della Orr ben si adatta ad ogni sfumatura che il trio sa offrire. La sua voce è centrale nella splendida Counting Stars o nella melodiosa Miles Away. Le sonorità della tradizione scozzese abbracciano tutto l’album anche grazie alle immancabili note del violino della Yamada-Garner che si prendono la scena in modo particolare nel valzer di Danny’s Waltz. Non manca delle ballate davvero ben riuscite e orecchiabili come Love is Like a Snare o la malinconica Bubbles Burst. Più alternativa e moderna l’affascinante Last Thing You Remember. Chiude l’album Rest and Be Thankful una poetica ballata dal gusto folk rock che ancora una volta colpisce nel segno.

Snows of Yesteryear è un album che non si può considerare un semplice debutto ma piuttosto un nuovo inizio per un trio di artisti ben consci dei loro mezzi. Dieci canzoni che richiamano le sonorità di un panorama folk ampio e vario ma saldo nel voler rimanere legato all’immaginario del folk scozzese. Gli Snows of Yesteryear dimostrano ci saper fare folk sotto ogni punto di vista, lasciando spazio a ciascuno dei tre componenti, oltre che affidare tutto alla voce pulita e carismatica di Kat Orr. In conclusione, Snows of Yesteryear, è probabilmente l’album di debutto che più ha sorpreso e deliziato quest’anno, un gioiellino nascosto che invito tutti a scoprire.

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Lascia che i segreti entrino dalla porta

Era il 2012 quando ascoltai per la prima volta la musica di Rachel Sermanni e il suo album di debutto Under Mountains. Ebbene sì, questa cantautrice scozzese può vantare una carriera ormai ultra-decennale, scandita da quattro album, tra cui il nuovo Dreamer Awake. Questo album vede la luce a distanza di quattro anni dal precedente So It Turns, seguito poi dai due EP, Swallow Me e Every Swimming Pool Runs To The Sea. Anche se nel corso degli anni lo stile della Sermanni è cambiato, ciò che è rimasto lo stesso è lo spirito poetico e delicato che da sempre la caratterizza. Eppure con questo nuovo album sembra voler provare ad accarezzare le sonorità più acerbe degli inizi.

Rachel Sermanni
Rachel Sermanni

Dreamer, che apre l’album, è una canzone delle caratteristiche tipiche del folk della Sermanni. Tinte scure e voce morbida sono da sempre parte della sua musica e le ritroviamo anche in Big Desire. Se si vuole ascoltare la parte più intimistica e fragile della Sermanni si devono ascoltare canzoni come la luminosa Choosing Me o l’essenziale Death Mermaids. Qui si coglie tutta la purezza della voce dei quest’artista, capace di rievocare le sonorità dell’esordio, quel indie folk delicato e sognante. Lo si può ascoltare ancora più chiaramente nella splendida Grace Of Autumn Gold, oppure nella scarna True Love Lets Go. La dolce e poetica In Her Place, ispirata dalla maternità, ci fa ammirare l’abilità della penna della Sermanni. Non è da meno la conclusiva Liminal o l’evanescente Killer Line. Il singolo Jacob ben racchiude l’anima di questa raccolta di canzoni.

Dreamer Awake ci offre la possibilità di ascoltare una Rachel Sermanni nel pieno della sua forma, dove le sue prime sonorità si incontrano con quelle più recenti. Il risultato è poetico ed evocativo ma allo stesso tempo forte e sicuro. Ogni canzone è un gentile approccio alla vita, un delicato tentativo di racchiudere un sentimento, anche il più piccolo e sfuggente. Dreamer Awake è un album semplicemente perfetto e ben bilanciato, fatto con il cuore, quasi un regalo a chi ascolta. Rachel Sermanni sembra aver trovato la giusta quadra, grazie ad una maturità artistica acquisita sul campo. Grazie Rachel.

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Gli agnelli danzano sui ciuffi di erica

Da quando ho iniziato ad appassionarmi alla musica folk, sono diversi gli artisti che si sono aggiunti alla mia collezione. A ben vedere però, molti di questi sono scozzesi e di conseguenza il folk scozzese prevale su tutti gli altri. Tra le voci che più mi hanno fatto appassionare al genere, c’è senza dubbio quella di Claire Hastings. Dopo l’album Those Who Roam del 2019, si è presa una pausa dalla musica a seguito della nascita della figlia Nuala. Ma proprio questo evento l’ha condotta al nuovo Lullabies From Scotland, una raccolta di nove ninnananne rigorosamente made in Scotland.

Claire Hastings
Claire Hastings

Dream Angus da inizio all’album. Una ninnananna scritta da George Churchill e riproposta qui dalla Hastings in una versione minimale, incentrata sulla sua voce, così come la bella Gille Beag O. My Little One è un brano originale che mescola la tradizione che con pizzico di modernità. Un grande classico della tradizione è certamente Ca’ the Yowes, scritta dal bardo Robert Burn e reinterpretato dalla Hastings in maniera impeccabile. Coorie Doon è un’altra ninnananna, orecchiabile e melodiosa, scritta dall’irlandese Matt McGinn e dedicata ai minatori. Minnie o Shirva’s Cradle Song è una canzone tradizionale in lingua scots, dal testo rassicurante e poetico. Fa parte della tradizione The Bressay Lullaby, delicata e fragile. Matthew’s Lullaby punta ancora sull’essenziale e aggiunge un tocco di malinconia e mistero. Si chiude con Cradle Lullaby che riprende le sonorità degli esordi della Hastings per regalarci un’altra ninnananna.

Lullabies From Scotland è prima di tutto una raccolta di ninnananne ma oltre a ciò è un ottimo esempio di folk scozzese. Claire Hastings ha una voce unica che non fa altro che amplificare la bellezza di queste canzoni, rendendole ancor più melodiose e quindi perfette per fa addormentare i bambini. Chi non è più un bambino, come me, rimarrà affascinato da Lullabies From Scotland, che forse non funzionerà come ninnananna ma offrirà lo stesso qualche minuto di riflessione e conforto.

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