Giovane fuoco, vecchia fiamma, ep. 3

Questa settimana ho letto un interessante articolo che riguardava la fruizione della musica nel mondo e in Italia. Per correttezza pubblico il link dal quale l’ho letto: La musica in download vicina all’estinzione. Lo streaming a pagamento è quasi metà del fatturato globale.
Tra l’altro ultimamente, ho l’abitudine di appuntarmi, a chissà quale scopo, gli articoli più interessanti che trovo online. A volte devo ammettere che mi tornano utili, altre volte sinceramente non so perché li metto da parte. Ma torniamo al tema di questo articolo. Il titolo è eloquente, lo streaming musicale si sta divorando il download ma ha ancora pietà per CD e vinili. In Italia chi scarica ancora musica (legalmente s’intende) rappresenta solo l’1% del totale. Sapevo che la mia abitudine di comprare musica in digitale era da tempo passata di moda ma non credevo di essere parte di una così ristretta minoranza.

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Pugni chiusi

Anche se a me sono sembrati di meno, sono passati tre anni dall’ultimo In Dream, quinto album della band britannica Editors. Il gruppo guidato dal carismatico Tom Smith è tornato quest’anno con la sesta fatica intitolata Violence. Quando si affronta un loro nuovo album bisogna sempre prepararsi a trovarci dentro qualcosa di diverso dai precedenti. Gli Editors sono sempre stati in precario equilibrio tra una band da stadio e il gruppo alternativo poco mainstream. Se da una parte è un bene, il non essersi piegati a facili hit alla Coldplay, dall’altra Smith e soci sono spesso tenuti poco in considerazione quando si citano le migliori band degli anni ’00. Questo Violence è dunque l’ennesimo ritorno che dal quale non sai cosa aspettarti. O forse lo sai già.

Editors
Editors

Cold apre l’album, affidandosi alle sonorità tipiche della band, nella quale ritroviamo l’elettronica che torna a concedere spazio alle chitarre. Un brano pop rock dalle tinte scure e non può essere altrimenti quando si ha che fare con gli Editors, “It’s a lonely life, a long and lonely life / Stay with me and / Be a ghost tonight, be a ghost tonight / But don’t you be so cold“. Se c’è una canzone che avrei voluto sentir fare da anni a questo gruppo, questa potrebbe essere proprio Halleluia (So Low). Testo criptico ma soprattutto un piglio energico e distorto. Finalmente la band di Tom Smith ritrova la scossa giusta, esprimendosi in una delle migliori canzoni di questo album, “You sold me a second hand joke / Young man, where there’s fire there’s smoke / Your mouth is fire and smoke / Just don’t leave this old dog to go lame / This life requires another name“. La title track Violence permette al gruppo di tirare fuori di nuovo i synth e tornare ai sui standard volutamente più epici. Oltre sei minuti di canzone nella quale la tensione è costante senza picchi. Un finale strumentale arricchisce e completa il tutto, “Baby we’re nothing but violence / Desperate, so desperate and fearless / Mess me around until my heart breaks / I just need to feel it / Baby we’re nothing but violence / Desperate, so desperate and fearless / Desperate and fearless“. Darkness At The Door è un vibrante rock che da un po’ di luce all’album. Un ritorno prepotente delle chitarre scorre come sangue nelle vene della musica degli Editors. Un altro gran pezzo da ascoltare, “This old town still gets out of line / Darkness at the door to greet me / This old town still gets out of line / Darkness at the door to greet me“. Nothingness si affida alla voce magnetica di Smith, ricalcando le orme del precedente album. Gli Editors nuotano in acque sicure ma riescono comunque a mantenere alta l’attenzione dell’ascoltatore, “I’m not mining for gold / But insecurity / Fooled by a trick of the light / Are you there? / I’m not breaking the mould / I wouldn’t fill it / Hold my life in your hands / If you dare“. Il singolo Magazine è un’invettiva verso i potenti corretti. Ancora una volta la band di Birmingham dimostra di avere tanta energia da mettere in musica, mescolando con attenzione degli ingredienti, “Now talk the loudest with a clenched fist / Top of a hit list, gag a witness / It takes a fat lip to run a tight ship / Just talk the loudest with a clenched fist“. Nonostante sia da diversi anni che circola questa canzone, No Sound But The Wind, non era mai stata pubblicata in un album. Originariamente scritta per la colonna sonora per un film della saga di Twilight, trova finalmente il suo posto in questo album. Una ballata romantica al pianoforte che mancava da un po’ nella loro musica, “Help me to carry the fire / We will keep it alight together / Help me to carry the fire / It will light our way forever“. Counting Spooks ci riporta ai fasti di In This Light And On This Evening anche se meno oscura e opprimente. Un ritornello che spicca sul sottofondo musicale, che nel finale si trasforma in un ritmo disco, “It’s getting late / The skyline’s a state / This city’s tired like we are / We’re holding it together / Counting spooks forever / I’m just so tired of numbers“. Chiude l’album, Belong, dove gli Editors sfoderano un lato più poetico e solitario. Un aspetto inedito e poco sfruttato dalla band. Un brano allietato da un accompagnamento orchestrale, interrotto dai riff elettrici delle chitarre, “In this room / A wilderness / You’re the calm / In that dress / Circling birds / Spits of rain / Rest your head / On the windowpane“.

In Violence (in copertina le prime due lettere VI compongono il numero sei romano, ad indicare il sesto album) gli Editors sembrano fare pace con sé stessi. Limitandosi a proporre solo nove canzoni, sono riuscita a conciliare le diverse anime dei loro album precedenti. Non hanno rinunciato né alle chitarre né ai synth, dando così uniformità all’intero lavoro non solo al suo interno ma anche rapportato con il resto della loro produzione. Tom Smith e la sua band sono tornati con grande energia in quello che sembra essere una sorta di album di transizione dove la strada da intraprendere non è ancora stata decisa. Quando si parla degli Editors non si sa mai se ne troveranno una, ma non è detto che questo sia una cosa negativa. Violence si tratta, a mio parere, dell’album più convincente della band dai tempi di In This Light And On This Evening e fa ben sperare per il futuro di questo gruppo da sempre messo alla prova da pubblico e critica.

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Visioni cosmiche

Lasciai questa band olandese alle prese con un folk etereo, dalle contaminazioni americane, circa due anni fa e ora li ritrovo un po’ cambiati. I Mister And Mississippi sono tornati quest’anno con il loro terzo album, intitolato Mirage. La copertina spaziale e vagamente psichedelica, lasciava intravedere una svolta piuttosto decisa verso sonorità lontane dal folk degli esordi. I primi singoli, non hanno fatto altro che confermare questa mia sensazione. Quando c’è da esplorare un mondo nuovo, anzi qui si parla di spazio interstellare, io non mi tiro indietro. Mirage mi incuriosiva e non vedevo l’ora di ascoltarlo. Maxime Barlag e soci mi hanno colto impreparato ma non significa che sia un male. Affatto.

Mister And Mississippi
Mister And Mississippi

L’album si apre con la contagiosa Wolfpack. La voce della Barlag è distorta e aleggia tra linee di basso ed eco elettronici. Subito si delinea il nuovo corso della band, che tra i synth, trova una forma nuova e convincente. Anche la successiva Lush Looms fa leva sul ritmo e sulla voce morbida ma vagamente fredda della Barlag. Il ritornello è orecchiabile e richiama alla memoria un sound anni ’90. Il revival di questo decennio un po’ dimenticato sembra cominciato davvero. La successiva The Repetition Of Being Alone è più vicina alle produzioni precedenti del gruppo. A mio parere una delle migliori canzoni dell’album che dimostra l’abilità della band nello scrivere canzoni. La titletrack Mirage si apre con un muro di chitarre distorte, spezzato dalla voce sognante ed eterea della Barlag. Il sound è una sorta di rock psichedelico lanciato verso un futuro fantascientifico. Ed è proprio questa l’anima dell’album. Il singolo HAL9000 è un accattivante brano, facile da ricordare. Il titolo è ispirata al celebre supercomputer della navicella Discovery del film di Kubrick 2001: Odissea nello spazio. Una canzone davvero ben fatta. La successiva Pulsar sembra uscita da un album degli Editors. Suoni elettronici e futuristici danno forma alle nuove sonorità new wave dei Mister And Mississippi. Una canzone che di fatto non decolla mai, viaggiando a velocità costante nello spazio. Con i suoi cinque minuti e mezzo, Vices/Virtues è il tentativo di produrre un brano dai tratti epici, alleggerito dal ritornello. La band in questo brano riesce a coniugare al meglio il suo passato e il suo presente, arricchendosi di dettagli musicali. Interstellar Love Part I è un breve intro musicale ad Interstellar Love Part II che rappresenta il cuore pulsante dell’album. Sonorità anni ’80 per una delle canzoni più mature e ispirate di questo album. L’artificiosità dei suoni e il finale sperimentale meritano un’attenzione particolare. Da ascoltare. Replicants è un finale etereo, vibrante che ripropone i tratti caratteristici del gruppo ma sotto una forma più moderna e più coraggiosa. Un brano segna la fine di un viaggio nel buio dello spazio infinito.

I Mister And Mississippi con Mirage, riescono nella non facile impresa di cambiare, anche piuttosto radicalmente, senza perdere la loro identità. La forza di questo album sta nella coesione tra le singole tracce che lo compongono. Tutto riconduce ad immagini di stelle lontane e pianeti sconosciuti. Che siano dentro di noi o al di fuori, questo sta all’ascoltatore decidere. Quella figura astratta in copertina è la perfetta sintesi di un album che ha tolto i Mister And Mississippi dalle pericolose sabbie mobili del pop folk, lanciandoli in orbita, tra new wave e revival anni ’80. Guidati dalla carismatica Maxime Barlag, sempre più protagonista, il gruppo olandese riesce a sorprendere e a spazzare via un po’ della polvere che si era formata sull’ultimo album.

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Paura di cadere

Non ricordo quanto tempo sia passato dalla prima volta che ascoltai una canzone degli Editors, una versione acustica di Smokers Outside The Hospital Doors per MTV. Forse era il 2007 o il 2008 quando mi innamorai della voce di Tom Smith e di quel gruppo che è ritornato quest’anno con l’album In Dream. Si tratta del quinto della loro discografia, il secondo con la nuova formazione priva del chitarrista Chris Urbanowicz. Il precedente The Weight Of Your Love del 2013 era il risultato di un recupero dei brani scritti con l’ex chitarrista durato quattro anni. Un album che lasciò qualche perplessità e qualche buona sensazione per il futuro ma che deluse molti fan legati al quel sound dei primi due album. Questa volta il gruppo è partito da zero cercando di trovare un’identità nuova, che passa sempre dalla voce del leader Tom Smith. Eccoci dunque di fronte a In Dream, ennesimo cambio di direzione per la band inglese, ennesimo tentativo di trovare una definitiva consacrazione.

Editors
Editors

No Harm reintroduce i synths abbandonati da In This Light And On This Evening ma più leggeri e meno opprimenti. Smith si prende la scena con la sua voce inconfondibile e da forma ad una canzone essenziale ed intensa. Un gradito ritorno alle atmosfere oscure, tipiche del gruppo, “The fever I feel, the fake and the real / I’m a go-getter / My world just expands / Things just break in my hands / I’m a go-getter“. La successiva Ocean Of Nigth è portatrice di un po’ di luce, notturna e lontana. Quasi ci culla veloce verso una notte senza fine, trasfortati da una confortante melodia. In sottofondo la voce femminile di Rachel Goswell (Slowdive) che duetterà più avanti con Smith. Una delle migliori dell’album, “Wasting on nothing / Effortlessly, you appear / Sound of the thunder / Reverberate in your ears / This is a slow dance / This is the chance to transform / Pause for the silence / In habit, the calm of the storm“. Forgiveness fa tanto anni ’80. Sembra di tornare indietro e ritrovare gli Editors che conosciamo. C’è energia e rabbia che non sfocia in un sound epico nel quale Smith e soci sono talvolta caduti, “The line in the sand ain’t drawn for everyone / The flag in your hand don’t make you American / Stripping your soul back, be forever young, forever young / Forever young“. Salvation apre con gli archi e continua con l’elettronica facendo galleggiare Smith in un’aria densa. Il ritornello è un’esplosione, un cambio di marcia carico di energia che spezza l’equilibrio. Una buona canzone, forse un po’ frammentaria ma potente, “Son, you were made to suffer / Oh, but the morning comes / Oh, when the light is failing / Temptation takes you to / Salvation / Swimming with the swarm of electric stars / Salvation / Deliverance is ours by the light of the stars“. Il pezzo forte dell’album è sicuramente Life Is A Fear, pulsazione elettroniche ci catturano e ci trascinano tra laser e luci stroboscopiche. Tom Smith ancora una volta non disdegna il falsetto ma non manca di cantare a piena voce. Da ascoltare, “Every siren often my lullaby / Every heartbeat functioning thrown to the night / I’m quenched in your light / And see the floor rising through a dream / Forgotten thoughts lost in a memorable theme / And soaked to the skin“. The Law è essenziale e minimalista, dove trova posto Rachel Goswell con la sua voce fredda. Anche se c’è tutta l’intenzione di sperimentare, forse questo brano è un po’ debole e sottotono. Lecito aspettarsi di meglio dagli Editors, “What’s that accent? Where are you from? / What are you drinking? How’d I get some? / Sinking my teeth into something new / Doing what my maker taught me to“. Our Love è troppo disco per i miei gusti. Quel falsetto poi è troppo. No, questa non mi piace e più l’ascolto e più mi convinco che non fa per me. La salvo solo per il finale, “All eyes on you now / The cigarette burning, the taste of ash in your mouth / I understand, I understand / This ain’t a dream, it’s your world caving in (I always knew) / Your world caving in (I always knew)“. Ma gli Editors si riscattano con la bella All The Kings. Si torna a sentire Smith in tutto il suo splendore, che insegue il ritmo e la melodia, è questo che voglio sentire. Il brano si chiude con un estratto da Harm, canzone contenuta nella versione deluxe, “The place where we met is haunted by thieves / Sifting through memories, from the foreign leaves / Oh, bank us your soul, now race with the clock / Immunity over, take a moment, then stop“. Una ballata triste e profonda come solo gli Editors sanno fare è racchiusa in At All Cost. La voce di Smith è fredda e lontana, tutto è rallentato e confuso. Senza orpelli nè distrazioni, essenziale, “When I’m calm / And oh, I’d lie / And all my doubts are dead / Take me back to then / Don’t let it get lost / Don’t let it get lost / At all cost / At all cost“. Chiude l’album Marching Orders, lunga marcia che sfiora gli otto minuti. Una canzone epica e malinconica. Una bella canzone che dimostra che questo gruppo ha ancora qualcosa da dare. Un saluto perfetto, “I used to write down my dreams / Now they’re gone when my eyes open on you / Well even though you’ve fucked up / There’s still the makings of a dreamer in you“.

In Dream è un album nel quale gli Editors decidono di guardarsi indietro e provare qualcosa di nuovo. Il paragone con In This Light And On This Evening vale solo per l’uso preponderante dei sintetizzatori sulle chitarre, perchè questa volta si intravede una luce in fondo al tunnel. Gli Editors sono tornati con la voglia di fare bene e ci sono riusciti ma manca ancora quell’identità che permetterebbe loro di staccarsi una volta per tutte dai loro modelli. Restano vittime della critica che sembra aver perso fiducia in questo gruppo, troppo simile a tanti suoi predecessori. No, In Dream, non è ancora l’album perfetto, quella pietra miliare che segnerà la loro carriera. Gli Editors sembrano destinati a scrivere album sempre ottimi, a volte buoni, ma non sembrano destinati a sfornare un capolavoro. Con questo album, la nuova formazione, ha stabilito le nuove linee guida per il futuro, affidandosi a Tom Smith e al suo carisma. Proprio lui, che campeggia da solo in copertina, come non era mai successo finora. Gli Editors restano ancora un gruppo dai tratti indefiniti ma paradossalmente in grado di sorprendere.