Non mi giudicate – 2022

Come tutti gli anni è giunto il momento di tirare le somme di questo 2022. Sono 72 i miei album usciti quest’anno e quindi candidabili per la breve selezione che troverete qui sotto. Come sempre, ma quest’anno in particolar modo, è stato difficile scegliere per alcune categorie. Forse anche a causa nel gran numero di album, molti di più del 2021. Avrei voluto dare spazio su questo blog ad altri album ma anche sulle recensioni ho dovuto fare delle scelte, spesso a malincuore. Ma tutto ciò mi ha aiutato a restringere la rosa dei candidati per questa lista. Ecco dunque svelati i miei personalissimi migliori album del 2022. Buona parte degli esclusi lì trovate comunque tutti qui: 2022. E i restanti? Li trovate un po’ qui, su Bandcamp, e un po’.. chissà dove.

  • Most Valuable Player: Aldous Harding
    Pochi altri artisti sono paragonabili a lei. Con il suo Warm Chris si conferma una delle più originali cantautrici della sua generazione. Una di quelle che si faranno ricordare a lungo. Ascoltare per credere.
    Amore è il nome del gioco
  • Most Valuable Album: Palomino
    Il ritorno delle First Aid Kit è segnato da un album eccezionale. Probabilmente il più bello della loro carriera sotto tutti i punti di vista. Positivo e solare ma venato di una malinconica maturità.
    Lascia che il vento ti riporti a casa
  • Best Pop Album: Dance Fever
    I Florence + The Machine danno vita ad un album potente ma allo stesso tempo fragile e insicuro. Le difficoltà del lockdown ci mostrano una Florence Welch meno dea e più mortale.
    Welch la Rossa, il diavolo e la voce d’oro
  • Best Folk Album: To Have You Near
    Categoria colma di ottimi album. Alla fine però l’angelica voce di Hannah Rarity riesce a spuntarla sulle contendenti. Il suo è un folk moderno ed emozionante che prende ispirazione dalla tradizione.
    Un vento pieno di ricordi
  • Best Country Album: No Regular Dog
    Pochi dubbi sul migliore album di questa categoria. Kelsey Waldon ci regala un album solido nel quale ogni canzone si completa con le altre, dove non c’è un solo passo falso. Non so quante volte l’ho riascoltato.
    Consunto come un vecchio paio di jeans
  • Best Singer/Songwriter Album: Loose Future
    Altra categoria affollata di ottimi album. Ho voluto premiare il coraggio di Courtney Marie Andrews di rinnovarsi e trovare nuove strade. Il risultato è ottimo come lo è sempre stato per questa cantautrice americana.
    La vita è migliore senza piani
  • Best Instrumental Album: Beatha
    Quest’anno ho ascoltato album prevalentemente strumentali più del solito. La mia scelta ricade però su quello di Tina Jordan Rees, stimata musicista scozzese, che debutta da solista con le sue composizioni originali.
  • Rookie of the Year: Iona Lane
    Con Hallival questa cantautrice inglese debutta con un album che è una finestra sulle bellezze della natura ma anche sugli uomini che la abitano, arrivando infine a noi stessi. Un folk moderno e senza tempo.
    Brutale bellezza avvolta dalle mareggiate occidentali
  • Sixth Player of the Year: Katie Spencer
    Quando ascoltai The Edge Of The Land non avrei mai pensato di inserirlo tra i migliori di quest’anno. Ma pian piano è cresciuto e ogni tanto mi chiama ancora a sé ed io ritorno piacevolmente da Katie.
    Come il gelsomino la sera
  • Defensive Player of the Year: Erin Rae
    Non poteva mancare questa cantautrice con il suo Lighten Up che torna a deliziarci con la sua voce unica e le sue canzoni sincere. Un album rassicurante e familiare, dove rifugiarsi quando se ne sente il bisogno.
    Sotto un vecchio familiare bagliore
  • Most Improved Player: Hailey Whitters
    La mia scelta ricade, senza esitazioni, sull’album Raised. Il country spensierato e solare ma anche un po’ nostalgico di questa cantautrice trova qui la sua massima espressione. Semplicemente irresistibile.
  • Throwback Album of the Year: Saint Cloud
    Complice il debutto del duo Planis, ho riscoperto questo album del 2020 di Waxahatchee ovvero Katie Crutchfield. La sua voce carismatica e il suo stile particolare mi hanno conquistato subito.
    Mi ritorni in mente, ep. 86
  • Earworm of the Year: Karma Climb
    Molte sono le canzoni che mi sono ronzate in testa per un bel po’. Forse più delle altre c’è questa degli Editors, che sono tornati come sempre carichi di novità, con il loro EBM. Tom Smith è una garanzia.
    È così che ci nascondiamo dalla vita moderna
  • Best Extended Play: I Promised You Light
    Sono ben due gli EP pubblicati quest’anno da Josienne Clarke, uno di brani originali e uno di splendide cover. Ho scelto il primo solo perché ne ho scritto a riguardo da queste parti ma anche l’altro Now & Then merita un ascolto.
    Queste furono le prime luci
  • Honourable Mention: Nikki Lane
    Non potevo dimenticare lei e il suo Denim & Diamonds. Un ritorno in grande stile a distanza di anni. Una album maturo e personale che segna una svolta rock ma che non rinnega l’anima outlaw country di questa cantautrice.
    Ti farà girare e ti sputerà fuori

Mi ritorni in mente, ep. 87

Arriva il Natale e non possono mancare le innumerevoli versioni delle varie canzoni natalizie. Dai classici senza tempo a quelle più particolari, passando per alcune originali. Ovviamente capita spesso che artisti diversi propongano le stessa canzoni riviste secondo il loro stile e gusto.

Quest’anno ho voluto raddoppiare e farvi ascoltare due versioni di The Little Drummer Boy, anche conosciuta come The Carol of the Drum. L’originale è della compositrice statunitense Katherine K. Davis che la scrisse nel 1941. In Italia non è molto conosciuta ma se vi interessa esiste anche la versione italiana intitolata Il Piccolo Tamburino. Io vi propongo due versioni diametralmente opposte. Una più classica e vagamente soul di Lauren Daigle, che punta tutto sulla splendida voce di quest’artista, e l’altra è decisamente più sperimentale e alternativa. I Wintersleep e il loro “little dummer boy” Loel Campbell ci danno dentro. Ognuno ha il Natale che preferisce e qualsiasi sia il vostro, vi faccio i miei sinceri auguri.

Meglio tardi che mai, ep. 2

Prima di che finisca anche quest’anno ho deciso di raccogliere qui qualche uscita che avrebbe meritato un post dedicato su questo blog. Purtroppo non è stato possibile nelle scorse settimane ma ora è arrivato i momento di rimediare. Ecco dunque qualche consiglio. Sarò breve, lo prometto, lascio spazio alla musica.


Fritillaries è un progetto della cantautrice folk Hannah Pawson che debutta con l’omonimo Fritillaries. Insieme al musicista Gabriel Wynne, propone un folk moderno ma allo stesso tempo non lontano dalla tradizione inglese. L’album è davvero molto bello e vario. Atmosfere distese e malinconiche vi accompagneranno lungo tutta la sua durata. Un nome da tenere presente in futuro.


Per la cantautrice canadese Rosie Valland, il nuovo Emmanuelle rappresenta il suo terzo album, nonché la conferma dei quanto ci ha fatto ascoltare con il precedente BLUE. Il suo è un pop moderno nel quale non mancano sperimentazioni ma in più occasioni si dimostra anche capace di creare melodie orecchiabile e accattivanti, come nel caso di Attiser le dilemme.


Quest’anno ha visto anche il ritorno di una delle voci più belle del folk scozzese, ovvero quella di Siobhan Miller. Nel suo nuovo album Bloom, riunisce la band che l’ha accompagnata nel fortunato Strata, portando nuova linfa ai brani tradizionali e cover contemporanee. La voce della Miller è sempre perfetta e pulita in questo album nel quale si respira l’amore per il folk in tutte le sue sfumature.


Andrea von Kampen è una cantautrice folk americana che debutta ora anche come attrice nel film A Chance To Encounter. Nel film interpretata una cantautrice folk che trova l’amore in Italia, più precisamente a Taormina. Le canzoni del film, interpretate dalla von Kampen, sono raccolte in un EP omonimo del film. In attesa di vedere il film (molto probabilmente disponibile solo in lingua originale) si può ascoltare questa manciata di canzoni davvero piacevole, nello stile delicato di quest’artista.

L’inverno non viene mai meno al suo dovere

Cosa può nascere da un gruppo di amici che mette in piedi una band nella quale ognuno porta le proprie esperienze ed influenze? Una risposta potrebbe darcela un “supergruppo” formato da artisti esperti che attraversano Regno Unito. Il suo nome è The Magpie Arc. Personalmente sono venuto a conoscenza di questa band grazie a nomi a me noti, come Nancy Kerr e Findlay Napier. Insieme a loro ci sono Martin Simpson, Tom A Wright e Alex Hunter. Il loro primo album Glamour In The Grey sancisce definitamente l’inizio di un’avventura nata per puro piacere di fare musica insieme, dopo tre EP e registrazioni live. Ero sinceramente curioso di scoprire questo gruppo e così mi sono divorato tutti e tre gli EP (fortunatamente pubblicati poi in un unico pacchetto) e questo album di debutto. Oggi mi limiterò a consigliarvi l’album perché merita davvero un post dedicato su questo blog prima che l’anno volga al termine.

The Magpie Arc
The Magpie Arc

Si comincia subito alla grande con All I Planted, che mescola un folk rock trascinante alla voce inconfondibile della Kerr. Un inizio che cattura subito per le sue sonorità anni ’70 e l’energia messa in gioco. Non è da meno la successiva Don’t Leave The Door Open che è nelle mani sapienti di Napier che dà vita ad un power pop orecchiabile. Spazio alle chitarre che ci ricordano i tempi d’oro del rock inglese. C’è posto anche per la tradizione americana con Pans Of Biscuits. Questa volta è il turno di Simpson al microfono che ci regala un’interpretazione potente e di mestiere, che rimane fedele alle sonorità folk, sostenute però dalla vitalità del rock. Wassail è un salto indietro nel tempo dove psych rock e folk si incontrano in una turbolenta unione. Nancy Kerr guida le danze, aggiungendo fascino e mistero ad un tripudio di chitarre. Tough As Teddy Gardner prende in prestito molto dal rock anni ’70 ed è forse il brano nel quale si percepisce ancora più forte la volontà di questo gruppo di divertirsi e provare ad uscire dagli schemi. Dopo questa abbuffata rock, spazio al folk con Long Gone che racchiude però al suo interno un’anima prog. Un brano che fa da sponda al successivo The Gay Goshawk che rivede la Kerr in sella. Una canzone tradizionale proposta però nello stile che caratterizza la band e questo album. Con I Ain’t Going Nowhere ci si sposta in territori country finora inesplorati dai Magpie Arc che non vogliono porsi limiti, dimostrando così tutto il loro amore per la musica. Segue Jack Frost, una cover dell’originale di Mike Waterson. Una versione più ricca e potente che amplifica il fascino e il mistero dell’originale. The Cutty Wren chiude il cerchio e torna su un vibrante folk rock affidato alla voce della Kerr. Anche questa è una canzone tradizionale ma nelle mani dei Magpie Arc tutto assume una nuova forma.

Glamour In The Grey è un album estremante vario e altrettanto sorprendente. Rock e folk si mescolano, prevalendo a volte uno sull’altro ma restituendo nell’insieme un disco coerente, nato da un’idea comune molto chiara. Ogni canzone trasmette la passione di fare musica, di unire stili ed influenze diverse per fa nascere qualcosa di unico che allo stesso tempo richiama sonorità del passato. The Magpie Arc non è un supergruppo nato con un preciso scopo o con per ragioni commerciali. Per questo motivo è un esperimento perfettamente riuscito, un unione di forze che hanno portato a questo Glamour In The Grey. Ho scelto di farvi ascoltare All I Planted semplicemente a titolo esemplificativo ma ogni canzone merita un ascolto. Tutto l’album merita un ascolto. Non c’è modo migliore per chiudere questo anno, con una sorpresa come questa.

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Se fossimo fiammiferi, ci sarebbe il fuoco

Solitamente non sono il tipo che va in cerca di musica che mette allegria. Preferisco le melodie malinconiche e talvolta anche un po’ sentimentali. Capita a volte però, che le canzoni allegre trovino me. Spesso non sono di mio gusto e le scarto in fretta. Quando però l’artista si presenta con un sorriso sincero e una melodia orecchiabile di un genere musicale che preferisco, allora non mi resta che concedere un ascolto. Questo è il caso di Emily Nenni, cantautrice americana al suo secondo album, intitolato On The Ranch. Non ci è voluto molto per trascinarmi in un country spensierato, dalle sonorità vintage ma sempre gradevoli e accattivanti. Potrei ricredermi sulla musica allegra.

Emily Nenni
Emily Nenni

Can Chaser ci accoglie subito con un bel sound country che ci presenta una tipa davvero tosta, la regina del rodeo. La voce della Nenni è particolare e riconoscibile, perfetta per questo genere di canzoni, “She’ll ride that Appaloosa / In head-to-toe rhinestones / Roughie or a roper / Never you mind who she takes home / She’s no buckle bunny / She’s got some of her own / Clover leafin’ woman / You call her backyard grown“. La successiva Useless è tra quelle che preferisco di questo album. Un ritornello irresistibile, che rivendica il diritto di guadagnasi da vivere. L’interpretazione di questa artista è perfetta, “Oh, I’m workin’ to make a livin’ and that feels good, you see / Oh, I’m worthy and I’m willin’, I’ll bark and I’ll bite for free / Oh, I’ll try, try, try, you can bleed me dry / Oh, I’m useless if you ain’t got no use for me“. La title track On The Ranch è una divertente istantanea della vita in un ranch. Qui viene a galla tutta la simpatia e la spontaneità della Nenni, “Kitchen’s for two-steppin’ and trappin’ mice / Afternoons are for off-roadin’ and not thinkin’ twice / Crankin’ diesels be three for three, that way, you’ll be better company / Hangin’ ‘round, better be handy; early nights, oh, they can be nice“. C’è posto anche per le ballate come questa malinconica Leavin’. Una storia d’amore finita offre l’ispirazione per un brano sentimentale, addolcito dalla voce della cantautrice, “Bet you been plannin’ your great return / Some Sunday evenin’ / Once you were ready, and hands were steady / You’d come back beamin’ / There won’t be tears of joy, I’ve no more feelin’ / I haven’t missed you, you haven’t missed me / And I’m just leavin’“. In The Mornin’ è invece un’altra canzone ironica su una vita piena di impegni e sempre di fretta. Emily Nenni si affida al suo stile personale, per offrirci un’altra canzone leggera e orecchiabile, “In the mornin’, I got work to do / And in the afternoon, I’m a-walkin’ the dog / And come dinner time, taste what you been cookin’ / When the sun comes up, I’m hittin’ the road / Two sugars in my coffee to go“. Matches si ispira ancora all’amore, dando vita ad una bella canzone carica di sentimento. Una piccola variazione all’interno di questo album, “As the last cigarette goes out from lack of kisses / This smoke-filled room is full of wishes / The light in the corner tells I’m a liar / And if we were matches, there would be fire“. Segue Gates Of Hell che con amara ironia affronta la fine di un amore che sembrava destinato a durare a lungo. Un ballata country che si lascia ascoltare e scivola via leggera, “If that makes me the devil / I’ll greet you at the gates of Hell / I’ll be the one punchin’ the tickets / And weighin’ your bags as well / I was young and I thought pain was / A symptom of bein’ loved awful well / If that makes me the devil / I’ll greet you at the gates of Hell“. L’unica canzone non originale di questo album è Does Your Mother Know. L’originale è infatti degli ABBA e questa versione in chiave country è davvero ben riuscita, “Take it easy (Take it easy) / Better slow down, girl / That’s no way to go / Does your mother know? / Take it easy (Take it easy) / Try to cool it, girl / Take it nice and slow / Doеs your mother know?“. The Rooster And The Hen è un honky tonk immediato e trascinante. La Nenni dimostra di saperci fare anche in fatto di scrittura, affrontando tutto con leggerezza e immancabile ironia, “Well, the rooster and the hen met at a honky tonk / She was sittin’ pretty as a bump on a log / He’d ruffled many feathers under plenty of roofs / Wasn’t all that long ‘til they shared a coop“. Si chiude con Get On With It che abbraccia un country blues graffiante. Anche in questo caso quest’artista sa mettersi a suo agio e confezionare un’altra bella canzone, “The world is fixin’ to fall apart / Best that I can do, try to halt the hurt / Sit my ass at home, call my sisters on the phone / Spend my days and nights alone, throw my dog a bone“.

On The Ranch è un album country dal sapore genuino, condizionato dall’energia e la vitalità di Emily Nenni. Il sound senza tempo delle sue canzoni fa subito presa e non importa che sia qualcosa di già sentito. Perché se si sceglie un album come questo non è per ascoltare qualcosa di innovativo ma tutt’altro. Oltre alle canzoni più spensierate ed ironiche, offre momenti più malinconici e riflessivi, sempre però supportati da una positività che non manca mai nella scrittura di questa cantautrice. Anche se On The Ranch non avrà la visibilità di altri album country, sono sicuro che rappresenterà un punto di partenza per la carriera di Emily Nenni. La voce particolare, l’abilità nella scrittura e la spontaneità non mancano ma farsi strada nell’affollato panorama musicale di Nashville non è affatto facile. Non resta che aspettare, godersi On The Ranch e vedere un po’ che succede.

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