Il bisogno di sentire

La discografia della cantautrice inglese Lucy Rose è stata molto condizionata dalle esperienze di vita che hanno portato la stessa artista a rivedere le sue scelte musicali. Il suo debutto del 2012, Like I Used To (Timidi esordi) era caratterizzato da un delicato e timido indie pop che lasciava intravedere la sua spiccata sensibilità. Tre anni più tardi, dopo un lungo periodo di lavorazione, vede la luce Work It Out (Fino alla fine) condizionato da una, forse, troppo invadente produzione. Ci sono voluti altri due anni e tanti concerti in giro per il mondo, per fare tabula rasa e ricominciare con l’ottimo Something’s Changing (Circolo virtuoso). Lucy Rose non si è adagiata sulla sua ritrovata ispirazione ma ha provato a scavare più a fondo, esponendo sé stessa come mai aveva fatto. Il risultato è il nuovo album, dall’eloquente titolo No Words Left.

Lucy Rose
Lucy Rose

L’iniziale Conversation ci introduce nelle personali ed oscure atmosfere di questo album. La voce della Rose è fragile e il suo canto naturale e sincero. Un accompagnamento mai invadente ma toccante, rende questa canzone perfetta sotto ogni aspetto, “But I came for you / I’ve dreamt names for you / It’s true / No one makes me high like you do / And I craved for you / I lost sleep with you / Who knew? / No one loves me quite like you do“. Un breve passaggio strumentale dal titolo No Words Left Pt. 1 ci traghetta verso la successiva Solo(w). Un brano che sprofonda ancora di più nella penombra delle debolezze dell’anima. Un pianoforte guida la voce della Rose che appare sempre più rotta dal peso di qualcosa di più grande di lei. “Come back to me / You begged of me / Well you don’t have to be / What they ask you to be / It’s true I’m afraid of the morning / I’m afraid of the evening / But I can’t help it / When I am / Solo“. Treat Me Like A Woman si affida a sonorità molto care a questa cantautrice che non vuole mostrarsi come una donna forte ma una donna con le sue incertezze ma capace ancora di resistere, “And I’m afraid and I’m scared and I’m terrified / That these things won’t ever change / And I’m afraid and I’m scared and I’m terrified / That this is how it will be for all of my life“. The Confines Of This World è una canzone toccante, una confidenza profondamente personale ed intensa. Lucy Rose tocca uno dei punti più alti della sua intera produzione, “I really don’t mean to bring you down / And I need someone to talk to / And hey then I might’ve brought you down / And I need someone to see through / Well that person’s you“. Just A Moment è come un breve intervallo, nel quale si sentono solo poche note di una chitarra e qualche suono d’ambiente. Una pausa per riflettere che introduce Nobody Comes Around Here. Splendida ballata per pianoforte, accarezzata dalla voce inconfondibile della Rose. Con naturalezze e sentimento ci fa correre un brivido lungo la schiena. Cara Lucy, ci sei riuscita ancora, “The sky is still blue / But it’s not the same / The pain that you feel / It’s never gone away / And time is no one’s friend / And the day never ends / So lay down with me / Take my hand, I’ll try and understand“. What Does It Take ricalca le sonorità dell’album d’esordio, arricchendole con un accompagnamento d’archi squisito. Nonostante le apparenze è una canzone molto malinconica, “So take this old and beaten heart / Make it strong and make it stop / So take this old and beaten heart / Make it strong and make it stop / For me“. Ma le insicurezze continuano a spingere e Lucy Rose ci rende partecipi ancora delle sue emozioni con Save Me From Your Kindness. Un altro gioiellino di questo album, “Do I have to, do I have to say it out loud? / I’m not sure of anything / I’m walking around in a head-spin, oh / And I’m not sure of anything / Since there’s been a hole where you once were“. Con Pt. 2 chiude il brano aperto all’inizio dell’album e sembra esserne il suo manifesto. Non vuole nascondersi Lucy, “This time I’m looking out for me / And I won’t hesitate, you believe it / This time I’m looking out for me / Till’ I’m whole again / I need to feel“. Chiude l’album Song After Song. Ancora una canzone sincera, fatta di immagini familiari, come sempre tratteggiate con la mano leggera di questa cantautrice di raro talento, “She’s singing / Song after song after song / All about me and my misery / She lie on my bed, stroke my head, touch my face / Tell me I’ll be alright and I’ll be just fine / But she’s still blue“.

No Words Left è una album speciale che vede Lucy Rose all’apice della sua espressione artistica. Tutte le canzoni sono accomunate da un sentimento profondo che espone l’animo di questa ragazza sulla soglia dei trentanni. Io e Lucy siamo coetanei e questa è una cosa che mi ha sempre affascinato in un artista. Il suo quarto album è un ritratto di una donna che affronta le sue insicurezze in un’età nella quale si è troppo grandi per continuare a fare i ragazzi e troppo giovani per diventare adulti. Ma questo No Words Left rappresenta qualcosa di più ampio e profondo. Ogni canzone sembra nascere sul momento, non c’è un racconto, un filo conduttore ma solo un flusso continuo, così sincero da mettere in difficoltà l’ascoltatore. In definitiva No Words Left è un album splendido per la sua sincerità, scritto per liberarsi di un peso, o più di uno, e non per allietare un ascolto distratto.

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Non mi giudicate – 2017

L’ultimo giorno è arrivato e come sono solito fare da tre anni, pubblico una lista dei migliori album di questo 2017 appena finito. Se devo essere sincero, questa volta ho fatto davvero fatica a scegliere. Non perché è stato un anno povero di buona musica, al contrario, ho dovuto “sacrificare” qualcuno che ha comunque trovato spazio per una menzione d’onore dopo gli album e gli artisti premiati. Per chi volesse avere una panoramica più completa di tutti i nuovi album che ho ascoltato quest’anno può trovarli tutti qui: 2017. In realtà, ci sono altri album che non hanno avuto spazio su questo blog, forse lo troveranno in futuro o forse no.

  • Most Valuable Player: Amy Macdonald
    Lasciatemi cominciare con il ritorno di Amy Macdonald e il suo nuovo Under Stars a cinque anni di distanza dall’ultimo album. Un ritorno che attendevo da tempo e non poteva mancare in questa rassegna di fine anno. Bentornata.
    Amy Macdonald – Down By The Water
  • Most Valuable Album: Semper Femina
    Laura Marling è sempre Laura Marling. Il suo Semper Femina è la dimostrazione che la Marling non può sbagliare, è più forte di lei. Ogni due anni lei ritorna e ci fa sentire di cosa è capace. Inimitabile.
    Laura Marling – Nouel
  • Best Pop Album: Lust For Life
    Non passano molti album pop da queste parti ma ogni volta che c’è Lana Del Rey non posso tirarmi indietro. Lust For Life è uno dei migliori della Del Rey che è riuscita a non cadere nella tentazione di essere una qualunque pop star. Stregata.
    Lana Del Rey – White Mustang
  • Best Folk Album: The Fairest Flower of Womankind
    La bravura di Lindsay Straw e la sua ricerca per questa sorta di concept album sono eccezionali. Un album folk nel vero senso del termine che mi ha fatto avvicinare come non mai alla canzone tradizionale d’oltre Manica. Appassionante.
    Lindsay Straw – Maid on the Shore
  • Best Country Album: All American Made
    Il secondo album di Margo Price la riconferma come una delle migliori cantautrici country in circolazione con uno stile inconfondibile. Non mancano le tematiche impegnate oltre alle storie di vita americana. Imperdibile.
    Margo Price – A Little Pain
  • Best Singer/Songwriter Album: The Weather Station
    Determinato e convincete il ritorno di Tamara Lindeman, sempre più a sua agio lontano delle sonorità folk. Il suo album omonimo è un flusso di coscienza ininterrotto nel quale viene a galla tutta la sua personalità. Profondo.
    The Weather Station – Kept It All to Myself
  • Rookie of the Year: Colter Wall
    Scelta difficilissima quest’anno. Voglio puntare sulla voce incredibile del giovane Colter Wall. Le sue ballate country tristi e nostalgiche sono da brividi. Serve solo un’ulteriore conferma e poi è fatta. Irreale.
    Colter Wall – Me and Big Dave
  • Sixth Man of the Year: Jeffrey Martin
    Forse la sorpresa più piacevole di quest’anno. Questo cantautore americano sforna un album eccellente. In One Go Around ogni canzone è un piccolo gioiello, una poesia che non risparmia temi importanti. Intenso.
    Jeffrey Martin – Poor Man
  • Defensive Player of the Year:  London Grammar
    Il trio inglese ritorna in scena con una album che riconferma tutto il loro talento. Con Truth Is A Beautiful Thing non rischiano ma vanno a rafforzare la loro influenza electropop lontano dalle classifiche. Notturni.
    London Grammar – Non Believer
  • Most Improved Player: Lucy Rose
    Con il suo nuovo Something’s Changing la cantautrice inglese Lucy Rose, si rialza dalle paludi in un insidioso pop che rischiava di andargli stretto. Un ritorno dove il cuore e le emozioni prendono il sopravvento. Sensibile.
    Lucy Rose – End Up Here
  • Throwback Album of the Year: New City Blues
    L’esordio di Aubrie Sellers è un album che ascolto sempre volentieri. Il country blues di questa figlia d’arte è orecchiabile e piacevole da ascoltare. Un’artista da tenere d’occhio il prossimo anno. Affascinante.
    Aubrie Sellers – Sit Here And Cry
  • Earworm of the Year: Church And State
    Non è stato l’anno dei ritornelli, almeno per me, ma non in questo post poteva mancare Evolutionary War, esordio di Ruby Force. La sua Church And State è una delle sue canzoni che preferisco e che mi capita spesso di canticchiare. Sorprendente.
    Ruby Force – Church and State
  • Best Extended Play: South Texas Suite
    Non potevo nemmeno escludere Whitney Rose. Il suo EP South Texas Suite ha anticipato il suo nuovo album Rule 62. Il fronte canadese del country avanza sempre di più e alla guida c’è anche lei. Brillante.
    Whitney Rose – Bluebonnets For My Baby
  • Most Valuable Book: Storia di re Artù e dei suoi cavalieri
    L’opera che raccoglie le avventure di re Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda mi ha fatto conoscere meglio i suoi personaggi. Scritto dal misterioso Thomas Malory e pubblicato nel 1485, questo libro è stato appassionante anche se non sempre di facile lettura.

Questi album hanno passato una “lunga” selezione ma non potevano mancare altre uscite, che ho escluso solo perché i posti erano limitati. Partendo dagli esordi folk di Emily Mae Winters (Siren Serenade), Rosie Hood (The Beautiful & The Actual) e dei Patch & The Giant (All That We Had, We Stole). Mi sento di consigliare a chi ha un’anima più country, due cantautrici come Jade Jackson (Gilded) e Jaime Wyatt (Felony Blues). Per chi preferisce un cantautorato più moderno e alternativo c’è Aldous Harding (Party). Chi invece preferisce qualcosa di più spensierato ci sono i Murder Murder (Wicked Lines & Veins). Questo 2017 è stato un album ricco di soddisfazioni e nuove scoperte. Spero che il prossimo si ancora così, se non migliore.

Buon 2018 a chi piace ascoltare musica e a chi no…

best-of-2017

Circolo virtuoso

Lucy Rose è una di quelle artiste al quale sono particolarmente legato. Lei è stata una delle prima cantautrici dalle quali sono partito alla scoperta di tutto un mondo musicale fino ad allora a me ignoto. Il primo album Like I Used To del 2012 (Timidi esordi) mi aveva fatto scoprire un’artista di sicuro interesse per gli anni a venire. Dopo tre anni uscì Work It Out (Fino alla fine) che mi lascio un po’ perplesso soprattutto dal punto di vista della produzione. Mi auguravo un ritorno alle origini per Lucy Rose. Ebbene dopo un tour in Sud America organizzato dagli stessi fan, dopo aver viaggiato a lungo loro ospite, la cantautrice inglese ha riscoperto il piacere di scrivere canzoni e di cantare. Rigenerata e sull’onda delle emozioni ha visto la luce il nuovo Something’s Changing. Nel titolo è riassunta l’anima di questo ritorno che personalmente attendevo con curiosità.

Lucy Rose
Lucy Rose

La prima traccia Intro apre l’album con un delicato arpeggio e la voce delicata della Rose. Il primo segno che qualcosa sta cambiando, “It’s just a song but, without it / Would I’ve told you this? / I’m crazy without you, I’m crazy with you / This is bliss“. La successiva Is This Called Home è una canzone che conforta e scalda il cuore. L’accompagnamento orchestrale è azzeccato e si sposa perfettamente con la voce della Rose. Una delizia per le orecchie, “Now my head is sore / When no one’s around / To help me feel you / Am I monster? / Did I deserve all of those words? / ‘Cause I still believe“. Strangest Of Ways si snoda sulla melodia di una chitarra, per poi crescere nel ritmo. Una canzone che richiama l’esordio del 2012, “Who’d have thought it, who’d have thought it? / I could be yours when I’ve never been mine / Who’d have thought it, who’d have thought it? / This is the place for me and my bones“. Una delle canzoni che preferisco è sicuramente Floral Dresses. Con la partecipazione delle The Staves è preziosissima, Lucy Rose ritrova la sua forma migliore. Una poesia in musica che fa della sua semplicità il suo punto di forza, “I don’t wanna wear your floral dresses / And my lips won’t be coloured / I don’t want your diamond necklace / Your disapproval cuts through“. Sulle note di un pianoforte, prende forma Second Chance che si sviluppa in un trascinante pop delicato ma potente. Un’altra dimostrazione di talento e mestiere, che era mancato alla Rose in altre occasioni, “Morning came / And it left me with a bitter taste / Of a mould I don’t fit / But with many others we commit / Heaven knows this is real“. Love Song è una delle canzoni più belle di questo album. Un accompagnamento ricco ma non eccessivo, illumina questa canzone di una luce particolare, sbocciando nel finale in un cambio di marcia, “I found peace in a world so cruel / You made me believe in something anew / You’re my beginning, you’re my life till the end / I’d never let you walk on by“. Non smette di sorprendere Lucy Rose che infila un’altra canzone come Soak It Up che vede la partecipazione di Elena Tonra (Daughter). Una canzone viva e carica di speranza, “You’re lying in bed / Please open those weary eyes / It’s lying ahead / I’m just on the other side, woah-oh, woah-oh / It’s you, it’s all for something / And it’s you that could make it, make it happen“. Ispirata alla figura della mitologia greca che personifica il destino, Moirai è un meraviglioso esempio di cantautorato pop britannico. Tra le note del pianoforte e l’accompagnamento orchestrale, Lucy Rose trova la sua dimensione, “But Moirai, you let me down, you let me down / You let my love walk away without a fight / And the house is cold and the sheets so clean and I’m figuring out / When Moirai, you let me down, you let me down“. No Good At All è un richiamo agli anni ’70 ma anche all’ultimo album della cantautrice inglese. Una canzone che ha tutto il gusto del buon pop del passato ma rinfrescato dalla sua ritrovata creatività, “Hey baby, won’t you let me come and kiss you / All night long, all night long / Don’t worry, I won’t tell nobody / That you are the one until dawn“. La canzone più intima dell’album è Find Myself, e anche una delle più belle della Rose. Un accompagnamento musicale perfetto per la sua semplicità e resa, “A life changed in an instant / And here we are drinking / I wish I had some way to make it more than just okay / Forsake it / It’s times like these I wonder / ‘What the hell is going on?’“. Nell’ultima canzone, I Can’t Change It At AllLucy Rose si lascia andare in un meraviglioso crescendo orchestrale. Una canzone un po’ malinconica ma che racchiude lo spirito dell’album e il suo intento, “I can hear you calling me / I can hear you from across this open sea / I can hear your voice as it is calling me / Calling for somebody to help you be free / But it’s not me“.

Something’s Changing segna un ritorno importante soprattutto per Lucy Rose. Una ritrovata ispirazione traspare in ogni singolo brano, illuminato dalla sua voce delicata. L’esperienza in Sud America ha plasmato questo album dalla prima all’ultima nota, dando vita a canzoni ispirate. Lucy Rose riparte da zero o quasi, una dichiarazione d’amore verso i fan, che da semplici ascoltatori, sono diventanti amici anche se a volte lontani. La musica ha avvicinato questi due mondi, generando a sua volta altra musica che, come nel caso di Something’s Changing. Un circolo virtuoso che mantiene in vita la musica. Questo è quello che dovrebbero fare i cantautori e Lucy Rose lo ha capito, sperimentandolo in prima persona. Bentornata Lucy.

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Mi ritorni in mente, ep. 39

Qualche giorno fa è stato pubblicato un video live di una nuova canzone della cantautrice inglese Lucy Rose, intitolata Find Myself. La particolarità del video, e di tutti quelli pubblicati dal canale Headphone Sessions, è la tecnica di registrazione audio. Infatti è stata fatta utilizzando la tecnica binaurale, che nonostante il nome è piuttosto semplice. Dato che ognuno di noi ha due orecchie, perchè non usare due microfoni posti alla stessa distanza? Come insegna Wikipedia in merito, questa soluzione non è sufficiente perchè mancherebbe la testa di mezzo. La registrazione binauraleha come obiettivo avvicinarsi il più possibile a ciò che si ascolterebbe dal vivo e dunque tra i due microfoni si deve mettere qualcosa (anche una testa finta) che li separi, isolandoli o quasi.

Chi ha registrato il video della canzone di Lucy Rose aveva un microfono in ciascun orecchio, risolvendo così il problema di cosa metterci in mezzo per rendere l’effetto più realistico. Importante dunque seguire il cosiglio all’inizio del video di mettere un paio di cuffie posizionate correttamente e godersi Find Myself. Lucy Rose ha dichiarato di aver ritrovato il feeling con la sua chitarra e il piacere di fare musica. Ottima notizia, Lucy.

Fino alla fine

In occasione dell’uscita del singolo Our Eyes, non ho mancato di riportare tra le pagine di questo blog le mie perplessità riguardo il nuovo corso intrapreso dalla cantautrice inglese Lucy Rose. Sono passati mesi e nel frattempo ho avuto modo di ascoltare anche altri brani estratti da questo Work It Out. Un po’ alla volta, Lucy mi ha convinto ad ascoltare per intero il suo nuovo album, il quale ha avuto una gestazione piuttosto lunga. Sono passati tre anni dall’esordio intitolato Like I Used To e molte cose sono cambiate nella musica della giovane cantautrice. Se il primo album dondolava tra pop e folk cantautorale, questa volta Lucy Rose Parton ha virato decisamente verso un pop giovane ed colorato. Ho messo da parte un po’ di dubbi rigurdo al nuovo sound e mi sono buttato nell’ascolto di Work It Out. I primi ascolti ascolti sembravano darmi ragione ma con il tempo ho saputo apprezzare meglio il suo nuovo album.

Lucy Rose
Lucy Rose

Apre For You che ci accompagna verso la nuova musica di Lucy. Lo fa senza un confine netto con il precedente album ma con un sfumatura che si estenda lungo tutta la canzone, fino ad esplodere in quello che è suo il sound portante, “We walked too fast to see everything that’s close to us / We hold, dear / I’ll kiss you goodbye when you are safe from harm / And I know you are here“. Il singolo Our Eyes che all’epoca della sua pubblicazione aveva sollevato qualche mia perplessità, ha saputo, con il crescere degli ascolti, conquistarsi l’attenzione all’interno dell’album. Il ritornello è orecchiabile e fresco ma forse non è abbastanza, “Our eyes stuck looking at / Our eyes are making out / We’re not made for this / Fighting love / Our eyes stuck looking at / Our eyes are making out / We’re too close to be out of touch!“. Like An Arrow è la canzone che mi ha convinto più di tutte ad ascoltare album. Nonostante sia marcatamente pop, conserva molto di quella Lucy Rose che fu. Una piacevolissima canzone rilassante e perfetta per l’estate, “We took our chance / And we flew / Like an arrow, like an arrow / We came to our sense to soar / Like an arrow, like an arrow“. La successiva Nebraska è da mettere tra le più belle dell’album. La voce della Rose è sottile e dolce. Una canzone che non brilla per la sua originalità ma è senza dubbio una delle piu sentite interprezioni tra queste nuove canzoni, molto probabilente frutto di un momento particolarmente ispirato, “And I’m walking on thin ice / To find who I really am / And I’m staring at my feet / I left my heart in this land“. Köln è veloce e ritmata, per certi versi allegra. Ancora una canzone che funziona bene ma la sensazione riamane la stessa. Lucy Rose può fare più di così, “And you wake up broke but you feel just fine, too young to / Know what happens inside / And you hear the thoughts that you shut outside, looking for / Something you may not find“. Shelter è più oscura delle precedenti ma a ben gurdare non tanto diversa. Forse a questo punto dell’album comincia ad essere un problema, siamo a metà e la muscia sembra andare a senso unico, nonostante gli sforzi della Rose. In My Life si ritorna ad una musica più scarna e genuina. Tutto ci guadagna e Lucy ritrova la dolcezza e la leggerezza che la sua voce sa trasmettere. Questa sembra poter essere la strada giusta, “This is my life / And I give it all to you / My only life / And it’s written down here for you“. Fly High è un breve interludio che nulla aggiunge, se non qualche secondo di arzigogoli elettronici. Till The End è davvero ben riuscita. Qui la Rose riesce a sfruttare al meglio questa sua svolta pop con ritmi e atmosfere solari e danzerecce, “And I want to believe / That I will keep fighting till the end / And I should have believed / That you were much more than just a friend, a friend“. Cover Up è una canzone già ascoltata un anno fa e oggi come allora mi piace ma non mi convince appieno. Il ritmi, che definirei asiatici, sono un tocco originale ma l’insieme riusulta un po’ pesante. Una ricerca di qualcosa che sembra sfuggire di mano alla brava Lucy Rose, “I don’t know why but something makes me wanna stay all night / And I’m gonna leave when I have seen the first of morning light / To lose myself I turn it up / Turn it up, turn it up. I turn it up“. She’ll Move è un condensato dell’album. Ritmi elettronici insistenti e artefatti, rendono l’ascolto piatto e scontato. Senza dubbio la canzone meno riuscita di questo album, “The way you had her there / Not knowing if she had a chance / The way you / The way you / The way you watched her go / Just looking for a place like home“. La titletrack Work It Out, spiace scriverlo, è l’ennesima canzone che non lascia traccia. La voce debole e sommessa della cantautrice non giova al brano, che non decolla mai e nemmeno prova a farlo, “Stay up / If I was to be afraid / Would you wait up / If I was to feel alone?“. Un piccolo riscatto arriva con l’ultima Into The Wild. Lucy Rose torna ha cantare con la sua chitarra e incanta con la sua voce. Perchè ci hai fatto aspettare tanto, Lucy? Bentornata, “And we both know things will change / Move on and just let go / Cause we both know how the story ends / You came running down with your hair looking wild / Something I haven’t seen in a while“. L’edizione deluxe aggiunge altre quattro canzoni, tre delle quali non si discostano di una virgola da quanto sentito finora ovvero Sheffield, I Tried e Like That. Degna di nota è Lone Ranger. Lucy Rose sfrutta la sua voce per creare un contrasto con la musica pulsante, che caratterizza l’album.

La prima sensazione che ho avuto ascoltando Work It Out è quella di una Lucy Rose sola davanti al computer o chissa quale altro aggeggio elettronico. Niente band. Sola con un po’ di suoni campionati e racchiusi in un sintetizzatore. Questo è, in sintesi, l’aspetto esteriore di questo album. Lucy Rose sembra divertirsi ad aggiungere suoni alle sue canzoni ma è dove ce ne sono meno che viene fuori il suo talento. Non riesce ad emergere in quel marasma di pulsazioni che lei stessa ha creato. Le atmosefere sono fresce e vive ma se protratte per buona parte della durata dell’album finiscono per diventare fredde e ripetitive. Lucy Rose c’è ma è nascosta da qualche parte. Non è affatto un album cattivo, il suo, ma poteva essere gestito meglio in alcune scelte. Ci sono ottimi spunti per continuare sulla strada del pop, che Lucy Rose sembra voler prendere, ma sono in inferiorità. Se prese una ad una queste canzoni rappresentano un pop di ottima fattura ma nel loro insieme risultano un po’ pesanti. Per me che ho apprezzato di Lucy Rose canzoni come Night Bus, questo album ha rappresentato qualcosa di inatteso. A tratti mi ha divertito e in altri mi ha lasciato indifferente. Spero che Lucy sappia trovare un equilibrio tra il suo passato e il suo presente affinchè il suo talento non anneghi in pop qualunque.

Futuro prossimo

Questo mese ci sono state parecchie novità musicali che anticipano altrettanti album in uscita quest’estate o più avanti in autunno. In particolare ci sono tre nuove canzoni che mi hanno sorpeso. Rachel Sermanni ha finalmente annunciato il suo secondo album in maniera definitiva a distanza di tre anni dal precedente Under Mountains. Inizialmente era previsto per Febbraio (con tanto di pre-order) poi il dietro front. Forse Aprile, anzi no, Maggio (con pre-order). Falso allarme. Silenzio. Ora la data è il 10 Luglio (con pre-order, di nuovo) e dovrebbe essere quella definitiva. Nel frattempo è anche cambiata la copertina che ora riporta uno dei disegni della stessa Sermanni. Anche la Sermanni, dopo Laura Marling, sfodera la chirarra elettica e tira fuori Tractor, il primo singolo tratto da Tied To The Moon. Una Sermanni diversa e più pop ma comunque riconoscibile. Sono piacevolmente sorperso dal cambio di direzione ma sono anche sicuro di ritrovare qualche bella ballata folk all’interno dell’album.

Anche Lucy Rose è pronta a pubblicare il suo secondo album intitolato Work It Out previsto per il 6 Luglio. Dopo aver espresso dubbi sul suo primo singolo Our Eyes, la cantautrice inglese ha diffuso un’altra canzone intitolata Like An Arrow. Questa Lucy Rose mi piace di più. Like An Arrow è un’evoluzione del precedente Like I Used To del 2012. Lucy ha messo ha segno un punto a suo favore e sono più fiducioso riguardo questo album.

Questa settimana è stato il turno di Gabrielle Aplin che ritorna in grande stile con Light Up The Dark. Il singolo è già di dominio pubblico mentre per l’album c’è da aspettare fino al 18 Settembre. Il suo ultimo album English Rain pubblicato nel 2013 ha avuto un bel successo e anche a me è piaciuto molto. Anche lei ha deciso di cambiare direzione. Non resiste al fascino della chitarra elettrica e mette insieme un brano pop rock molto piacevole. La sua voce è sempre graziosa e misurata in contrasto con lo sfondo musicale. Non vedo l’ora di ascoltare Light Up The Dark e apprezzare meglio l’avvenuta maturità di questa giovane cantautrice.

Anche la canadese Béatrice Martin aka Cœur de pirate ha annunciato il suo terzo album. Uscirà il 28 Agosto e s’intitolera Roses. Il singolo che l’anticipa è stato rilasciato in due versioni Carry On, in lingua inglese, e Oublie-Moi, in francese. Da quanto dichiarato del Béatrice stessa e da quanto è possibile sentire, Roses non sarà molto diverso dal suo predecessore Blonde del 2011. Quindi non resta che aspettare per ascoltare un altro bell’album di Cœur de pirate. Io personalmente continuo a preferirla quando canta in francese e non è ancora ben chiaro se questo album sarà completamente in questa lingua oppure no.

Il prossimo mese non mancano nuove uscite. Subito il 1 Giugno il nuovo dei Florence + The Machine, How Big How Blue How Beautiful e poi in 23, il secondo di Kacey Musgraves intitolato Pageant Material. Sicuramente in aggiunta salterà fuori qualcos’altro e qualcosa mi sono già segnato, ad esempio il nuovo di Kelly Oliver anticipato dal singolo Jericho e Heavy Weather di Billie Marten. C’è da aspettare ancora un po’ per il nuovo degli Editors che molto probabilmente uscirà ad Ottobre. Pochi e frammentari i rumors che rigurdano rispettivamente il quarto e sesto album di Amy Macdonald e dei Wintersleep. La cantaurice scozzese ha dichiarato di aver terminato la scrittura delle nuove canzoni e adesso si sta godendo la vita in attesa del prossimo tour. La sua casa discografica avrebbe voluto avere l’album prima dell’estate ma Amy ha detto che è impossibile e a noi fans non resta che sperare per questo autunno. Anche i Wintersleep sono pronti ma mancano le prove di un’imminente uscita. Tempo fa sembrava pronti a rivelare almeno il singolo a Febbraio, salvo poi rimangiarsi tutto e ripiegare su un generico autunno. Questa è un po’ la situazione che mi aspetta per i prossimi mesi. Il 2015 si prevedeva ricco di uscite e novità, e così sarà.

Domande a vuoto

Ricordo un tweet di Lucy Rose che annunciava di aver terminato le registrazioni del suo secondo album. Era un giorno di Dicembre del 2013. Sì, proprio così, l’album era terminato più di un anno fa. Cosa è successo nel frattempo a Lucy Rose? Dopo aver anticipato lo scorso Giugno il brano Cover Up, sembrava che l’album dovesse arrivare entro la fine del 2014. Poi il dietro front, inizio 2015. Questa settimana, però si è rivelata decisiva. L’album dovrebbe uscire a Luglio ed è anticipato dal singolo Our Eyes.

Evidente è il cambiamento nella musica della cantautrice inglese. Se Cover Up anticipava le novità, questa Our Eyes le amplifica. Lucy ha detto di aver scritto come non aveva mai fatto prima. La domanda è spontanea: ce n’era bisogno? Non saprei. Questa trasformazione non mi ha convinto. Cover Up era in qualche modo ancora vicina alla Lucy Rose che conoscevo. Quest’ultima è troppo lontana. Non è il mio genere. Io ho apprezzato Lucy Rose per canzoni come Night Bus ma questa Our Eyes è di un’altro pianeta. Non è un po’ presto, il secondo album, per intraprendere una strada diversa? Non è per caso che dietro questo continuo voler rimandare l’uscita dell’album, da parte della casa discografica (come Lucy Rose ha dichiarato) si celi un lieve malcontento? E non è che tutto questo tempo ha finito per portare la cantautrice a rimaneggiare in continuazione le sue canzoni, portandole ad un livello di artificiosità un po’ eccessivo? Sono domande che mi sono sorte quando ho ascoltato per la prima volta Our Eyes. Però ho fiducia in lei e so che devo aspettare l’album prima di dare un giudizio e trovare le risposte, anche se le premesse non sono nelle mie corde.

Nuova stagione

Nuove canzoni all’orizzonte. Tra le anticipazioni degli utimi tempi ce ne sono alcune alle quali sono più interessato di altre. Ultima in ordine di tempo quella della cantautrice scozzese Amy MacDonald che nel recente concerto di Hannover ha cantato un nuovo brano ancora senza titolo. Se la canzone dovesse restare così sarebbe un bel passo avanti. Sono contento che ci sia qualche novità in più riguardo a Amy e spero che il nuovo album non tardi troppo.

Chi invece è già a buon punto è Lucy Rose che anche lei nell’ultimo concerto a Singapore ha anticipato una nuova canzone intitolata Köln. Per quanto si possa capire da una sola canzone, il nuovo album non dovrebbe essere tanto differente dal precedente e dovrebbe uscire prima della fine di quest’anno.

Anche questa dei Wintersleep è senza titolo e dovrebbe fare parte del nuovo album. Le sonorità sono più vicine a quelle dell’ultimo Hello Hum, piuttosto che ai lavori precedenti. Anche i canadesi si fanno attendere ma sono contento che siano in corsa anche loro per quest’anno.

Tre, le novità che anticipano gli album in uscita nei prossimi mesi. Forse per Amy MacDonlad si dovrà aspettare il prossimo anno ma mai dire mai. Questa anticipazione è di buon auspicio, significa che la ragazza sta lavorando a qualcosa di nuovo. Sono sempre alla ricerca di questo genere di anticipazioni e questa volta il bottino è consistente.

Non ci capisco nulla

Voi cosa facevate a quattordici anni? C’è chi ha questa età è già pronta a pubblicare un EP. Sto parlando della giovanissima cantautrice inglese Billie Marten. I soli paragoni con Laura Marling, Rachel Sermanni e Lucy Rose mi sono bastati per provare ad ascoltare il singolo d’esordio Ribbon. Provate voi a concedere un ascolto. Non si può rimanere indifferenti di fronte ad una maturità artistica (forse ancora un po’ di facciata) così precoce. La ragazza si era già cimentata in diverse cover, tra le quali anche Lucy Rose, all’età di dodici anni. Fa quasi impressione pensare che a quattordici anni si possa cantare con tanta sicurezza e semplicità e non è un caso isolato. In questi ultimi anni succede spesso che artisti poco più che ragazzini sfornino album che alcuni colleghi più grandi di loro non si sognano nemmeno. La stessa Marling esordì a sedici anni e oggi è la regina del folk di nuova generazione. Anche la già citata Rachel Sermanni sta facendo passi da gigante affermandosi sempre di più come un artista di tutto rispetto, nonostante i suoi ventidue anni, un album e una manciata di EP.

Quando guardo in casa nostra purtroppo non vedo niente di tutto ciò. Forse sono io che non mi impegno abbastanza a cercare. Forse non ne ho nemmeno voglia. Forse perchè tutto il nuovo in Italia sembra uscire dai talent show e, se devo essere sincero, un po’ mi indispone. Vincono il talent e si sentono arrivati, invece di sentirsi come esordienti. Ed eccoli già supponenti che strillano su un palco, spinti dalla televisione e dalle case discografiche. Ogni tanto penso a cosa potrebbe rimanere dei giovani cantanti italiani, che poi a ben guardare, spesso, non sono nemmeno poi tanto giovani. Trentenni o ultratrentenni che cantano canzoni adolescenziali con testi tanto banali da non notare nemmeno quanto sono banali. Io personalmente non riesco a comprendere come si possa pensare, scrivere, cantare e pubblicare canzoni così raffazzonate e prive di qualsiasi intento artistico. Probabilemente sono io che non ci capisco nulla. Perdonatemi se continuo a cercare e ascoltare musica straniera ma proprio non ce la faccio. Billie Marten ha quattordici anni e canta come una trentenne e qui in Italia abbiamo trentenni che cantano come quattordicenni. Questo abbiamo e questo ci meritiamo. Metto in lista questo EP in uscita a Giugno e sono contento così. Anche se un po’ mi piacerebbe trovare qualcosa di italiano o forse no. Non so mai come finire questo genere di articoli. Ci metto dei puntini…

Mi ritorni in mente, ep. 16

Qualcosa si sta muovendo. Ultimamente sono rimasto un po’ all’asciutto di novità da ascoltare, così mi sono messo alla disperata ricerca di qualcosa di nuovo. Tra gli ultimi acquisti spicca un interessante debutto fresco fresco della cantautrice danese Majke Voss Romme aka Broken Twin. Il solo ascolto del singolo Glimpse Of A Time mi ha convinto ad ascoltare il resto dell’album. So bene che posso andare incontro a sonorità oscure e tutt’altro che allegre, ma non mi spaventano. Anzi, ne sono molto incuriosito. Un altro acquisto è All The Crooked Scenes dei Ellen And The Escapades. Non mi aspetto chissà cosa da questo gruppo se non un pop-folk leggero e piacevole, per l’estate. Come al solito sono in ritardo di un giro e il gruppo ha già pronto il singolo del prossimo album. Va bene, meglio così. Se mi piacciono so di avere altra musica pronta da ascoltare. Un altro interessante album è All Of It Was Mine di The Weather Station, nome sotto il quale si nasconde la cantautrice canadese Tamara Lindeman. Lo ho ascoltato qualche volta sulla sua pagina di Bandcamp e so di trovarmi di fronte ad un folk minimale e classico. Sono pronto anche a questo.

Nel frattempo ho recuperato l’esordio delle The Staves e Almanac delle Emily Barker & The Red Clay Halo, che avevo apprezzato nel successivo Dear River. Nel frattempo si delineano le nuove uscite per quest’anno. A sorpresa le due sorelline Lily & Medeleine hanno terminato le registrazioni del nuovo album. A quanto pare sono intenzionate a pubblicare il nuovo ad un anno di distanza dal precedente. Bene. Molto bene. Tra chi ha terminato le registrazioni c’è anche Lucy Rose ma per il suo nuovo album ci sarà da aspettare la fine dell’anno (ma perchè ci mettono tanto!?). Chi sta registrando ora è Brandi Carlile, che ha fatto trapelare l’anticipazione di una nuova canzone dopo il passaggio ad una nuova casa discografica. Non resta quindi che aspettare. Nel frattempo mi ascolto i nuovi arrivi e le vecchie conferme. La puntata di oggi è dedicata a Lucy Rose nella speranze che il nuovo album non tardi troppo.