Una discesa nel maelstrom

Come ogni anno, in questo giorno, arriva il momento, per me, di fare un bilancio dei dodici mesi appena trascorsi su questo blog, che è arrivato al suo tredicesimo compleanno. Questa volta però sarà diverso, perché diverso è stato il 2023. Ci ho pensato a lungo riguardo a quello che avrei voluto fare e scrivere questo post mi ha schiarito le idee sul futuro del blog.

Lo scorso gennaio mi sentivo bello carico, pronto ad affrontare qualche cambiamento che avevo deciso di apportare ai miei post abituali, rendendoli più brevi e meno impegnativi sia da scrivere e che da leggere. Non che mi aspettassi da questa scelta chissà quali risultati o riscontri in termini di visite (che fondamentalmente non mi sono mai interessate molto) ma mi aspettavo almeno di ritrovare un po’ di quella energia, quello slancio dei primi anni. Ebbene, non è successo.

Il 2023 si è portato dietro dall’anno precedente quella difficoltà nel mettermi al pc ed iniziare a scrivere, acuendosi poi la scorsa primavera. Non potevo immaginare che quel mio tentativo di cambiare mi avrebbe portato a scrivere questo post che state leggendo.

Anche se quest’anno ho avuto degli alti e bassi, è guardandomi indietro che non posso non notare tutto il lavoro che ho fatto in questi tredici anni. Ho scritto molto ma per la prima volta in tanti anni, mi sono sentito schiacciato da questa abitudine del fine settimana. Pur continuando ad avere voglia di scrivere, ho iniziato a provare un senso di scoramento. Per chi scrivo tutto questo? Qualcuno mi legge ancora? Ma sì, che qualcuno mi legge ancora, mi dicevo. Magari sono pochi e non leggono tutto tutto ma qualcosa leggono, o no? Non lo so. Il fatto è che, fondamentalmente, non lo so.

Devo farvi una confidenza: questo mio blog è sempre stato un segreto. Nessuno che mi conosce di persona sa che io ho questo blog. Non so se è una cosa normale per chi ha un blog ma ho scelto fin da subito questa sorta di anonimato estremo ma non perché voglio nascondere il mio nome o questo blog per strane ragioni. La ragione è la più semplice: voglio sentirmi libero di scrivere ciò che voglio.

Non fraintendetemi, qui non sono diverso da quello che sono di persona nella vita di tutti i giorni ma permettere a questo blog di uscire nella vita reale significherebbe esporre una parte di me e le conseguenze non saprei come affrontarle. Ogni post su questo blog è stato scritto solo ed esclusivamente per persone che non conosco. Quindi l’unico modo che ho per avere un riscontro di quello che ho fatto finora è racchiuso tutto qui dentro, in questo mondo virtuale fatto di like e di brevi commenti. La vita di questo blog è legata strettamente al solo mondo virtuale.

Per chi scrivo davvero, dunque? Chi legge davvero? Scrivo per me stesso? Chi sono io qui? Non sono impazzito. Queste sono le domande che mi pongo ogni volta che metto mano a questo blog, fin dal primo giorno. Tutto questo, questa segretezza, questo anonimato, queste parole che si sono accumulate per oltre un decennio, gravano su di me come un obbligo verso qualcuno, o meglio verso qualcosa, che non so bene identificare. Un obbligo di cui mi potrei facilmente liberare, dimenticare, mettere da parte. Ma c’è stato qualcosa che finora mi ha impedito di fare ciò.

Difficile spiegare il motivo che mi ha trattenuto qui per così tanto tempo. Il piacere di scrivere non basta a spiegarlo, il piacere di essere letto nemmeno. C’è stato dell’altro. Forse un sogno di costruire qualcosa. Di lasciare un segno, come la natura di essere umani ci spinge a fare. Di potermi guardare indietro e dire: tutto questo l’ho fatto io. Ed è successo, ho detto tra me e me queste parole. Ed è questo il punto, l’ho detto tra me e me. A nessun altro.

Forse ho sbagliato tutto. Quel gennaio del 2011 avrei dovuto far uscire questo blog dal mondo virtuale, renderlo vero ma non sarebbe durato così a lungo, di questo ne sono sicuro. Avrebbe avuto però una doppia esistenza, dove io sarei stato l’autore di quel segno. Invece no, sono finzione al pari di voi che mi leggete e di quanti mi hanno letto. Se staccassi la spina finirebbe tutto. Il mio mondo reale, per gli altri e per me, non cambierebbe. Il mio mondo virtuale sparirebbe in un buco nero, zittendo quelle voci che da tale buco potrebbero emergere. E io chi sarei a quel punto? Sarei quello reale, senza un blog segreto scritto sotto falso nome. Perderei un pezzo di me? No, non credo. Anzi mi restituirebbe una parte del mio tempo libero, quel tempo che sentivo dover essere occupato dallo scrivere parole attraverso un display. Mi dispiacerebbe è ovvio ma la verità è che non so il perché dovrebbe dispiacermi. A chi farei un torto? Non ho migliaia di lettori e nemmeno centinaia, temo. Nessuno rimarrebbe orfano delle mie parole. Tranne io.

Eppure qualcosa c’è che mi trattiene da mettere la parola fine al blog, come ho sempre immaginato di fare un giorno. Sono abbastanza vecchio da rendermi conto quali siano i miei difetti. Uno di questi è che, su alcune cose, sono maledettamente costante, direi ostinato, tendente all’abitudinario. Nella mia testa c’è qualcosa che mi dice che devo continuare per dare un senso a quel segno che voglio lasciare. Torno a guardarmi indietro e penso che forse ho già fatto abbastanza. Il gioco è durato più di quanto mi sarei mai immaginato. Sono pur sempre tredici anni quelli che ho passato qui. Una vita. Avevo ventuno anni quando ho iniziato. Quella voce, la costanza, però insiste che c’è ancora tempo per recuperare entusiasmo. In fondo in fondo però non ci credo davvero.

Quello che dovevo e volevo fare è stato fatto. Non c’è altro, non c’è un futuro chiaro davanti a questo blog. Non è finita, non ancora almeno ma qualcosa è profondamente cambiato. Quella costanza insistente non è abbastanza per tenere in piedi questo mio vecchio caro blog. Quell’abitudine che mi dice che devo pubblicare ogni settimana se voglio andare avanti, non è più così forte da vincere sulla sensazione di scivolamento che provo. Sì, questo blog sta scivolando giù nell’oblio, nel maelstrom del cyberspazio. Non riesco più a trattenerlo. Non gli dirò addio, non credo di riuscire a farlo mai.

Voglio solo essere incostante, perché è l’unico modo che ho per recuperare quella libertà che ho cercato inizialmente, scegliendo di mantenere segreto il blog e il mio nome. Essere incostante, slegato da quella cadenza settimanale mi ha permesso, sì, di essere qui dopo tredici anni ma che, lentamente, mi ha privato di tale libertà. Questo blog entra da oggi in una sorta di limbo dove ogni nuovo post sarà un’occasione per tornare a scrivere davvero e lo farò quando avrò semplicemente voglia di farlo. Non voglio credere che questo blog sarà inghiottito da questo nero gorgo senza proferire le sue ultime parole. Saranno probabilmente parole in libertà, più di quanto lo siano state finora ma molto più simili, nella forma, a quelle dei primi post. Scriverò ancora di musica, di libri e quant’altro mi andrà di scrivere. Non finirà per diventare un blog fatto di post brevi e frequenti come tanti altri, perché qualche idea e qualche bozza sono già lì che attendono solo di essere pubblicate. E lo farò.

Tredici anni e si ricomincia.

A presto…

Questa sporca dozzina

Questo blog è arrivato al suo dodicesimo giro intorno al sole. Come ogni 8 di gennaio eccomi qui a scrivere qualche pensiero in occasione del compleanno di questo mio blog. Innanzitutto devo riconoscere che come previsto, anche nel 2022 poco o nulla è cambiato da queste parti. Mi ero ripromesso di provare a cambiare un po’ l’impostazione dei miei post ma non l’ho fatto. Ebbene, forse ci siamo. Credo sia arrivato il momento di rivedere qualcosa ma prima è necessaria una premessa, perché non è come state pensando. 

Come qualcuno di voi saprà, da qualche anno sono iscritto a Twitter. Decisi di farlo solo perché stare dietro alle novità musicali senza qualcosa che aggregasse le varie fonti (siti, blog, artisti ecc), era diventato sempre più difficile. Facebook e il suo fondatore non mi sono mai stati simpatici e così ho scelto il social dell’uccellino. Già che c’ero ho collegato il mio profilo a questo blog e ciò mi ha dato anche qualche soddisfazione. Come è noto quest’anno un ricco signore annoiato ha deciso di portare un lavandino nella sede di Twitter. Non invidio per nulla Elon Musk, nemmeno per il suo conto in banca, anche se gli riconosco dei meriti (l’acquisizione del social network non è tra questi). Nel periodo più buio del social, quando sembrava che stesse per andare a fare compagnia di MySpace, ho deciso di provare Mastodon, che rappresenta una specie di simil-twitter, almeno nella forma. 

Vi racconto la mia esperienza all’interno dell’istanza italiana più importante. Non sto a spiegavi cos’è un’istanza, perché per quello che voglio raccontarvi, non è necessario. Sappiate solo che ne esistono diverse all’interno di Mastodon (che di per sé non è un social network come lo intendiamo di solito). La prima impressione che ho avuto appena iscritto è la stessa che ho provato quando mi è capitato di iscrivermi ad un forum. Un gruppo ristretto di utenti e amministratori accoglie amichevolmente il nuovo arrivato, per buona educazione, ma poi è compito dello stesso trovare spazio all’interno della comunità. Mi sta bene. Ci sono delle regole, ovviamente. Ogni istanza ha le sue: alcune scritte, altre no. Le prime sono condivisibili e per rispettarle basta aver un po’ di buon senso. Niente di ché ma ovviamente rappresentano un problema per i cosiddetti “leoni da tastiera” e i vari “no-qualcosa”. Con queste regole il clima perciò è sereno anche se un po’ uniforme. Le seconde, quelle non scritte, sono un po’ più insidiose e difficili da rispettare. Principalmente perché non sono alla portata di tutti e poi perché potrei anche non volerle rispettare. Una su tutte è quella di non linkare direttamente i video da YouTube. Queste regole da “nerd open source contro il sistema” non aiutano certo l’integrazione di chi è meno avvezzo a certe pratiche. Ma mi sta bene, ancora. Il problema con Mastodon si rivela essere soprattutto mio (che poi è lo stesso che mi ha tenuto lontano dai social network per anni). Mi ero iscritto a Twitter per seguire chi produce contenuti e notizie. Per rimanere aggiornato, insomma. Mastodon in questo è naturalmente ancora parecchio indietro e non si è rivelato quindi molto adatto allo scopo. A questo punto mi si è rivelata la verità sui social network, verità che sono riuscito a nascondere su Twitter in tutti questi anni: io non capisco del tutto la loro utilità. Mi spiego meglio. A me di foto di cani, gatti, tramonti, mari, montagne, boschi, piatti e vacanze non frega nulla. Di pensieri sparsi buttati lì come fossero poesie, aforismi a caso, meme vari, considerazioni, opinioni non richieste e battutine non frega nulla. Capite bene che tutto ciò che ho evitato per anni in un attimo me lo sono ritrovato seguendo una decina di profili (di cui neanche la metà attivi). Non è colpa di Mastodon (su Twitter è cento volte peggio anche in termini di linguaggio), semplicemente è un volto dei social che fatico a comprendere. Ho voluto provare anche io a essere social ma proprio non ci sono tagliato. E lo sapevo. 

Ma perché raccontarvi tutto questo? Perché se ho provato Mastodon per ripartire con i social, questo mi ha fatto tornare al punto di partenza. Ovvero a questo blog. Il mio ecosistema virtuale ha raggiunto il suo equilibrio nel corso degli anni e non ho bisogno di destabilizzarlo provando a fare il bravo utente social che ci tiene a fare sapere a tutti cosa sta pensando mentre è in coda alla posta o che il proprio gatto è un fenomeno a fare il gatto. Questo blog, nel bene o nel male, è un pezzo di me e qui mi troverete se vi va di leggere quello che scrivo. Niente foto di piatti, tramonti imperdibili o foto delle vacanze, ve lo posso assicurare. Grazie a questo mio vano tentativo di essere più social ho deciso di dedicare più attenzione a questo blog e a tutta la bella community che si è creata in dodici anni. Lo farò, paradossalmente, alleggerendo i miei post e (forse) rendendoli più frequenti. Non prometto nulla ma ho seriamente intenzione di provarci. Mal che vada sarà tutto come è sempre stato. Non so se l’ho mai fatto prima (non sono bravo in questo genere di cose) ma ringrazio chi mi legge da anni, chi lo sta facendo per la prima volta adesso, chi mi ha letto in passato e a chi lo farà in futuro. Grazie. Ci rivede da queste parti (un po’ meno sui social network).

Primo numero maestro

Questo blog è giunto al suo undicesimo anno di vita attraversando un 2021 nel quale, nonostante ciò che avevo scritto un anno esatto fa, ho continuato a pubblicare regolarmente. In realtà qualche settimana l’ho volutamente saltata per evitare di fare salti mortali per riuscire a pubblicare qualcosa. Mi sono preso il mio tempo ma non come avrei potuto o voluto. Mi ero ripromesso di dedicare meno tempo al blog a favore di altro che mi frullava nella testa. Di fatto non è andata così ed è la fine che spesso fanno i buoni propositi di inizio anno. Le (poche) pause che mi sono preso non le ho dedicate ad altro ma semplicemente sono state dettate da impegni che non mi hanno permesso di preparare qualcosa da pubblicare. Quando prevedevo l’impossibilità di scrivere qualcosa per il fine settimana, mi davo da fare buttando giù qualche riga in anticipo. Quest’anno ho voluto lasciar correre di più. Se tempo e voglia c’erano, ecco il nuovo post, altrimenti nulla. Questo è quanto di più sono riuscito a fare nel tentativo di tenere fede a quanto scritto ad inizio 2021. Avrei voluto anche cambiare il formato dei miei post, magari più brevi e veloci da scrivere, ma la verità è che non ci sono riuscito. Anzi non ci ho nemmeno provato. Ho semplicemente continuato così. Sono un abitudinario impenitente che persevera in questa avventura della quale al momento non vedo una fine certa. Tutto quello che pensavo di fare o di scrivere, oltre a questo blog, si va a scontrare con i giorni che passano. Il tempo è il grande amico e il peggior nemico di procrastinatori. Non sono tale nella vita di tutti giorni (o forse sì per tutto ciò che non ritengo di grande importanza) ma quando si tratta cambiare lo sono eccome. Non mi piacciono i cambiamenti, soprattutto quando non sono io a deciderli. Quando sono io a decidere non è che vada poi tanto meglio. Provo sempre quella sensazione di aver sbagliato scelta. A proposito di cambiamenti, ogni volta che inizio a scrivere il post per questa occasione, mi diverto a cercare un significato o una curiosità sul numero in questione. Cito Wikipedia in merito al numero undici: Nell’esoterismo e nella magia in genere, è considerato il “primo numero maestro”, essendo il primo numero di una decade numerica nuova (10+1). In generale sta a significare un forte cambiamento a fronte di una grande forza e nei tarocchi l’arcano maggiore numero 11 corrisponde infatti alla “Forza”.
Che dire? Sembra fatto apposta. Che sia questo l’anno del cambiamento per il blog? Se così fosse, io padre e padrone non ho la più pallida idea di quale possa essere.

Forse il fatto di essere un vergognoso abitudinario e un vigliacco procrastinatore a tenuto in vita questo blog per questi lunghi undici anni. Si è incollato a me, un’estensione della mia vita che ha affondato le sue radici virtuali in profondità. Togliermelo di dosso come si fa con un cerotto significherebbe creare un buco difficile da riempire, come ha dimostrato l’anno appena passato. Lasciarlo spegnere lentamente sarebbe altrettanto doloroso e non so se sarei in grado di farlo volontariamente, anche se penso sia quello che capiterà prima o poi.

Bene, il post della celebrazione per gli undici anni si è trasformato in una patetica riflessione sulla sua stessa morte (riflessione già avvenuta in passato peraltro, ben quattro anni fa). Ma qual è la vita media di un blog come questo? Credo di essere arrivato ad una sorta di maturità nella quale è più facile guardarsi indietro che verso il futuro. Oddio, non sono sicuro se quest’ultima frase si riferisca al blog o me stesso. Meglio chiuderla qui, non vorrei scrivere strane cose. Chiudo qui il post, non il blog, intendiamoci. Lunga vita a te, vecchio mio.

Non mi giudicate – 2021

L’anno è finito ed è arrivato il momento di provare a capire cosa è rimasto di questo 2021. Il mondo della musica ha subito gravi ripercussioni dovute all’epidemia ma la pubblicazione di album non ha subito rallentamenti (o così almeno mi è parso), complice anche l’impossibilità di fare concerti che ha spinto molti artisti a scrivere nuove canzoni piuttosto che starsene con le mani in mano in attesa di tempi migliori. Dal canto mio ho avuto modo di ascoltare numerosi album di debutto (come piace a me) ma ho notato che sono davvero pochi quelli di folk tradizionale, come se, per un genere di nicchia come questo, lo stop ai concerti abbia pesato di più. O semplicemente sono io che mi sono lasciato scappare qualche titolo che mi è passato sotto il naso. I freddi numeri dicono che sono 58 gli album usciti quest’anno e finiti dritti nella mia collezione. Come sempre qui cercherò di riportare gli album e gli artisti che hanno lasciato in qualche modo il segno in questo 2021, con l’inevitabile sensazione di aver escluso qualcuno. Ma tutte le novità di quest’anno, passate per questo blog le trovate qui: 2021.
Oltre alle solite categorie, ispirate ai premi NBA, ho aggiunto “Honourable Mention” per chi ha saputo coraggiosamente cambiare rispetto al passato e merita una “menzione d’onore”.

  • Most Valuable Player: Josienne Clarke
    Questa canatutrice ha deciso di chiudere con il passato e diventare del tutto indipendente. Il risultato è A Small Unknowable Thing, un album che racchiude il talento e l’anima di quest’artista sempre ispirata e prolifica.
    Il tempo è un grande guaritore
  • Most Valuable Album: In These Silent Days
    Se c’è un nome che ormai è una garanzia è quello di Brandi Carlile. Con questo album si conferma una cantautrice abile e sensibile, capace ancora di emozionare oggi come allora.
    Il proiettile d’argento
  • Best Pop Album: Californian Soil
    Il trio inglese dei London Grammar si rinnova rimanendo fedele al sound che li ha fatti diventare una delle promesse più scintillanti del pop alternativo. Questo potrebbe essere un nuovo inizio.
    In buone mani
  • Best Folk Album: The Eternal Rocks Beneath
    Il debutto di Katherine Priddy è senza dubbio il migliore degli album folk di quest’anno. La voce melodiosa e la scrittura sono eccezionali e lasciano intendere tutte le sue potenzialità.
    Le rocce eterne al di sotto di noi
  • Best Country Album: Ramble On
    Non sono pochi gli album country di quest’anno ma quello di Charlie Marie ha qualcosa in più. Un ottimo debutto dove trovare tutto il buono del country tradizionale e una scrittura brillante.
    Baciami gli stivali
  • Best Singer/Songwriter Album: Ignorance
    Scelta difficilissima ma che ricade su Tamara Lindeman, e il suo progetto The Weather Station. L’impegno ambientalista e sociale di questa cantautrice emergono in un album potente ed affascinante.
    Questo è lo scopo delle canzoni
  • Best Instrumental Album: Perséides
    Non potevo che premiare il breve ma riuscitissimo album di Cœur de pirate che, rimasta senza voce e sola al pianoforte traccia un mappa delle note che sono l’anima della sua musica.
    Sans voix
  • Rookie of the Year: Morgan Wade
    Il suo Reckless è un ottimo debutto e sin dai primi ascolti l’avevo già piazzato qui tra i migliori di quest’anno. Una cantautrice carismatica e dal passato turbolento, che ci regala un album sincero ed accattivante.
    Sotto quei tatuaggi
  • Sixth Player of the Year: Vincent Neil Emerson
    La sorpresa dell’anno va a lui al suo album omonimo. Questo cantautore combatte i suoi demoni con la musica e il risultato è un album profondamente country e diretto. Un astro nascente di questo genere musicale.
    Meglio imparare ad annegare
  • Defensive Player of the Year:  Cœur de pirate
    Ancora lei, Coeur de pirate, che con Impossible à aimer ripropone il suo pop malinconico mai scontato ma sempre orecchiabile e unico. Resta una delle cantautrici pop più riconoscibili e coraggiose della sua generazione.
    C’est parfait si l’on tremble
  • Most Improved Player: Danielle Lewis
    Sono rimasto piacevolmente sorpreso dal nuovo corso di questa cantautrice gallese che con Dreaming In Slow Motion si rinnova e dimostra tutta la forza espressiva della sua voce.
    Sognare al rallentatore
  • Throwback Album of the Year: Prairie Love Letter
    Pochi dubbi riguardo questo album di Brennen Leigh. Una dichiarazione d’amore per la sua terra e la musica country. Un album che ho colpevolmente aspettato troppo ad ascoltare.
    Lettere d’amore alla prateria
  • Earworm of the Year: The Wild One
    Molte canzoni in questo anno mi sono entrate in testa con facilità e tra queste c’è The Wild One, cover nata dalla coppia Jackson+Sellers. Tutto l’album Breaking Point merita un ascolto.
    Punto di rottura
  • Best Extended Play: No Simple Thing
    Devo ammetterlo, gli Sheepdogs non hanno avuto molti concorrenti in questa categoria ma anche diversamente, la sola Keep On Loving You non poteva mancare in questa lista.
    Mi ritorni in mente, ep. 79
  • Honourable Mention: Tori Forsyth
    Ci sono grandi esclusi che non compaiono qui ma l’album Provlépseis è stato un riuscito cambio di rotta per questa cantautrice e non potevo non premiarla, per l’ottimo risultato.
    Sogni oscuri

Blog d’alluminio

Eccomi giunto al decimo anniversario di questo blog. Dieci anni, di cui l’ultimo, il 2020 davvero particolare. Un anno nel quale ciascuno di noi, chi più chi meno, ha visto cambiare le proprie abitudini, la propria routine casa-lavoro, casa-studio o casa-qualcos’altro. Tutti ne siamo stati toccati in qualche modo. Io ho smesso, dallo scorso febbraio, di essere un pendolare, ritrovandomi da un giorno all’altro in smart working (che di smart ha poco o niente). Nel frattempo ho anche lavorato in ufficio per un paio di mesi, rinunciando però a prendere il treno. Questo cambio di routine ha determinato due cose: niente più letture e musica in treno. Sono riuscito ad organizzarmi diversamente per le letture approfittando della sera o subito dopo aver chiuso con il lavoro. Ma con la musica ho faticato un po’, dedicandogli un tempo più frammentato che in passato.

Tutto questo si è ripercosso sul blog anche se non in maniera apparente. Ho continuato a scrivere e a pubblicare regolarmente ma, devo ammetterlo, ho fatto più fatica degli anni passati. Preso dallo scoramento della situazione, soprattutto per il lavoro, e dal cambio di abitudini, ho pensato più volte di saltare qualche appuntamento con il blog. Perché non limitarmi ad ascoltare musica senza dover per forza renderne conto qui? In realtà succede già che qualche album non passi da queste parti, scegliendo tra quelli del momento e preferendo le nuove uscite. In tutta sincerità spesso scrivere di un album mi aiuta comprenderlo meglio ed ad apprezzare i dettagli che solo ascoltandolo non possono essere colti. Però mettersi lì, davanti al pc ed inventarsi qualcosa da scrivere, non è sempre facile. Per questo, dopo dieci anni, perso lo slancio iniziale verso l’ignoto e l’euforia di condividere ciò che mi piace, comincio a sentire il peso di un obbligo che nessuno mi ha imposto. Con questo non voglio dire che chiudo tutto e dico addio ma che sarò solo un po’ più flessibile con me stesso, che non proverò ad essere sempre così puntuale ogni settimana. Mi prenderò la libertà di un weekend libero ogni tanto e rivedrò probabilmente la forma delle mie recensioni, in modo da impiegare meno tempo per scriverle. Ma non è detto, forse continuerò così e non cambierà niente. La verità è che potrei impiegare questo tempo per altro, non so ancora esattamente per cosa ma ci sto pensando. Ci sono parecchi libri che vorrei leggere, altrettanti film che vorrei vedere e fare qualche passeggiata in più, DPCM permettendo.

Com’è andata?

Siamo arrivati in fondo a questo 2020. Qualcuno ce l’ha fatta, qualcun altro purtroppo no. Spero voi stiate tutti bene. Io ho passato indenne questi 366 giorni (un giorno in più era proprio quello che ci voleva) ma non si può dire lo stesso per molti di noi. Passeremo alla storia, non c’è dubbio. Non sappiamo ancora come andrà a finire. Forse passerà tutto presto, non certo in maniera indolore ma passerà prima o poi. Oppure l’umanità si estinguerà piano piano, tra pandemie, inquinamento e surriscaldamento globale, e tra qualche decina di anni rimarrà solo qualche sparuto villaggio di sopravvissuti. Come ne L’ombra delle scorpione o Io sono leggenda.
Sembra passato un secolo da quando andavo in ufficio su di treno affollato e tornavo a casa la sera su di un altro ancora più affollato. Quando andavo a vedere le partite di basket nei fine settimana insieme a migliaia di persone. Quando si poteva vedere un film senza notare quanto le persone sono vicine, senza esclamare “che assembramento!” appena c’è un po’ di folla. Quando tutti puntavano il dito contro Fontana perché indossava una mascherina in TV gettando nel panico i cittadini, non sapendo che di lì a poco l’avremmo indossata tutti quella mascherina. Quando era poco più che un’influenza. Quando siamo andati a prendere in Cina quel ragazzo con la febbre usando un aereo militare attrezzato per il biocontenimento, non sapendo quello che stava succedendo qui, proprio sotto il nostro naso. Quando tutti orgogliosi ci vantavamo di aver individuato i due simpatici cinesi in vacanza con il virus, non sapendo che questi erano soltanto la punta di un iceberg. Quando le immagini del lockdown cinese ci facevano impressione. Poveretti, pensavamo, forse stanno esagerando un po’ ma così imparano a mangiare i pipistrelli vivi. Non sapendo che saremmo arrivati anche noi a quello. Al lockdown intendo, non a mangiare i pipistrelli vivi. Non ancora almeno. Quando a colpi di slogan, Milano, Bergamo e la Lombardia tutta si vantavano che non si sarebbero mai fermate. Poi ci siamo dovuti fermare di fronte alla processione di camion dell’esercito. Quando la domanda più importante senza risposta era “dov’è andato Bugo?”. Quando non sapevamo cosa fossero un DPCM, un tampone molecolare, un asintomatico o un’autocertificazione. Quando non sapevamo che ci fossero così tanti esperti di virus ed epidemie, o tipi diversi di mascherine.

Queste righe che seguono le scrissi diverso tempo fa, con l’intenzione di pubblicarle una volta finito tutto ma siccome non si vede una fine, ho pensato sarebbe stato meglio farlo in questa occasione. Sono incompiute. Non ho saputo dare loro una degna conclusione. Rimarranno così, in memoria di quello che è stato. Di quel momento in cui ho smesso definitivamente di scriverle, perché non sapevo più dove stavo andando a parare. Prendetele per quello che sono, un flusso di pensieri e ricordi che, forse, ci accomunano un po’ tutti.

È arrivato all’improvviso. O forse no, dovevamo aspettarcelo. Ma no dai! Chi se lo sarebbe mai aspettato dopotutto. Deve essere successo per colpa di uno che andava in giro come se niente fosse. Problema risolto, abbiamo trovato il colpevole. L’avevano detto che non ci sarebbe stato nessun pericolo. Da queste parti tutto funziona bene, non c’è niente di cui preoccuparsi. Nel dubbio lunedì in ufficio ci vado in macchina e mi porto il lavoro a casa. Ho preso il treno per tutto il mese senza sapere nulla, se doveva succedere sarebbe già successo. Nel dubbio meglio la macchina comunque, anche se non so quanto potrò lavorare da casa. Un paio di settimane, non c’è niente di cui preoccuparsi. Meno male che non ho rinnovato l’abbonamento del treno. Dai che questa settimana lavoro da casa. Mi distraggo un po’ di più ma è più comodo, o no? Non c’è bisogno di svegliarsi presto. Passano i giorni e mi accorgo di passare il mio tempo seduto davanti al pc. Ve bene ma non è molto diverso che essere in ufficio, ti pare? Mi manca la mia passeggiata in stazione mentre ascolto la musica. Posso ascoltarla mentre lavoro, cosa che di solito non faccio. Non mi piace molto però, finisce per essere un sottofondo che a malapena colgo.

I giorni passano e lavorare a casa mi infastidisce sempre di più. Sono a casa ma non posso fare quello che faccio abitualmente. Tutti coloro che sono costretti a casa si dedicano ai loro hobby, ai libri che non hanno mai letto, ai film che non hanno mai visto. Io invece, purtroppo o per fortuna, continuo a lavorare. Non è un lavoro essenziale ma si continua a farlo, il perché non lo so esattamente o forse sì. I soldi. Alla fine muovono tutto. Questa è la prima cosa alla quale dovremmo ripensare una volta passato il peggio. Abbiamo viaggiato per il mondo come fosse il giardino di casa nostra. Lo abbiamo fatto come turisti, per necessità o per lavoro. Credevamo di essere i padroni e invece non lo siamo per niente. Laddove c’era la normalità ho capito esserci il privilegio. Non ti accorgi dell’importanza di qualcosa finché non te la tolgono, dicono. Mi manca uscire di casa? Neanche più di tanto. Non sono mai stato uno molto sociale e socievole. Mi sembra strano soprattutto non poter uscire liberamente per comprare qualcosa che non sia strettamente necessario o di uscire per una passeggiata.

Che poi a volte mi ritrovo a non pensare ad altro. Se penso al lavoro, penso a quando potrò tornare in ufficio, quando finirò questa parvenza di ferie che ferie non sono, quando potrò smettere di indossare guanti e mascherina e non sentirmi più a disagio. Magari è solo un brutto sogno. Magari domani è tutto finito e si potrà riprendere. Magari non finirà mai e questa è la nuova normalità. Leggo gli esperti che un giorno dicono una cosa e quello dopo un’altra. Anche loro non sanno più che pesci pigliare. Leggo le profezie, alcune ottimistiche che non si rivelano mai veritiere, altre pessimistiche che speriamo non si rivelino veritiere. Ma è tutta una montagna di fuffa, mi dico. Forse, chissà, vuoi vedere che sotto sotto ci prendono? Forse se i Maya avevano ragione. Forse aveva ragione quel vecchio libro sulle presunte profezie di Giovanni XXIII. Forse il buon vecchio Malachia ci ha preso anche stavolta. Ezechiele ci è andato giù pesante per essere sicuro di prenderci. Quella Sylvia Browne eppure l’aveva detto. Beh, come non citare Nostradamus che va bene per qualsiasi cosa. Il buon Bill Gates è stato meno criptico ma nessuno gli ha dato retta. Pure Branko aveva detto la sua.

Poi mi ritrovo ad ascoltare i numeri delle sei del pomeriggio. Non tornano mai. Ci vuole davvero un veggente per interpretarli. Che poi non hanno senso, dicono. E quindi, niente più numeri? Come facciamo ha sapere come sta andando? Un qualche significato devono pur averlo. Che poi visti in percentuale non sono poi così spaventosi. Sì ma rispetto a cosa? A niente? Sì, allora sono un po’ più spaventosi. Ma non c’è da preoccuparsi, andrà tutto bene. In che senso? Per tanti le cose non sono andate affatto bene. Nel senso che finirà prima o poi. Ah sì, questo è sicuro. Per alcuni è finirà prima ma tant’è. Sembra secoli fa, quando tutto andava come sempre, vero? Sembra che siamo fermi da anni. Che il bollettino sia una tradizione nazionale, come Sanremo di febbraio. Mentre noi qui affoghiamo nelle domande senza risposta e nei numeri, la Natura continua il suo corso. Anzi si fa beffe di noi e sta meglio senza. L’acqua e l’aria si puliscono, gli animali arrivano in piazza e il silenzio avvolge tutto. La Natura è più forte perché lei è padrona della Terra e l’uomo una delle sue tante creature. Ah ma non illudiamoci. Vedrete che tutto questo non ci cambierà poi molto. Questione di anni e poi tutto tornerà come prima. L’umanità raramente ha imparato dai propri errori. Ma forse questa volta sarà diverso.

Bello questo 2020 vero? Tutti in piazza a festeggiarlo quando è arrivato. Non mi è mai piaciuta la festa di Capodanno. Non ho mai capito cosa ci sia da festeggiare. E poi è un anno bisestile, lo sanno tutti che “anno bisesto, anno funesto”. Non credo a queste cose ma il mio 2016 non è stato felicissimo e questo 2020 non mi ispirava per niente. Sotto quel simpatico 20 doppio che ci metteva in guardia dallo scrivere le date correttamente per esteso, si nascondeva un problema più grosso. Molto più grosso.

Non mi giudicate – 2020

Siamo arrivati in fondo a questo strano anno. Il 2020 è stato davvero particolare per tutti noi ma avrò modo di scriverne più avanti. Ora è arrivato il consueto appuntamento di decidere quelli che, secondo me, sono stati i migliori album che ho ascoltato quest’anno (e un libro scelto tra quelli letti da Gennaio). Nessuna classifica, impossibile per me farne una, ma solo premi individuali. Il mio pc mi dice che sono 56 i dischi usciti quest’anno ed entrati a far parte della mia collezione e quelli scelti qui sotto sono solo 14, va da sé che molti di essi ho dovuto scartarli. Ma non temete, quelli degni di nota li trovate tutti qui 2020. Molti album non sono passati per questo blog anche se mi sono piaciuti. Ma il tempo è inclemente e faccio quello che posso. Anche questo argomento troverà spazio nei prossimi giorni su questo blog. Se in queste festività, ognuno a casa propria, avanzate un po’ di tempo per ascoltare della buona musica, ecco cosa ho scelto per voi quest’anno.

  • Most Valuable Player: Courtney Marie Andrews
    Questa cantautrice non delude mai e il suo Old Flowers ne è la conferma. Un album emozionante come pochi altri quest’anno e non potevo escluderlo da questa lista.
    Come navi nella notte
  • Most Valuable Album: Huam
    Il trio di artisti scozzesi Salt House pubblica un album magnificamente ispirato. Fin dal primo ascolto si percepisce la sensazioni di non essere davanti ad un disco qualunque.
    La speranza è quella cosa piumata
  • Best Pop Album: The Human Demands
    Amy Macdonald è Amy Macdonald. Questo album è probabilmente il migliore dei suoi finora. L’ho ascoltato un’infinità di volte e non ne ho mai abbastanza. Ho detto tutto.
    Una pallottola al cuore
  • Best Folk Album: An Sionnach Dubh
    Scelta non facile quest’anno ma quello di Dàibhidh Stiùbhard è l’album folk che più mi ha affascinato quest’anno. L’irlandese e gaelico scozzese possono risultare incomprensibili ma la musica è un linguaggio universale.
    La volpe nera
  • Best Country Album: That’s How Rumors Get Started
    Anche in questo caso avevo l’imbarazzo della scelta ma Margo Price con il suo terzo album l’ha spuntata sui concorrenti. Cambio di marcia per questa cantautrice che non tradisce sé stessa.
    Una luna piena sopra una strada vuota
  • Best Singer/Songwriter Album: Song For Our Daughter
    C’è qualcuno che può competere con Laura Marling quando si tratta di cantautrici? Difficile dirlo con obbiettività ma per me lei è tra le migliori in assoluto e lo sarà ancora a lungo.
    L’amore è una malattia curata dal tempo
  • Best Instrumental Album: Shine
    Sto allargando i miei interessi agli album strumentali e questo della musicista irlandese Caroline Keane è tra quelli che ho ascoltato di più.
    Musica tradizionale irlandese per concertina che allieta l’animo.
    Mi ritorni in mente, ep. 70
  • Rookie of the Year: Diana DeMuth
    Pochi dubbi a riguardo. Misadventure è un gran debutto, convincente sotto ogni aspetto. I contendenti non erano pochi ma quest’artista si è guadagnata questo premio con largo anticipo.
    Lo stesso vecchio gioco
  • Sixth Player of the Year: Shayna Adler
    Premio dedicato alla sorpresa dell’anno. Wander è un album, per l’appunto, sorprendente e se lo merita tutto. Un folk americano diverso dal solito, un viaggio affascinante.
    Ho visto tante, tante cose
  • Defensive Player of the Year:  Siv Jakobsen
    Chi invece non è una sorpresa ma una certezza è questa cantautrice norvegese che quest’anno a pubblicato A Temporary Soothing. Un album sincero e personale, anche molto fragile.
    Un lenitivo temporaneo
  • Most Improved Player: Hailey Whitters
    La scelta alla fine è ricaduta su di lei e il suo The Dream che mi ha accompagnato nei momenti più bui della prima ondata. Un buon country, positivo ed orecchiabile. Cos’altro chiedere?
    Bougainvillea, whiskey e un sogno
  • Throwback Album of the Year: In All Weather
    Dedicato all’album non uscito quest’anno. A mani basse lo vince Josienne Clarke. Una cantautrice unica che devo ancora scoprire ma senza fretta. Ogni volta che lo ascolto è come la prima volta.
    Bel tempo si spera
  • Earworm of the Year: Supernasty
    Non è stato un anno di canzoni particolarmente martellanti ma questa di Lynne Jackaman lo è stata senza dubbio. Tutto l’album One Shot merita un ascolto. Non vi deluderà.
    Mi ritorni in mente, ep. 72
  • Best Extended Play: Marmalade
    Il terzo EP della cantautrice Sophie Morgan è andato al di là delle mie aspettative. Si merita una menzione in questa lista di fine anno. Speriamo in un album nel prossimo. Sto già aspettando.
    Mi ritorni in mente, ep. 68
  • Most Valuable Book: Le sette morti di Evelyn Hardcastle
    Ho letto più libri del solito quest’anno ma nessuno come questo. Un giallo tanto appassionante quanto ingarbugliato. Stuart Turton ha fatto un ottimo lavoro. E siamo solo al suo debutto.
    Ancora un altro libro, ep. 3

La prova del nove

Oggi questo blog arriva al suo nono anno di vita. Quest’ultimo anno è stato quello più ricco di visite di sempre ma non sono qui a scrivere per vantarmene. Mi interessano poco questo genere di numeri. Ciò che mi sorprende di più, e succede ogni anno che passa, è la quantità di tempo che ho dedicato a questo blog. Quest’anno, in modo particolare, non ho recensito tutti gli album che ho ascoltato e i libri che ho letto. Questa cosa, anche se può sembrare un mancato obiettivo, in realtà la vedo in positivo. Mi sono sentito più libero di ascoltare e leggere quello che volevo senza necessariamente condividerlo con voi. Ciò che mi è piaciuto di più è ovviamente giunto su questo blog allo scopo di consigliarvi tale disco e tale libro. Mi sono impegnato e qualcosa in più riguardo alle mie letture l’ho postato, lo stesso vale per il cinema. Vorrei riuscire a vedere qualche film in più ma il tempo è quello che è. Riesco a soddisfare meglio la mia curiosità per quanto riguarda i libri e quest’anno posso dire di avere spuntato diversi titoli della mia lista d’attesa. Tutto questo anche grazie all’acquisto di un lettore ebook che per qualche motivo mi invoglia a leggere più spesso, sperimentando anche qualche genere diverso dai miei soliti. Sul fronte musicale continua il mio percorso alla scoperta di nuovi artisti e spaziando su più fronti ho trovato diverse cose interessanti. Ma come scrivevo sopra, alcune di queste sono rimaste fuori, per forza di cose, dal blog. Ma lasciate che in questa occasione possa scrivere di tre argomenti che riguardano direttamente o indirettamente questo blog: il ruolo delle donne nella mia musica, la musica italiana e la musica oggi.

Il ruolo delle donne nella mia musica. Chi mi segue da tempo avrà sicuramente notato quante ariste donne siano presenti nella mia musica preferita. Non mi sono mai messo a contare quante sono ma credo che si avvicinano al 90% della mia collezione. E pensare che fino a qualche anno fa non era affatto così. Tutto è cominciato per caso quando ho iniziato ad ascoltare il primo album di Amy Macdonald. Capii che c’era un panorama musicale al femminile che non fosse quello sovraesposto del pop da classifica. Da allora sono entrato in una sorta di circolo vizioso. Sì, credo di poterlo chiamare così: un circolo vizioso. Nel caso degli artisti uomini, tendo a preferire quelli che hanno un timbro vocale particolare o le band ma nelle donne non ho particolari preferenze. Ed è proprio per questo che faccio fatica ad uscire dal giro. Oggi viviamo in un epoca in cui le donne vogliono farsi sentire sempre più forte e dal mio (maschile) punto di vista ci stanno riuscendo particolarmente bene nel mondo della musica. E non sono solo io a dirlo. Le artiste oggi sono un passo avanti rispetto agli uomini in quanto ad intraprendenza e coraggio anche se, in generale, faticano a trovare spazio nelle radio. Personalmente credo che nell’era di internet e dei social, sperare nelle radio per avere visibilità sia una cosa sorpassata. Penso sia una questione di principio ormai, solo per rivendicare una parità di trattamento con gli uomini. Non sono un maschilista, la mia musica e questo blog sono lì a dimostrarlo e non posso definirmi femminista in quanto uomo. Per me le donne nella musica, e nell’arte in generale, ci presentano un modo con occhi diversi rispetto ad un uomo. Può sembrare banale ma la penso così. La verità è quasi non mi accorgo di scegliere spesso artiste di sesso femminile. Per me non c’è nessuna differenza ma l’ago della bussola punta sempre, e per qualche motivo, in quella direzione. In definitiva, se non ci fossero state le donne, mi ritroverei con un pugno di artisti da ascoltare e forse questo blog non avrebbe avuto l’aspetto che ha ora e non avrebbe raggiunto il suo nono anno di vita.

La musica italiana. Ahi, andiamo a toccare un tasto che ha sempre tormentato le mie opinioni in fatto di musica. Perché non scrivo di musica italiana su questo blog? In realtà in passato l’ho fatto. In un post del 2016 mi sono espresso a riguardo, in seguito al festival di Sanremo di quell’anno (potete leggerlo qui Dopo festival). Il mio rapporto con la musica del Bel Paese continua ad essere conflittuale come allora e la persistente tendenza a generalizzare. Continua a vedere artisti ultra trentenni che non hanno ancora una personalità ben definita e si adattano alla moda pop del momento nel tentativo, inspiegabile, di tenersi buono un pubblico adolescenziale che nel frattempo è cresciuto (o forse no). Io che ho raggiunto i 30 anni trovo inspiegabile come si faccia ad ascoltare artisti come Emma Marrone (tanto per fare un nome) alle prese ancora con patemi d’amore tanto drammatici quanto scontati. Lo so è musica pop ma si potrebbe fare di meglio con poco. A proposito della Marrone, ho ancora impresso nella memoria una terribile versione di La sera dei miracoli di Lucio Dalla. No, non linkerò qui il video, andatevelo a cercare se volete farvi un idea di cosa trovo insopportabile nella musica italiana di oggi. Non sopporto nemmeno i cantautori/ le cantautrici di nuova generazione con la loro spocchia e sicumera. I loro giri di parole, le loro canzoni farcite di paragoni e metafore sempre uguali e fini a sé stesse. Se ascoltate bene le parole non riuscirete a trovare un qualcosa che possa darvi indicazioni di cosa stiano parlando. Sembrano fatte con lo stampino, bell’e pronte per fare citazioni sui social. Lo so, sono pigro quando si tratta di musica italiana e non mi informo abbastanza a riguardo. Chissà, magari qualcuno sa consigliarmi qualche sito o blog pieno di musica italiana interessante. Finora io ho sempre fatto fatica a trovare qualcosa di nuovo da ascoltare, anche nel panorama indipendente. Qualche volta è capitato di provare un po’ di curiosità in merito ad un artista italiano ma non sono andato più in là di un paio di ascolti, sopraffatto dalla fastidiosa sensazione di presunzione che mi trasmettevano. Per favore niente italiani che cantano in inglese! Non avrebbe senso per me che sto cercando di scoprire un certo feeling con la musica italiana e poi, diciamolo, per un italiano cantare in inglese è un ammissione di inferiorità e debolezza nel mercato internazionale. La nostra lingua è musicale e ha un bel suono ma da anni ci ostiniamo a scimmiottare americani ed inglesi perdendo la nostra identità. A pagarne le conseguenze sono sopratutto i cantautori, una volta il nostro vanto ma che oggi sono imbarazzanti per come non riescono a trarre ispirazione dai loro più illustri predecessori. Proposito per l’anno nuovo: trovare uno o più artisti italiani da aggiungere alla mia collezione che oggi vede solo Elio e le Storie Tese e Samuele Bersani.

La musica oggi. Ho letto che passati i 30 anni si tende ad essere nostalgici in fatto di musica. In pratica schifiamo tutto ciò che è nuovo. Sarà vero? Ve lo saprò dire presto. Intanto io continuo ad ascoltare cosa c’è in giro, cosa riempie le classifiche. Posso dire che trovo spaventoso l’appiattimento musicale che percepisco? A me sembrano tutte uguali queste pop star. La musica e i temi si ripetono, come un’invasione di cloni. Il rock è morto si sa, schiacciato proprio da tutto questo rap, hip hop, trap, r’n’b e derivati. Nel corso degli anni ’90 e i primi del duemila nutrivo una certa simpatia per la musica rap. Era qualcosa di nuovo, in controtendenza con il pop commerciale di quegli anni, una rivoluzione. Sporco, cattivo e acuto. Poi è diventato un genere per fighetti ricchi che si vantavano di esserlo alla faccia tua. Gente del ghetto, tutt’altro che simpatica. Anche in Italia, da sempre in ritardo sotto questo aspetto, vanta degli esponenti di riguardo che ancora oggi provano, invano, a mantenere un po’ di credibilità. E da lì in poi secondo me è iniziata la veloce decadenza della musica commerciale. Non c’è stato spazio per nient’altro e ancora oggi ne paghiamo le conseguenze. Ma si tratta di mode e di gusti e va bene così, vanno e vengono. Ciò che mi preoccupa di più è che spesso i testi ma ancora di più i video sono espliciti sotto ogni aspetto. Droga e sesso infarciscono ogni secondo di queste canzoni che spesso sono indirizzate ad un pubblico giovane. Non dico che dovrebbero parlare di campi di fiori ma se dovete proprio parlare di droga e sesso fate almeno lo sforzo di celarlo tra le righe e lasciare che sia l’ascoltatore a trarre le sue conclusioni! L’ha fatto per tanto tempo la musica rock ed ha funzionato a meraviglia. Invece no, ve lo sbattono in faccia chiaro e tondo per evitare dubbi o forse perché i loro ascoltatori (e perfino loro stessi) farebbero fatica a comprendere frasi sibilline. Qualche tempo fa era nata una polemica riguardo ad un video di Ariana Grande, e in generale alla sua immagine. A miei tempi il massimo che vedevi su MTV era Britney Spears in una tutina rossa aderente o vestita da scolaretta, oppure Shakira che si rotolava nel fango. Oggi si va oltre tutto questo. La parola d’ordine è “esplicito”. Tutto deve essere esplicito per non far lavorare troppo di fantasia i nostri ragazzi, in nome della libertà d’espressione ed di un’emancipazione sulla quale l’industria discografica ci sta marciando da anni. Ciò che mi sorprende più di tutto è che le donne tendono a difendere artiste come Ariana Grande o Miley Cyrus. Davvero le donne di sentono rappresentate da tutto questo? Non sono forse gli uomini a desiderarlo, sfruttando il corpo delle donne come oggetto? Oggi la musica sembra in mano ai ragazzini e ai loro pruriti, tutto il resto è nascosto e passa quasi inosservato. La situazione si è ribaltata, ciò che prima era confinato nei ghetti oggi è sotto le luci della ribalta, da spremere finché ce ne, il resto è stato confinato a musica per sfigati, vecchi e nostalgici che nel loro ghetto difendono la loro musica da cattive influenze.

Ne avrei da scrivere ancora ma per il momento mi fermo qui. Non vorrei apparire polemico, perché non voglio esserlo. Ognuno è libero di ascoltare la musica che vuole e, credetemi, sono il primo a sostenere che ogni genere ha la sua dignità di esistere. Ci sono generi fatti per ballare, divertire, altri per emozionare, innamorarsi, per diffondere un messaggio. Per quanto riguarda la qualità, quella è soggettiva secondo me ed è una battaglia destinata a non avere vincitori. Ciò che più mi spaventa e non mi piace è il vuoto, l’assenza di uno scopo. Quale futuro ci aspetta?

Non mi giudicate – 2019

Un altro anno è passato e sono qui per fare il punto su quanto di meglio è passato per le pagine di questo blog. Ogni anno è sempre più difficile fare delle scelte ma è bello poter passare in rassegna i dischi ascoltati e i libri letti. Ecco qui sotto, le mie scelte. Chi è rimasto fuori lo potete trovare comunque qui 2019. Ho aggiunto una nuova categoria per gli album esclusivamente strumentali, che quest’anno si sono aggiunti alla mia collezione.

  • Most Valuable Player: Rachel Sermanni
    Con il nuovo So It Turns questa cantautrice scozzese ritrova ispirazione e cresce sotto ogni aspetto, come artista, come donna e soprattutto come madre. Un ritorno che mi è piaciuto molto, nel quale ho ritrovato un’amica.
    Rachel Sermanni – What Can I Do
  • Most Valuable Album: Designer
    Fin dal primo ascolto non ho esitato a definire Designer come l’album dell’anno. Aldous Harding raggiunge la perfezione nell’equilibrio tra il suo folk acustico dell’esordio e l’astrattismo moderno. Consigliatissimo.
    Aldous Harding – Zoo Eyes
  • Best Pop Album: Norman Fucking Rockwell
    Lana Del Rey non sbaglia un colpo e non vuole fare la pop star. Sempre più lontana dall’apparire come una femme fatale, questo album racchiude uno spirito poetico trapiantato in un presente decadente e alla deriva.
    Lana Del Rey – Fuck it I love you / The greatest
  • Best Folk Album: Enclosure
    Le sorelle Hazel e Emily Askew realizzano un album che attraverso brani tradizionali lancia un messaggio attuale. Attraverso un accompagnamento musicale essenziale e la voce di Hazel, le Askew Sisters ci fanno riflettere.
    The Askew Sisters – Goose & Common
  • Best Country Album: The Highwomen
    Il supergruppo con Amanda Shires, Natalie Hemby, Maren Morris e Brandi Carlile sia aggiudica il premio con un mix di canzoni dall’anima country ispirata dai maestri del passato. Il tutto segnato da un’ispirazione femminista.
    The Highwomen – Redesigning Women
  • Best Singer/Songwriter Album: Lucy Rose
    Il suo No Words Left è un album difficile da affrontare. Così personale ed intimo che lascia l’ascoltatore un senso di impotenza. Lucy Rose riesce più di tutte a trasmettere sé stessa attraverso le sue canzoni.
    Lucy Rose – Treat Me Like A Woman
  • Best Instrumental Album: The Reeling
    La giovane musicista Brìghde Chaimbeul con la sua cornamusa ha incantato tutti riuscendo a mescolare tradizione e modernità. Questa ragazza nel suo piccolo sembra avere tra le mani il futuro della musica folk.
    Brìghde Chaimbeul – An Léimras / Harris Dance
  • Rookie of the Year: Jade Bird
    Come poteva essere altrimenti. Jade Bird con il suo esordio si è rivelata una delle promesse più lucenti del panorama musicale inglese e non solo. Una ragazza che punta alla sostanza e rifiuta le mode passeggere. Da non perdere.
    Jade Bird – I Get No Joy
  • Sixth Player of the Year: Emily Mae Winters
    Premio dedicato alla sorpresa dell’anno. In realtà il talento di questa cantautrice inglese era già emerso fin dal suo esordio folk, a sorprendere invece, è la sua scelta di virare verso un sound più americano. Coraggiosa e vincente con High Romance.
    Emily Mae Winters – Wildfire
  • Defensive Player of the Year:  Janne Hea
    Questa cantautrice norvegese ritorna dopo tanti anni con Lost In Time e lo fa riproponendo la sua formula vincente: semplicità, sincerità e poesia. Ho ritrovato un’artista che ho ascoltato per anni, in attesa di questo ritorno.
    Janne Hea – Lost In Time
  • Most Improved Player: Joseph
    Le sorelle Closner con il loro Good Luck, Kid brillano per energia e affiatamento. Un album pop curato nei dettagli che oscilla tra passato e presente, portando le Joseph ad un livello superiore rispetto a questo fatto sentire finora.
    Joseph – Green Eyes
  • Throwback Album of the Year: Savage On The Downhill
    Ho inseguito questo album della cantautrice americana Amber Cross per anni. Non mi ha deluso. Per niente. Tanta buona musica country folk, diretta e sincera. La voce della Cross è unica e non vedo l’ora di ascoltare qualcosa di nuovo da lei.
    Amber Cross – Trinity Gold Mine
  • Earworm of the Year: Benefeciary
    Il ritorno della band canadese dei Wintersleep con In The Land Of è un davvero un bel album. Ogni singola nota è ispirata dall’amore per il nostro pianeta. Questa canzone in particolare ci ricorda che siamo beneficiari di un genocidio.
    Wintersleep – Beneficiary
  • Best Extended Play: Big Blue
    Bess Atwell ritorna con un EP che rinfresca il suo sound in attesa di un nuovo album che spero arrivi presto. Questa cantautrice inglese conferma con questo disco tutto il suo talento e la sua voce unica.
    Bess Atwell – Swimming Pool
  • Most Valuable Book: Infinite Jest
    Non ci poteva essere che Infinite Jest come libro dell’anno. Il capolavoro di David Foster Wallace ancora oggi, a distanza di mesi, mi ritorna in mente con le sue storie assurde, tristi e tragicomiche.

collage

Chi fermerà la musica

Mi prendo una pausa dalle recensioni e recupero un post che ho scritto qualche tempo fa ma che non ho mai pubblicato riguardo un tema che sta emergendo negli ultimi anni e mi interessa particolarmente. Ovvero la profonda trasformazione che sta provocando (o forse ha già provocato) lo streaming musicale nel mercato discografico. Non ho intenzione di annoiare nessuno con cifre che vogliono dimostrare quanto i servizi come Spotify rendano molto poco agli artisti che non hanno milioni e milioni di ascolti. Pare infatti che ormai per questi ultimi, Spotify sia diventato una specie di social network, nel quale farsi un po’ di pubblicità e nient’altro. Non rappresenta quindi una sostanziale fonte di entrate. Ma chi se ne importa, potrebbe pensare qualcuno, di dare soldi a questa gente! Che si trovassero un lavoro vero! Forse per alcuni di essi sarei anche d’accordo ma trovo questa visione delle cose un po’ fuori dal tempo. Ci sono persone che fanno (molti) soldi, in modi assurdi o al limite della legalità, e non vedo nulla di male scegliere la musica come un lavoro. Un lavoro piuttosto rischioso, per altro. Oggi vai alla grande e domani non esisti più per nessuno. Una scelta sbagliata e la caduta nell’oblio spesso è inevitabile.

Qualche anno fa sembrava che la pirateria fosse la causa di tutti i mali. Scaricare illegalmente era una cosa considerata normale e ancora oggi per molti lo è. Chi lo faceva senza nessun senso di colpa, ha continuato a farlo e tutti gli altri invece hanno scelto lo streaming legale. Ottimo. La questione sembrava, almeno in parte, risolta. Ma ben presto la realtà si è rivelata un’altra. Lo streaming non poteva sostituire in pieno la vendita di dischi. L’ascolto di musica è sempre in aumento ma i guadagni per gli artisti e le case discografiche calano vertiginosamente. Evidentemente qualcosa non sta funzionando. Ci troviamo in una situazione nella quale le superstar continuano a guadagnare perché possono permettersi maggiore visibilità (pagando spazi pubblicitari all’interno dello stesso servizio di streaming) mentre gli altri si devono arrangiare, spesso illusi dall’ampio riscontro che oggi i social network possono dare.

Ogni artista fa quello che può, ad esempio facendo più concerti (la cui organizzazione ha dei costi), vendendo merchandising, oppure affidandosi a campagne di crowdfounding, alle quali anche io ho partecipato più volte. L’acquisto degli album, anche se spesso non è sufficiente nemmeno per coprire le spese, resta un buon modo per sostenere un artista soprattutto se indipendente o autoprodotto. Ecco perché ho sempre preferito l’acquisto degli album piuttosto che lo streaming. La maggior parte dei dischi che ho sono in formato digitale. Anzi praticamente tutti. I vantaggi di acquistare un album in digitale sono diversi. Prima di tutto il prezzo. Un CD può costare anche più del doppio del digitale per via del fatto che ha i costi di stampa, materiale e distribuzione, ecc. Occupa spazio e se volete ascoltarlo in movimento (a piedi, in treno e perfino in auto ormai) sarete costretti a farne una copia in digitale, abbandonando di fatto il supporto fisico. Capite benissimo che sarebbe inutile pagare il doppio per usare sempre e comunque il digitale. Se ne fate una questione di qualità audio allora vuol dire che siete degli audiofili appassionati. Perché ormai gli album digitali in alta qualità, mp3 a 320 kbits/s o FLAC, si possono acquistare anche senza differenze prezzo, e per distinguere un mp3 320 kbits/s dalla qualità CD dovreste avere un orecchio davvero fino ed allenato.

Al dì là che preferiate il CD al digitale c’è anche un’altra componente che con lo streaming si perde: il possesso. Una volta lessi in un articolo, che evidenziava una curiosa ripresa nelle vendite di CD, una frase che diceva pressapoco così: acquistando un disco, lo paghi una volta e lo si possiede per sempre. Lo streaming lo paghi per sempre e non lo possiedi mai. Lasciando da parte per un attimo i vantaggi nell’acquisto per un artista, quello maggiore per l’ascoltatore è proprio il possesso. Immaginate se tra qualche anno Spotify dovesse chiudere i battenti. Vi lascerà ascoltare ancora gli album che avete salvato offline? Non credo proprio. Semplicemente non sono vostri, è una specie di noleggio. Tutto quello che avrete pagato, collezionato, organizzato in playlist per anni e anni potrebbe un giorno non essere più disponibile, senza che voi possiate fare nulla. Oppure un artista o un gruppo potrebbe lasciare il servizio, rendendo non più disponibile la propria musica (è già successo più volte). Se non siete degli ascoltatori particolarmente appassionati probabilmente la cosa non vi creerebbe molti problemi. Ma per chi, come me, ci tiene particolarmente alla sua collezione musicale, sarebbe piuttosto fastidioso dovesse succedere una cosa del genere.

Non nascondo che lo streaming ha i suoi aspetti positivi lato utente. Avere la possibilità di ascoltare ovunque la propria musica senza portarsi dietro i file non è un vantaggio da poco. Scoprire nuovi artisti è semplicissimo e spesso rispecchiano i nostri gusti (forse anche troppo). E poi certamente il prezzo è davvero economico. Ad esempio Spotify a 9.99 € al mese costa quanto un album digitale. A chi piace ascoltare musica come me compra più di un album al mese, perciò non serve la calcolatrice per capire che si risparmia eccome. Se la pubblicità e qualche limitazione non vi infastidiscono, tutto questo può essere perfino gratuito.
Il servizio offerto da Spotify o simili è decisamente allettante ma personalmente ho sensazione che non sia molto corretto. Che lo streaming sia il futuro è più che evidente ma lo è altrettanto che le cose non potranno rimanere a lungo così convenienti per i fan, che ovviamente in questo caso sono a tutti gli effetti dei consumatori e vanno dove costa meno.
Io sono dell’opinione che il digitale sia il miglior compromesso tra ciò che conviene e ciò che è corretto nei confronti degli artisti. La recente ripresa delle vendite di vinili e cassette è puramente una questione che riguarda i collezionisti disposti a pagare (troppo) per supporti considerati decaduti da qualche decennio ma tornati di moda per un effetto nostalgia. Il CD resta il migliore per chi vuole qualcosa da tenere fra le mani senza spendere cifre folli ma proprio a causa delle streaming è il supporto che sta soffrendo di più.

Se qualcuno tra voi volesse acquistare, sempre o qualche volta, un album digitale vi posso consigliare qualche sito. Personalmente mi sono sempre trovato bene con 7digital tra i primi store online di musica digitale. Troverete moltissimi album tutti in mp3 di alta qualità ad un prezzo mediamente di € 10, e con qualcosa in più c’è anche la possibilità di scaricare musica in formato FLAC, tutto senza DRM. Avrete il vostro account con gli album sempre disponibili da scaricare o ascoltare in streaming. Unici difetti, manca una wishlist e talvolta capita che qualche album sparisca dal catalogo dopo un po’ di tempo e non riuscirete più a scaricarlo di nuovo. Quindi è sempre meglio scaricarlo subito dopo l’acquisto, anche se è una cosa che capita raramente e non credo sia loro diretta responsabilità.
Altrimenti se volete acquistare direttamente (o quasi) dall’artista o dalla sua casa discografica c’è Bandcamp. Potrete acquistare qualsiasi cosa dai CD, al digitale, dai vinili e al merchandising vario. Gli album digitali sono senza DRM e ad offerta libera. Ci può essere un prezzo minimo ma potreste trovare qualcosa di gratuito. Si tratta per la maggior parte di artisti indipendenti o piccole etichette ma negli ultimi anni l’offerta è cresciuta molto e qualche nome importante comincia ad esserci. Avrete anche qui il vostro account con tutti gli acquisti scaricabili in qualsiasi momento e in qualsiasi formato conosciuto, pagando una volta sola. Non è una cosa da poco. C’è una wishlist e potrete seguire artisti, per essere avvisati quando esce un nuovo album, e seguire i fan, per essere aggiornati sui loro nuovi acquisti. Inoltre i prezzi sono espressi nella valuta dell’artista e quando, ad esempio, è in dollari, un album può venire a costare anche meno dei famosi 10 €. Senza contare che nella maggior parte dei casi acquisterete un album direttamente dall’artista, senza intermediari, ad eccezione dello stesso Bandcamp, che è sempre stato trasparente, e il più possibile corretto, per quanto riguarda la sua quota parte. Da notare che per avere un account è necessario acquistare almeno un album o qualsiasi altro prodotto. Qui potete trovare la ma collezione: bandcamp.com/joebarry.
Meglio ancora, se possibile, è acquistare direttamente dallo store ufficiale dell’artista o della sua etichetta.
Nei casi, rari, nei quali non riesca a trovare l’album che si sta cercando in uno di questi tre modi, non resta che Amazon, anche se non è proprio chiarissimo quale sia la qualità dei sui mp3 (comunque al di sotto di 320 kbits/s) se non dopo l’acquisto.

Quindi, se non vi va di pagare, niente è meglio della musica pirata o dello streaming gratuito. Ma se anche solo ogni tanto un album o una canzone vi piace, acquistateli.

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