Sans voix

A sorpresa lo scorso mese è uscito un album strumentale della cantautrice canadese Béatrice Martin, in arte Cœur de Pirate. L’album, intitolato Perséides, è composto da 10 tracce realizzate solo con il pianoforte. Il motivo di questa scelta è legato all’impossibilita della Martin di cantare, e perfino parlare, durata diverse settimane a causa di un’operazione alle corde vocali. Il suo talento di pianista e di compositrice si è risvegliato dando vita a questi brani brevi ma che riescono a racchiudere l’animo che da sempre caratterizza la musica di quest’artista. Non sono solito scrivere di album strumentali, mi limiterò allo stretto necessario e vi lascerò libero l’ascolto.

Cœur de Pirate
Cœur de Pirate

Sacré-Coeur evoca un’atmosfera luminosa, venata da quella malinconia e dal romanticismo che hanno caratterizzato gli esordi dell Martin. E la melodia di Kamouraska, tratteggiata dalle note, ricorda molto anch’essa la dolcezza delle prima composizioni di questa cantautrice. Molto bella e tra le mie preferite è senza dubbio Arvida. Una melodia splendida e toccante. Più triste e molto vicina alla chanson francese è Isle-aux-Coudres, che esprime tutta la sensibilità e il talento di Cœur de Pirate. Frelighsburg è delicata e romantica. Le note formano come una poesia, perfettamente calibrata che scivola via e fa sognare. Uno dei brani più lunghi dell’album è Les Éboulements, che sembra perfetta per fare da accompagnamento ad un canto ma la voce non arriva mai. è il pianoforte a cantare, incantare e sorprendere. Magnifico fin dai primi secondi. Lost River è una melodia carica di fascino e mistero ma allo stesso tempo leggera come l’aria. Saint-Irénée è meravigliosamente notturna, forte e sicura. Una prova di talento che non lascia indifferenti. Rivière-Éternité è un giro di pianoforte che si rincorre senza sosta e scivola via come pioggia estiva. L’album si chiude con Notre-Dame-du-Portage che ricalca la melodia precedente ma con un piglio più grandioso e affascinante.

Perséides riporta la musica di Cœur de Pirate alle sue origini più essenziali e legate al pianoforte, a dimostrazione che la sua abilità con questo strumento, che suona dall’età di tre anni, non si è mai sopita. Sicuramente è alla base di tutti i suoi brani più pop ed è chiaro da come la sua mano e il suo tocco, si riescano a sentire sempre ma in maniera più marcata in questo album. Queste dieci “perseidi” non hanno titoli casuali ma sono tutte località canadesi, in particolare della regione del Québec. Come si dice in questi casi, di necessità si fa virtù, e Perséides è proprio questo. In un momento come quello che stiamo vivendo, in un mondo sempre più sommerso dalle parole e dalle voci, Béatrice Martin ci regala un momento di gradito silenzio e intimità.

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Ancora un altro libro, ep. 7

Non è passato molto tempo dall’ultima volta che ho pubblicato un post riguardo alle mie letture. Infatti nel frattempo ho letto solo due libri ma entrambi meritano due parole. In particolare il primo di questi ovvero, Gli inganni di Locke Lamora (The lies of Locke Lamora) di Scott Lynch. Primo della serie dei Bastardi Galantuomini, è stato pubblicato per la prima volta in lingua originale nel 2006 e sono previsti altri sei volumi. La pubblicazione in Italia è stata travagliata ma lo scorso anno la Mondadori ha dato nuova vita ai primi tre capitoli, il quarto sarà pubblicato in lingua originale alla fine di quest’anno. Come potete notare, tra la pubblicazione del primo, Gli inganni di Locke Lamora appunto, e il successivo I pirati dell’oceano rosso (Red Seas Under Red Skies), passa solo un anno ma ci vorranno ben sei anni prima di poter leggere La repubblica dei ladri (The Republic of Thieves). Scott Lynch ha dovuto affrontare diversi problemi personali che hanno rallentato la realizzazione delle opere, compreso l’ultimo romanzo The Thorn of Emberlain che uscirà a quattro anni di distanza dal precedente.
Vi starete chiedendo quindi come è questo Gli inganni di Locke Lamora. Innanzi tutto si potrebbe definire un fantasy. Ma è finalmente un fantasy dove il protagonista, Locke Lamora, non è un eroe che deve salvare il mondo, dove non c’è una netta distinzione tra male e bene e dove la magia non è onnipresente. Ci sono maghi ma un po’ diversi dal solito. Molto permalosi, vendicativi e anche parecchio costosi. La particolarità dello stile di Lynch è l’uso di toni adulti, con un linguaggio carico di parolacce, con un uso frequente di violenza fisica e verbale, ma sempre con una vena di ironia nera. Tutto ciò può piacere a molti e dare fastidio ad altri. Per certi versi può ricordare un po’ lo stile tarantiniano, per intenderci. Lo stesso Locke non è un personaggio per bene e, anche se appare simpatico e affabile, è disposto a tutto pur di salvarsi la pelle e guadagnarci sopra qualche moneta. Perché Locke è prima di tutto un abile ladro e truffatore e insieme ai suoi Bastardi Galantuomini mette a segno colpi mirabolanti. Jean Tannen è abile con le armi (ma anche senza), i gemelli Calo e Galdo Sanza sono ottimi in tutto e il giovane Cimice deve imparare ancora molto ma non gli manca certo il coraggio.
All’inizio va tutto per il verso giusto al nostro Locke Lamora e ai suoi compagni. La truffa al ricco Don Lorenzo Salvara inizia nel modo migliore ma la presenza nella città di Camorr del misterioso Re Grigio rovina i piani della banda. Camorr, appunto. Lynch pone i protagonisti in una simil Venezia settecentesca, dove si trovano tracce di una civiltà antica che costruiva tutto con un vetro indistruttibile. Gli uomini che la abitano hanno perso ogni conoscenza di quel periodo e vivono in un mondo più simile al nostro. L’autore crea tutta una mitologia, una religione originale e curiosa, fatta di numerose divinità. Spesso ci sono brevi digressioni che spiegano il contesto sociopolitico nel quale si muovono i personaggi senza mai approfondire troppo per non risultare noioso. I capitoli che raccontano la storia principale sono intervallati da flashback sulla gioventù di Locke Lamora e dei suoi colleghi e spesso influenzano la trama successivamente.
Quando iniziano i problemi e troppe cose mettono i bastoni tra le ruote alla Spina di Camorr (così è soprannominato Locke) si fa fatica a staccarsi dalle pagine grazie a colpi di scena del tutto inaspettati. Preparatevi perché succede di tutto. Non aggiungo altro per non rovinarvi il piacere della lettura, se non che la scrittura di Lynch, supportata da una traduzione più che ottima, è moderna e scorrevole, infarcita di parole desuete e altre del tutto inventate. Non vedo l’ora di leggere il secondo libro e scoprire qualcosa di più sui personaggi rimasti in secondo piano.

L’altro libro è La lunga marcia di Richard Bachman ovvero niente di meno che Stephen King. Lo pseudonimo fu creato da King nel tentativo di vedere se il suo successo era legato alle sue storie o semplicemente al suo nome. Non riuscì mai a scoprirlo dato che fu smascherato troppo presto (colpa dei diritti d’autore a suo nome) ma i numeri, piuttosto scarsi per Bachman sono a sostegno più della seconda ipotesi. Questo è il secondo romanzo a nome Bachman, il primo Ossessione, è stato ritirato dal mercato per volontà dello stesso King a seguito di alcuni episodi di violenza forse legato ad esso o forse no. La lunga marcia è stato pubblicato per la prima volta nel 1979 ma è stato scritto tra il 1966 e il 1967, otto anni prima dell’esordio di King con Carrie.
Cento ragazzi partecipano ad una logorante marcia che parte dal confine del Maine con il Canada per arrivare fino a Boston, a meno che non rimanga un solo concorrente. Sì perché chi rallenta, commette infrazioni previste dal regolamento viene prima ammonito tre volte, poi “congedato” ovvero fucilato sul posto da inflessibili soldati. Alla fine il vincitore avrà un sacco di soldi e un imprecisato Premio. Ovviamente ci troviamo negli Stati Uniti ma diversi da come li conosciamo. Sembra esserci un regime militare che non viene mai approfondito dall’autore. In realtà sono tanti i punti oscuri di questo romanzo. Quello che conta è la marcia. La scelta di King di raccontarla dal punto di vista di Ray Garraty, un giovane concorrente, lascia pochi dubbi su come vada a finire.
King riesce a dare forma ad un vero proprio incubo al quale prendono parte dei ragazzi incoscienti della loro scelta. La tensione è sempre alta e sembra di partecipare con loro a questa logorante “passeggiata” che porterà i concorrenti a reagire in modi diversi. Chi si arrende e accetta la morte, chi non vuole mollare e in un certo senso “muore”, annullando sé stesso, spegnendosi lentamente. Non c’è alternativa, o cammini e vinci o muori. Ottima quest’idea di base e la scelta di non approfondire il contesto nel quale si svolge la competizione, lasciando al lettore la libertà di immaginarsi questi Stati Uniti distopici e la natura del Premio. Ma si tratta pur sempre di un King acerbo, che perde la bussola nel capitolo finale, accelerando troppo e senza motivo. Tutti sanno che il Re ha qualche problema con i finali e questo è il più enigmatico dei suoi letti finora. Ho girato l’ultima pagina credendo di trovare il resto ma era completamente bianca. Forse una vera conclusione avrebbe deluso comunque ma vale lo stesso la pena di leggerlo, consapevoli che King ha scritto di meglio. Conta di più il viaggio che la meta.

Ritorno al Nord

Sono passati cinque anni dall’ultimo album di questa artista e, se devo essere sincero, avevo perso le speranze di poter sentire da lei nuove canzoni. L’uscita del nuovo Ravensdale mi ha colto di sorpresa e per poco non me la perdevo. Monica Heldal, cantautrice norvegese, è tornata lo scorso marzo con questo album di otto tracce intitolato come una sua canzone dell’ultimo The One In The Sun, quasi a voler sottolineare la volontà di riprendere un discorso interrotto tempo fa. Non resta altro che scoprire cosa ci ha riservato la Heldal per questo suo inatteso ma benvenuto ritorno.

Si comincia proprio con Ravensdale Reprise che si aggancia all’album precedente. Ritroviamo tutte le caratteristiche di questa artista. Il suono delle chitarre che tratteggiano un’atmosfera eterea che fa da sfondo alla voce della Heldal. It Could Still Be A Good Day si apre verso melodie più luminose che accompagnano una delle canzoni più orecchiabili di questo album. Le sonorità in questo caso ricordano di più quelle degli esordi, con influenze indie pop e rock, con un tocco più ricercato nel finale. La successiva Wallowa Lake ci fa assaporare le atmosfere del nord Europa con influenze di americana e folk. Una melodia gentile e malinconica ci accompagna lungo tutta la sua durata. Da ascoltare. Síocháin è una canzone nel tipico stile della Heldal. Il suono affascinante e misterioso della chitarra si sovrappone alla voce magnetica di quest’artista ed entrambe si snodano su un tappeto di suoni evocativi. Peacetown è una canzone intima e riflessiva che ci svela un lato più personale di Monica. Immancabile è la chitarra ma questa volta non c’è mistero né la volontà di sorprendere. Ad emergere è un senso di pace e di serenità. Praire torna ad esplorare territori sconosciuti, le terre sconfinate dell’animo che sembrano attrarre da sempre la Heldal. Segue la bella Glitter In Golden non a caso scelta come singolo. Qui Monica da sfoggia del suo talento di cantautrice confezionando una canzone che sa di libertà ed amore. Una delle canzoni più affascinanti di questo album. Si chiude con Fair. Ritornano le sonorità più scure e magiche dell’album precedente e la musica gioca un ruolo di primo piano. Monica Heldel tratteggia il suono e la sua voce impreziosisce ed amplifica l’etereo gioco di questo brano.

Ravensdale è un album nel quale Monica Heldal vuole chiaramente riprendere in mano la sua carriera artistica che per anni è rimasta in attesa. Mentre il precedente album aveva alzato l’asticella rispetto all’esordio, qui si torna almeno in parte a melodie più orecchiabili e meno ricercate. Questo ritorno, breve per numero di tracce ma non nella sua durata, è quello che si potrebbe definire il classico album di transizione. L’importante era tornare, sembra volerci dire Monica Heldal, tornare a suonare, cantare e scrivere nuove canzoni lasciando che musica si parte della vita. Sono soddisfatto di aver avuto la possibilità di riascoltare la musica di quest’artista e di ritrovare tutto così come era cinque anni fa. Bentornata Monica.

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Mi ritorni in mente, ep. 78

Lo scorso anno segnato dall’epidemia, ha sconvolto le nostre vite soprattutto a causa del cosiddetto lockdown. Senza entrare in altre questioni spinose, tra le attività rimaste ferme in attesa di tempi migliori ci sono quelle legate all’arte e all’intrattenimento. Gli artisti ne hanno risentito parecchio, soprattutto quelli che non possono permettersi di stare fermi a lungo. In alcuni casi questi mesi di sospensione sono stati fonte di ispirazione, non certo di canzoni allegre e spensierate. Oggi voglio condividere due canzoni di altrettanti artisti che hanno saputo dare voce, e musica, a questo particolare momento che stiamo vivendo.

Jeffrey Martin, nel suo consueto stile riflessivo e malinconico, trova conforto nelle piccole cose, senza dimenticare di essere parte di qualcosa di più grande. Insieme alla sua compagna Anna Tivel hanno girato gli Stati Uniti in una sorta di tour che li ha portati a vedere questo mondo fermo, in attesa. Da questa esperienza nasce la sua I Know What I Know che sembra volerci dire che ognuno deve fare la sua parte. Questo cantautore americano ha un talento, ma soprattutto un’anima, che meritano più di un ascolto.

I read the news
I watch the speeches on the TV
The only thing true is nobody is who they’rе claiming to be
I know what I know
I’ve seen what I’ve seen
Thе tighter I hold, the easier it is to sleep
I know what I know
And I’ve seen what I’ve seen
The tighter I hold, the easier it is to sleep

Jade Jackson invece prende spunto dal distanziamento sociale, di sei piedi negli Stati Uniti, per scrivere una canzone che riflette sui cambiamenti che questo a portato nella vita di tutti noi. 6FT Changes è una nostalgica ballata che richiama alla memoria i momenti spensierati in compagnia. I concerti, le serate insieme, le pacche sulle spalle, gli abbracci. Tutto questo un giorno è stato messo da parte senza una certezza di quando tornerà.

Six feet changes the way it was
Handshakes and hugs in a crowded space
Dancing with strangers and holding up beers
Tapping on shoulders and whispering in ears
Was taken for granted all these years