In una bella mattina di Maggio

Il nome di Rosie Hood non è nuovo da queste parti, così come il suo gruppo The Dovetail Trio. Ma solo lo scorso anno ho potuto ascoltare il loro esordio intitolato Wing of Evening, uscito nel 2015. Proprio lo a Maggio ecco arrivare Bold Champions, raccolta di dodici brani della tradizione folk inglese. Jamie Roberts, Matt Quinn e Rosie Hood compongono un trio dove le due voci maschili si contrappongono a quella melodiosa della Hood, il tutto accompagnato dal suono della chitarra e dell’inconfondibile concertina. Non ho esitato un attimo ad ascoltare Bold Champions, sapendo che avrei trovato dell’ottimo folk.

The Dovetail Trio
The Dovetail Trio

L’album si apre con The Light Dragoon, una ballata nella quale una donna seduce un soldato. La voce della Hood è chiara e pulita, l’accompagnamento musicale fresco ma fedele alla tradizione. Da ascoltare, “Oh, the light dragoon rode over the hill, / When the moon was shining brightly, / There was a young lady and she knew him by his horse, / Because she loved him dearly.“. Black Eyed Susan, originariamente un poesia di John Gay del 1720, è una canzone, cantata a cappella, che parla d’amore. Un amore cavalleresco e romantico come spesso accade nelle canzoni folk, “Oh Susan, Susan, lovely dear, / My vows forever true remain. / Let me kiss off this falling tear, / We only part to meet again. / Love turns aside the cannon balls that fly, / Lest precious tears, / Lest precious tears should fall from Susan’s eye“. The Bold Keeper è una delle canzoni che preferisco da questo album. La voce di Matt Quinn ci racconta di un umile custode che dichiara il suo amore per la figlia di un avvocato. Il testo è stato in parte riscritto da Quinn ma rimane fedele al tema tradizionale, “It’s of a bold keeper in the chase of his deer, / He courted a nobleman’s daughter so fair / If you are as willing to that church you will ride / And there we’ll get married, brave lady of mine“. A Broadside riprende un tema ricorrente, una donna si finge un uomo per seguire il suo amore per mare. In questo caso la ragazza finisce per diventare il capitano della nave, “A broadside, a broadside, and at it we went; / For killing one another it was our full intent. / The very first broadside, our captain he was slain, / And the young damsel rose up in his place to remain“. A Death And The Lady è un altro brano cantato a cappella in modo impeccabile. Una giovane donna incontra una personificazione della morte che, nonostante i tentativi si sottrarvisi, la chiama a sé, “My name is Death, oh can’t you see. / Lords, dukes and ladies bow down to me. / And you are one of those branches three, / And you fair maid must come with me. / And you fair maid must come with me“. La title track Bold Champions, cantata da Rosie Hood, racconta di un incontro di boxe, mortale per il campione in carica. Un match di fantasia nel cui ritornello si richiamano le incitazioni del pubblico, “Come, all you young men that delight in any game, / Come and listen to these few lines to you I will explain; / It’s of two champions bold fought for a sum of gold, / And it was near London Town as I have been told“. La figlia di un ricco signore si innamora di un marinaio in Flower Of London. La disapprovazione del padre conduce ad una tragedia cantata con profondo dolore e tristezza, “It was of a rich merchant in London did dwell / He had only one daughter such a beautiful girl. / Forty thousand bright guineas was her fortune we’re told / Until she fell in love with a young sailor bold“. La successiva The Wrek Of The Northfleet è un altra canzone cantata a capella che racconta la vera storia del naufragio della nave Northfleet il 22 Gennaio del 1873 nel quale sopravvissero solo 59 persone su 379, “Who can describe the fight and terror / Aboard a sinking ship at sea? / The women screamed and strong men trembled / It was a sight of misery / ‘Launch out the boats”, the Captain shouted / “The women first. Stand back the men’ / They heeded not, but manly rush-ed / Threatening the boats to overwhelm“. In Cloudy Banks un uomo di ritorno dalla guerra, per mettere alla prova il suo vero amore, si finge morto. E, buon per lui, la sua amata si rivelerà fedele. Una ballata folk dallo schema classico, eseguita magistralmente, “When Betsy heard this dreadful news she fell into despair, / In a-wringing of her hands and a-tearing of her hair. / ‘Since Johnny has gone and left me no man on earth I’ll take, / Down in some lonesome valley I’ll wander for his sake’“. Two Sister è una ballata molto conosciuta e proposta in molte versioni. Una ragazza uccide per gelosia sua sorella e in questa versione anche lei farà una brutta fine insieme all’amante, “As they walked out to the salty brim / Bow down / As they walked out to the salty brim / Bow down to me / As they walked out to the salty brim / The oldest pushed the youngest in / I’ll be true to my love if my love be true to me“. The Old Churchyard è un oscura e poetica canzone che lascia spazio alla voce della Hood. Una delle canzoni più magiche di questo album, che dimostra l’intesa che c’è tra i componenti del trio, “Why weep for me, for I’m anxious to go / To that haven of rest where no tears ever flow; / And I fear not to enter that dark lonely tomb / Where our saviour has lain and conquered the gloom“. L’album si chiude con una versione live di Four & Twenty Fiddlers, una canzone cumulativa senza un particolare senso, che mette in risalto ancora il talento del gruppo, guidato per questa occasione dalla voce di Matt Quinn, “It is my lady’s holiday so let the lass be merry / It is my lady’s holiday so let the lass be merry“.

Bold Champions propone una selezione di brani tradizionali eseguiti in modo impeccabile e con rinnovata energia. La scelta musicale è semplice e non varia lungo la durata dell’album e questo dà coesione tra i suoi brani. Questo album si propone di essere una dei migliori di quest’anno tra quelli folk, soprattutto per i passi avanti fatti dal trio in questi anni. The Dovetail Trio è un gruppo di amici che ama fare musica e lo fa splendidamente anche dal vivo. Se mai vorreste scoprire questo genere musicale, Bold Champions offre un’occasione imperdibile.

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Non c’è niente di vero in questa canzone

Sei anni fai rimasi ascoltai una canzone, si intitolava Family, la cantava Ralph Pelleymounter con i suoi To Kill A King. Da allora il gruppo a pubblicato tre album ma è giunto il momento per il suo leader di un disco da solista. Ha un titolo curioso Dead Debutante’s Ball ed è stato pubblicato lo scorso mese. Quando un componente di una band lascia, anche solo temporaneamente, i sui compagni per mettersi in proprio c’è sempre la curiosità, per un fan, di capire se si potrà ascoltare qualcosa di diverso oppure no. La voce particolare di Pelleymounter e il suo stile riconoscibile sembravano, fin dal primo singolo, caratterizzare anche questo suo debutto solista. Un motivo in più, per me, di ascoltare questo album.

Ralph Pelleymounter
Ralph Pelleymounter

The Overcorrection apre l’album. Solo chitarra e voce distorta, rivelano l’abile songwriting del cantautore inglese. Un brano breve, come la maggior parte di quelli contenuti in questo album, che si collega alla successiva Wild Beast. Quest’ultima è senza dubbio la più potente di questo debutto. Veloce e trascinate, racconta di attacchi panico e ansia. Fa parte della colonna sonora del film Eugene Vs. Humanity, “Nothin’s true in this song / Although it is / Exactly how my world is / Exactly how your love kicks / Lay me down in the cold cold earth / Watch the bones as they give birth / Howl your prayer / Wounded love wounded love / Wild beast“. Segue Your PET Scan (Brain On Drugs), ballata indie rock in perfetto stile Pelleymounter. Un canzone brillante e moderna, sull’amore e sulle dipendenze dei nostri tempi, “This is your brain on drugs / This is your brain in love / This is digital despair / Caressing screens to show you care / This is when we make love / Look how this part lights up / This is when you misunderstood / This is when you give up“. The History Of Line Dancing ricalca sonorità vintage, lasciando spazio alla voce tagliente di Pelleymounter, in collaborazione con Charlotte Carpenter. Get Drunk. Get High è un rock veloce che corre sul suono delle chitarre. Ancora una canzone breve ma ben congegnata, “The right ones are there, man I’m telling you / You’ll eyes’ll need for sure, then you’ll disappear / Get drunk get high, while you’ve still time / Get drunk get high, get it all off your mind“. Segue Keep Your Pecker Up è un brevissimo intermezzo che conduce alla successiva Blackness. a Void. Una riflessione rock sui tempi moderni, ancora una volte trascinante ed orecchiabile, “Now it’s easy to assume that you’re the same as me / And this us and them man mentality / Might have served us well when we were swinging / From tree to tree / But I look around and it makes no sense to me“. Il ritmo rallenta con My Drunken Love. Ralph Pelleymounter si abbandona in una delle sue ballate sincere e immaginifiche. Ammirabile la sua abilità di scrittura e nell’uso della voce. Molto breve anche A Sad Sad Song. La voce lontana ed il suono della chitarra quasi impercettibile ci accompagnano verso The Lobster. Ballata romantica, sempre in coppia con Charlotte Carpenter, che con la sua voce femminile e morbida, contrasta con quella ruvida di Pelleymounter. A seguire la strumentale The Lobster’s Waltz, un vero e proprio valzer, il valzer dell’aragosta. La De Da è forse la più vicina allo stile dei To Kill A King. Il titolo è un’esclamazione gergale, la canzone è una delle più orecchiabili dell’album. Now That The Kids Have Gone (Pound For Pound) è la canzone più lunga dell’album ed anche la più lenta e riflessiva. Un’accompagnamento di archi sottolinea le doti vocali del cantautore inglese, che in questo caso pesca a piene mani dalle sonorità pop della sua terra. L’album si conclude con Oh My My cantata interamente da Charlotte Carpenter che dal testo sembra essere piuttosto ironica.

Dead Debutante’s Ball è un album che rappresenta bene la personalità di Ralph Pelleymounter a partire dalla suo approccio alla musica. Raramente riflessivo ma spesso rapido e diretto, supportato da una voce spigolosa e profonda. Per certi versi questo disco ricorda di più le prime produzioni dei To Kill A King che quelle recenti, dove l’influenza di Pelleymounter era più evidente. Dead Debutante’s Ball è un album da ascoltare non necessariamente per intero, anche in ordine sparso la sua forza rimane intatta, grazie allo stile e al carisma del suo autore nonché interprete. Un esordio interessante ma sopratutto intelligente e carico di energia e tensione.

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Dove l’acqua è più blu

Risale al 2016 l’album di debutto della cantautrice inglese Bess Atwell (L’ultima parola) ma il suo ritorno, quest’anno con Big Blue, non poteva passare inosservato da queste parti. Purtroppo si tratta solo di un EP che raccoglie cinque canzoni ma la questione si pone solo sulla quantità e non sulla qualità. Il talento nella scrittura associato ad una voce morbida e malinconica quanto basta, si erano già fatti apprezzare al debutto. Bess Atwell ci fa assaggiare con Big Blue a quale punto è giunta la sua evoluzione musicale, se così si può dire. E io sono qui per questo, pronto ad ascoltare e lasciarmi circondare dal “grande blu”.

Bess Atwell
Bess Atwell

Il singolo d’apertura Swimming Pool è vicino alle sonorità dell’esordio, nel quale ritroviamo il lento incedere della musica e la melodiosa voce della Atwell. Un crescendo più indie rock fa da sfondo ad un testo davvero ben scritto e meravigliosamente incastonato nella musica, “You are my swimming pool / I close my eyes and pinch my nose / You are the only one / Who goes with me there / I see the pink and blue / And I love this fun, I never knew / But life still waits for me / I swear, I heard it’s true“. La successiva Grace ancora più deliziosamente melodiosa e lo specchio della sensibilità di questa cantautrice. Tutto è così perfetto da sembrare incredibile, “Baby took a fall from grace / But it never mattered any way / What d’you think my love is for / I don’t need it watered down / I can take you neat if you were ever in doubt / Meet me at the serpent’s house“. Cherry Baby è brano dalla tinte più scure che si da apprezzare per le sue atmosfere distese e notturne. Bess Atwell ha la rara capacità di mettere la sua voce sullo stesso piano della musica, dando una sensazione di uniformità eccezionale. Harvested rallenta il ritmo, risaltando ancora di più le sue doti vocali. Una canzone intima e toccante, una delle più belle di quest’artista per la fragilità che sa trasmettere. Chiude l’EP Ventor Villas che fa sprofondare l’ascoltatore nella serenità della notte. Dolce e lenta, piena di ricordi e immagini che non vogliono andarsene. Interessanti soluzioni musicali vanno ad arricchire qui lo stile della Atwell.

Big Blue è un EP che conferma le doti di cantautrice di Bess Atwell, amplificandole con scelte musicali moderne e sognanti. Ogni canzone suona così personale ed intima da farci provare empatia con lei ma, al contempo, evocare immagini universali di distensione e pace. Sì, Big Blue è un lento galleggiare nelle acque blu, del mare o semplicemente di una piscina, dove riaffiorano ricordi e sensazioni. In attesa di un nuovo album, che spero non tardi ad arrivare, possiamo goderci queste cinque canzoni che ci cullano, onda dopo onda, verso l’estate.

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Questa volta no

Non sono solito leggere due libri alla volta ma in queste due settimane ho potuto alternare la lettura de Le notti di Salem di Stephen King con Timeline di Michael Crichton. Premesso che è il primo libro di Crichton che leggo in assoluto, questo romanzo mi ha un po’ deluso. Sono da sempre affascinato dai viaggi nel tempo oltre che dalla storia medievale perciò Timeline mi è sembrato perfetto per iniziare con questo scrittore. Avevo un vago ricordo del film omonimo tratto da questo romanzo, così vago che praticamente non ricordavo nulla. Non mi aspettavo di certo un libro di chissà quale levatura però una bella storia di fantascienza ed mistero, questo sì. Invece si è rivelato poco più di una piacevole lettura con qualche passaggio che non mi ha convinto. Partiamo dalla trama, piuttosto semplice e lineare (ed è un bene). Attenzione, ci saranno spoiler come se piovesse, vi avviso.

Una misteriosa azienda dal nome innocuo di ITC, guidata dal prepotente genio della fisica Doniger, ha messo a punto una macchina per viaggiare nel tempo, o per meglio dire, tra gli universi, sfruttando la teoria dei quanti. Il romanzo si apre con un viaggiatore nel tempo che, a causa di un errore della macchina, si ritrova in mezzo al deserto e viene soccorso da due automobilisti di passaggio dei giorni nostri. Morirà poco dopo a causa di “errori di trascrizione” che ne hanno modificato il corpo, danneggiandolo. I sospetti della dottoressa e dello sceriffo di turno, ben approfonditi all’inizio del romanzo, si rivelano del tutto inutili al fine della storia, finendo dimenticati insieme ai due personaggi, compreso il malcapitato viaggiatore.

Lo sguardo poi si sposta in Francia in un sito archeologico dove sono impegnati il Professore, Kate, Chris, Marek e Stern, tutti i principali protagonisti da qui in avanti. Insospettito da una visita della rappresentante della ITC che finanzia gli scavi, tale Kramer, il Professore decide di fare visita nei misteriosi laboratori, incontrando Doniger. I sospetti sorgono quando Kramer fa rifermenti a particolari del sito, non ancora scoperti dagli archeologi, sottolineando anche la volontà della ITC di ricostruire tutto come l’originale medievale. Durante l’assenza del Professore, il resto del team rinviene i suoi occhiali e alcuni documenti dell’epoca con la sua calligrafia in una sala appena scoperta e quindi inviolata da secoli. Un evento incomprensibile, che solo il Professore potrebbe spiegare se non fosse scomparso nel nulla.

Messo alle strette Doniger invita il team di scienziati nei suoi laboratori rivelando loro che il Professore è tornato indietro nel tempo e, non avendo più fatto ritorno, spetta a loro salvarlo con l’aiuto di due viaggiatori esperti, Gomez e Barreto. Nonostante il divieto di portare con sé armi moderne, Barreto all’insaputa di tutti porta delle bombe a mano (!?) che non esita ad usare alla prima zuffa con dei cavalieri. Il caso vuole che mentre si preparava a lanciare questa bomba, Barreto finisca dentro la macchina del tempo e torna nei laboratori ITC, insieme alla bomba. La bomba esplode e distrugge le apparecchiature del laboratorio, in particolare gli schermi d’acqua che proteggono la macchina del tempo, impedendo così ai nostri di poter rientrare nell’immediato. Ora spiegatemi perché uno dovrebbe portarsi dietro delle bombe a mano (pure vietate) per difendersi da degli uomini armati di spada. Capisco una pistola ma le bombe mi sembrano eccessive. Ma il motivo è presto detto: con i protagonisti bloccati nel medioevo è tutto più interessante. Ovviamente i tre avventurieri Kate, Chris e Marek (Gomez è morta nella zuffa e Stern ha, provvidenzialmente, preferito rimanere nei laboratori) sono ignari di tutto e danno il via ad una serie di rocamboleschi eventi. I tre hanno solo 37 ore per ritrovare il Professore e tornare nel futuro mentre Stern e Gordon, uno scienziato della ITC, lottano contro il tempo per rimettere in piedi il laboratorio.

Le scene ambientate nel medioevo sono molto belle e curate, soprattutto perché ci sono molte espressioni nelle lingue parlate ai tempi, comprese dai nostri eroi grazie a degli auricolari che permettono una traduzione istantanea. Solo Marek conosce e parla l’occitano, perché molto appassionato di quel periodo storico. Questi auricolari permettono ai tre di comunicare tra loro anche a distanza e hanno un ruolo importante, e allo stesso tempo inutile, all’interno del romanzo (spesso non funzionano bene). Nel corso della storia, in queste 37 ore, i tre si separano, si ritrovano, rischiano di morire e si feriscono un numero considerevole di volte mentre nel futuro si continua a cercare un modo di ripristinare il tutto. Ho trovato piuttosto eccessivo l’accanimento verso i tre da parte degli uomini di allora che appaiono piuttosto nervosetti (comprensibile considerando che su di loro grava un imminente attacco del nemico).

I protagonisti, sono piuttosto piatti e Crichton non approfondisce molto la loro psicologia. Basta sapere che Marek, da appassionato, si sa muovere bene nel medioevo tra tornei e usanze, ed è lui a togliere d’impaccio gli altri due dalle situazioni più pericolose. Chris è il classico studente un po’ fifone ma che sotto sotto non se la cava male. Kate è un architetto appassionata di arrampicate. Questa sua abilità viene sfruttata fin troppo nel romanzo. Insomma, ognuno è specializzato in qualcosa che torna utile a tutti.

Presto, nel gruppo si insinua il sospetto che qualcuno, alla corte del signore del luogo, sia in realtà un viaggiatore anche lui ma non ci sono, inizialmente, prove a riguardo. Viene poi smascherato grazie al fatto che costui aveva rubato l’auricolare alla defunta Gomez e alla reazione avuta ad una comunicazione tra i tre protagonisti. Bella la trovata del viaggiatore in incognito, peccato solo che non ha molto peso nella storia se non nel finale quando ormai sanno tutti chi è. Questo viaggiatore viene spedito nel passato perché i numerosi viaggi lo avevano reso pazzo a causa di grave errori di trascrizione subiti. Non so perché la scelta di intrappolarlo nel passato considerando poi che tra tutti gli antagonisti era il meno pazzo. I tre malcapitati infatti sono in balia di uomini d’arme piuttosto folli e crudeli (uno su tutti il cavaliere pazzo rinchiuso nella cappella è risibile) che tentano in tutti i modi di porre fine alle loro inutili vite. La sequenza di peripezie è lunghissima ma alla fine il Professore rientra sano e salvo nel futuro (grazie alla collaborazione tra Stern e Gordon), insieme ai suoi, eccetto Marek che si trova benone nel medioevo.

Il finale riserva una sorpresa che mi ha lasciato piuttosto perplesso. I viaggiatori di ritorno sono contrariati da tutto quello che hanno dovuto passare nel medioevo ma, come si dice in questi casi, tutto è bene quel che finisce bene. No, Crichton non ci sta e inspiegabilmente, Gordon e compagnia, spediscono l’antipatico Doniger nel passato durante l’infuriare della peste bubbonica, condannandolo di fatto a morte certa. Non ho capito tutto questo odio nei confronti di un personaggio che è stato, sì prepotente ed egoista ma il suo ruolo non ha intralciato più di tanto le vicende dei protagonisti. Vero, lui li ha mandati nel passato ma a loro rischio e pericolo (tant’è vero che Stern si è rifiutato di partire). Era giusta una punizione per la sua condotta dell’operazione ma farlo morire di peste è una fine troppo crudele per il personaggio.

In definitiva Timeline è un romanzo molto curato negli aspetti tecnici (teoria quantistica e storia medievale) ma un po’ carente nella trama e nei personaggi. La trovata della bomba è troppo costruita per essere minimamente presa sul serio e il finale pestifero è poco condivisibile. I tre viaggiatori in 37 ore se la vedono brutta troppe volte, massacrati in ogni modo ed incredibilmente chi ci lascia le penne sono gli unici due viaggiatori esperti ed addestrati (sopravvivono pochi minuti). Lo stile di Crichton, veloce e pulito, tiene incollato il lettore senza annoiare ma è troppo cinematografico per i miei gusti. Non so se leggerò altro di questo autore (ho in lista Congo e naturalmente Jurassic Park) ma spero di non essere l’unico ad esserne rimasto deluso.

L’unico suono che ho sentito

Tra gli album folk usciti recentemente, ha avuto la mia attenzione questo Enclosure delle Askew Sisters. Emily e Hazel Askew sono due sorelle inglesi che da tempo si esibiscono insieme e portano avanti la tradizione del folk inglese, arrivando quest’anno a pubblicare il loro quarto album. Ma questo incontro tra me e le sorelle Askew non è casuale. Infatti lo scorso anno ho ascoltato Cycle, un album delle Lady Maisery, terzetto folk tutto al femminile di cui fa parte Hazel. Le sonorità del folk inglese e gli arrangiamenti semplici ma curati sono proprio ciò che cerco in questo genere di musica. Eccomi dunque alle prese, ancora una volta, con un album che mi ha affascinato ancora prima di ascoltarne anche solo una nota.

The Askew Sisters
The Askew Sisters

Si comincia con la bella I Wandered By The Brookside che si rifà ad un testo raccolto nel 1916. Una testo insolitamente criptico per una canzone tradizionale, sopratutto nella versione delle sorelle Askew, “I wandered by the brookside, / I wandered by the mill; / I could not hear the brook flow, / The noisy wheel was still; / There was no sound of grasshopper / Or sound of any bird, / And the beating of my own heart / Was the only sound I heard“. Segue Goose & Common è una canzone di protesta del XVII secolo ma il suo tema è ancora valido oggi. La chiusura degli spazi pubblici e la privatizzazione del bene comune sono attuali e le parole di questa canzone hanno viaggiato fino a noi per ricordarci che non bisogna mai smettere di lottare, “The law condemns the man or woman / Who steals the goose from off the common, / But geese will still a common lack / Until they go and steal it back“. Segue The Wounded Hussar brano quasi esclusivamente strumentale. Ci saranno altri momenti come questo all’interno di questo album ma devo ammettere che questo è quello che preferisco. Georgie è una ballata tradizionale in una versione molto simile a quella portata in Italia da Fabrizio De André. Un accompagnamento essenziale ma affascinante e oscuro. Segue una traccia strumentale in tre parti, The Zodiac / Joy After Sorrow / Minoway. Si può apprezzare tutto il talento delle sorelle come musiciste ascoltando queste melodie guidate dal suono della fisarmonica. My Father Built Me A Pretty Tower è il cuore di questo album. Un canzone tradizionale più nota con il titolo di The Famous Flower Of Serving Men e racconta di una donna che viene privata di tutto e vede morire suo marito e suo figlio. In cerca di riscatto si finge un uomo e riuscendo ad entrare a corte del re. Una volta scoperta la sua vera identità diventerà regina. Questa ballata descrive bene la condizione della donna in passato, sempre legata ad un uomo, e che per essere davvero libera ha dovuto diventare uomo lei stessa, “I put my head down upon a block, / And I cut off my yellow locks; / I cut my locks and I changed my name / From Ellen Fair to Sweet William“. The Firr Tree è un breve pezzo strumentale che ci introduce alla successivo London’s Loyalty / Heady Days. Le sorelle Askew concedono ancora tanto spazio alla musica quanto alle parole, sottolineando l’importanza di entrambe nella tradizione folk. La musica inoltre “apre” grazie al suo linguaggio universale e non “chiude” come da tema dell’album. Castle By the Sea, più conosciuta come Lady Isabel And The Elf Knight o anche  come The Outlandish Knight, offre un contrasto tra le melodia allegra e il testo triste. Una donna viene condotta da un uomo in riva al mare, con la promessa di sposarla. Ma scoprirà presto la verità. L’uomo vuole gettarla in mare e ucciderla. Sarà però la donna a farlo, liberandosi così dalla sua sottomissione, “Arise, arise my lady fair / For you my bride shall be / And we will dwell in my silven bower / In a castle by the sea / Come bring along your marraige fee / That you can claim today / And also bring your swiftest steed / The milk white and the grey“.  Chiude l’album Moorfields è la triste testimonianza di una donna che piange il suo amato chiuso in un manicomio. La musica e il canto danno una forte sensazione di tristezza, non senza una debole luce di speranza.

Enclosure è uno di quegli album folk che non si limita a rinvigorire la sconfinata tradizione musicale inglese ma vuole dare anche un messaggio. Le recinzioni, le chiusure, di cui questo album parla, siano esse figurate o meno, sono tutt’ora presenti nella nostra società, anche se in forme apparentemente diverse. Emily e Hazel Askew hanno ben chiaro quale sia il messaggio e lasciano che sia la musica le le parole a raggiungere chi sa ascoltare. Enclosure, come è successo con altri album folk, è una finestra sul passato, distante solo quando si contano gli anni, ma così vicino che si può toccare. Le Askew Sisters, con questo album, hanno creato qualcosa si speciale con garbo ed umiltà ma forte e diretto nei temi.

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Nel palmo di una mano

Sono passati cinque anni da quando ascoltai per la prima volta Ribbon di una quattordicenne Billie Marten. Da allora questa cantautrice inglese ha pubblicato un EP, e due album, l’ultimo proprio quest’anno intitolato Feeding Seahorses By Hand. Titolo curioso che ben si addice alla sua delicata visione poetica. La sua giovane età e quel modo di cantare poco appariscente, spesso associato a Laura Marling, possono ingannare l’ascoltatore sulla leggerezza delle sue canzoni. Questo suo secondo album mette alla prova uno stile, quello della Marten, che oggi è spesso abusato e preso sottogamba da molti giovani artisti.

Billie Marten
Billie Marten

Cartoon People è una canzone che prende spunto dall’America di Trump per tracciare un quadro delicato e malinconico. La Marten non rinuncia al suo modo sommesso di cantare, sostenuto dal suono delle chitarre e una ritmica più evidente che in passato, “The only guy that’s got you in the palm of his hands / Is busy today with someone else’s plans / She chooses life and then she chooses a man / He’s picking her up but she don’t give a damn“. Mice sottolinea una sensazione di stanchezza. La vita ha volte sembra troppo pesante da sopportare nonostante l’età. Una canzone matura, accompagnata da sfumature moderne e interessanti, “And the stars, they look like little mice / To me, I am my only vice / Sat on a dead man’s bench / The sun cools my neck / It covers my skin / The earth pulls me back / How ‘bout that?“. Il sound rinnovato si sente meglio in Betsy. Le chitarre stendono il tappeto sul quale scivola lente la voce della Marten. Riflessioni sul clima d’odio e sul fanatismo religioso che pervadono il mondo di oggi, nella speranza di un mondo migliore, “Bang bang baby you’re dead / Politics will mess with your head / Oh you voice of the people / You leader of evil / You messed up the church / Put a gun to the steeple“. Un accompagnamento scarno ma non privo di suoni elettronici in sottofondo, danno vita a Blood Is Blue. Qui Billie Marten appare ancora più fragile ed oscura ma capace ancora di cullare l’ascoltatore con i suoi toni pacati, “I pour it out for you / My baby, I’m a fool / Our love is new / I speak, I speak like you / No matter who you are, I imitate you / Cut my body open / Completely dry / I’m a slaughtered pig and I’m happy to die“. Blue Sea, Red Sea fa penetrare un raggio di sole in questo album. Una canzone poetica dai colori giovani e freschi ma sempre pervasi da quella persistente malinconia nella voce della Marten,”And it’s all good ‘cause I feel it too / Hanging around with nothing to do / Make friends with the angels that blessed you / Maybe together we get in the good“. Vanilla Baby rappresenta bene la musica della Marten. Un brano molto vicino alle sonorità dell’esordio, che rendono unica quest’artista capace di sposare melodia e parole in un delicato equilibrio, “I am only as good as you want me to be / I don’t pick up the phone if I don’t want to speak / I am only as good as you want me to be / I don’t know what I’m doing / It’s easy to see“. Molto bella anche Toulouse ispirata dalla città di Tolosa. Se fosse un dipinto sarebbe un acquerello dai colori chiari, appena accennati. Billie Marten mostra tutto il suo talento di cantautrice, “We have the makers and the movers / The lifeguards and the gardeners who are / Killing time like big / Spilling on his paper / The old boys with the new girls / The lovers with the half-pipes / And the solos, the wolves, the men“. She Dances si sviluppa provando nuove soluzione musicali che possano dare risalto al canto. Ancora immagini delicate e fragili si susseguono lentamente in un avanzare di parole e musica, “And as she reads aloud, ankles hanging off the bed / She’ll read to nobody, or was it something that she said? / She is like the trees, the sun that creeps through my window / She knows her body, the kind that turns you into gold“. La successiva Bad Apple è una canzone personale, una riflessione sulle scelte della proprio vita. Billie Marten dimostra ancora di essere cresciuta, e noi con lei, “Well I just like to sing / Forget everything and write of colour and string / Talk of life in the sea / And none of that will ever be healthy for society“. Forse il brano più maturo è Boxes. Si affrontano le difficoltà della vita in una società votata al consumo con una visione lucida e profonda. Ma c’è ancora spazio per i sentimenti, “We are boxes on boxes / On boxes on boxes, haunted / And we have things we don’t need / We are with and without in the road / So damn tired of being a lady / So damn bored of being a girl / Then again / If we look at it plainly / I’d feel the same if I were a boy“. Anda rallenta ancora il procedere dell’album con semplicità e meraviglia. Billie Marten non ha intenzione di accattivarsi l’ascoltatore che facili melodie ma lo sorprende pian piano, “Colourful boxes against our grave / Take it in hand / We have traveled a long way / And I have not seen myself / In several days / And man it feels good to not think / The sea, the sand, the air / The salt in your hair“. Chiude in modo perfetto la bella Fish. Canzone breve ed essenziale che custodisce con eleganza lo spirito dell’album, “Honestly, floating, it’s all good to me / I feel quite innocuously, being peacefully / I like the water / I like the sea / I like the way it used to be“.

Feeding Seahorses By Hand svela una Billie Marten cresciuta e più consapevole delle sue capacità e del mondo che ci circonda. Dodici canzoni che denotano la volontà di questa cantautrice di rallentare i ritmi di una vità snaturata dalla velocità con la quale viene vissuta e consumata. Nuove idee, soprattutto musicali, rinnovano il suo sound lasciando intatta quella sensazione di piacevole staticità della sua musica. La velocità di questo album è lenta, la voce della Marten è sommessa, non c’è alcun tipo di fretta o urgenza. Feeding Seahorses By Hand è la naturale prosecuzione del suo predecessore, una crescita apparentemente lenta ma forte e costante che lascia intendere che il talento di quella quattordicenne non è andato affatto perduto.

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