Mi ritorni in mente, ep. 67

Tra la musica che ho avuto modo di ascoltare in questo strano periodo, c’è un artista che mi ha conquistato fin dal primo ascolto. Lo ammetto, conosco davvero poco riguardo a Zac Wilkerson, se non che è texano ed è al suo terzo album di inediti. Quello che mi è piaciuto di più della sua musica è quel mix di country, soul e folk americano nel quale mi sono trovato subito a mio agio. Ad accompagnare Zac è il suono della chitarra che spesso oggi viene messo un po’ da parte ma che in questo caso è sempre in primo piano.

Il suo album Evergreen è davvero un bel disco che va a coprire varie sfumature della musica americana, con energia e sentimento. Tra ballate e cavalcate rock, Zac Wilkerson con la sua voce potente e soul, vi riporterà indietro nel tempo. Qui sotto un assaggio della sua musica con l’introduttiva Incantation I e Give Your Heart To Love. Ascoltare per credere.

Bougainvillea, whiskey e un sogno

Nonostante le cose là fuori hanno perso da tempo la loro normalità, cercherò di mantenerla il più possibile in questo angolino chiamato blog. Lavorando da casa, ho smesso di essere un pendolare e ciò ha ridotto un po’ il tempo che dedico alla musica. Cerco di porre rimedio ascoltandola mentre lavoro ma non è la stessa cosa, perché tendo a distrarmi sia dal lavoro che dalla musica. Mi dovrò abituare se non voglio perdere il passo delle nuove uscite. Come ad esempio The Dream, secondo album della cantautrice country Hailey Whitters pubblicato a cinque anni di distanza dal precedente Black Sheep. Non mi aspettavo altro che del buon country da questa artista, quello che racconta e lascia emergere le emozioni più sincere, come pochi altri generi musicali riescono a fare.

Hailey Whitters
Hailey Whitters

La bella Ten Year Town apre l’album. Una ballata che racconta le difficoltà e i sacrifici per emergere nel panorama affollato delle musica country. La Whitters canta con il suo timbro innocente ma graffiato, che non lascia mai indifferenti, “For fifteen minutes of fame / Somebody says your name on the TV / Or back of a CD / Waitin’ tables another month / Waitin’ on that break to come / All it’s ever done is break my heart“. La successiva The Days si spinge verso sonorità più pop, riflettendo sulla vita che passa veloce e l’importanza di dare un significato ad ogni giorno che passa, “Another candle on a cake / Another month on a page / You blink, another year under the sun we all go ‘round / It’s hello and goodbye and / It’s knowing that it’s flying away / And there’s no way to slow it down / Instead of counting up the days / I just wanna make ‘em count“. Red Wine & Blue è una triste e malinconica ballata country. La Whitters interpreta la canzone con voce rotta e stanca, a sottolineare un malessere profondo, “Close my eyes so I can hear / The words you whispered in my ear / On the balcony / Your floor picking up my dress / And your heart beating on my chest / Does your bed feel like me?“. Dream, Girl è un bel country pop dove il beat prende il sopravvento. Il canto di Hailey Whitters scivola via veloce, invitando le ragazze a non arrendersi mai e credere nei propri sogni, “Standin’ all alone in your party dress / Confetti in the floor, hair’s all a mess / Yeah, you’ve been here before / And you’re back again somehow“. Loose Strings è una ballata scarna ed essenziale. Storia di un’amore difficile che trova corpo nella voce, in questa occasione, più ruvida. Un brano che rappresenta un momento unico all’interno di questo album, “You know whiskey makes me honest / Tequila makes you mean / Last thing I remember you were cussin’ / My keys were in the weeds / You threw ‘em out / Said “I’d love to see you leave / But I won’t let you go kill yourself / Or get busted by the po-po”“. Segue Heartland, un bel country che affronta con ispirazione e trasporto la vita e l’amore. Una canzone che mette in luce le sue doti di cantautrice, “I should be married by now / Two kids in a paid-for house / I can hear ‘em now / Askin’ what I’m doin’ now / I should have a little more to show / Than a suitcase smells like smoke / I should have an alibi / On where time goes when it flies“. La più toccante canzone di questo album è probabilmente Janice At The Hotel Bar. Una signora sciorina consigli di vita e mette in guardia da un mondo che è cambiato, “She says all men are babies and that’s just how they roll / They’ll drive you crazy like a run in your hose / One day, you might want one, make sure he’s your best friend / ‘Cause if he can make you laugh, you might just make it to the end“. Happy People, già prestata alla band country Little Big Town, è uno spensierato brano che invita ad essere sempre positivi. Basta poco per essere felici, “And these days, it ain’t so easy to find / They’re the ones that you want standing on your side / No time for greed, if they need something, give ‘em a smile / And we’ll all be happy people“. The Devil Always Made Me Think Twice è una canzone country blues, scritta da Chris Stapleton. Qui la Whitters si lascia trasportare dal mood del brano e dal suono della chitarra. C’è del blues in questa ragazza, “I take a little smoke in the evenin’ / I take a little whiskey on ice / I never get behind on killin’ my mind / It’s the kind of thing I like / Oh, it’s just the kind of thing I like“. Ma anche con rock ci sa fare, come succede in All The Cool Girls. Un bel brano che dà energia all’album, “Oh yeah, it’s alright / She’s a star in a sky of her own / Oh yeah, it’s almost like she knows something we don’t know / Those places we don’t go / On a midsummer night dream / The top down, Cadillac, blue jeans / Oh yeah, it’s alright when / When she’s lookin’ at you / Like all the cool girls do“. Segue Faker, malinconica ballata per un amore finito male e non si tratta del primo. Forse è destino che finisca sempre così, “He was a faker / I was a fool / Fallin’ for an imitator / That’s what I do / He was a lesson / I learned about later / I was a sucker / For the faker“. Living The Dream chiude l’album ed è un’altra bella ballata country che poggia sulla voce della Whitters. L’importanza delle piccole cose, l’arte di accontentarsi e realizzare così i propri sogni, “Oh, the one thing I’ve learned is that the world keeps on spinnin’ / Love’s the only thing that makes it go ‘round / I’ve given it all with the time I’ve been given / I’m out here livin’ / Ain’t we all just livin’?“.

The Dream è un album che vede Hailey Whitters abbandonare, almeno in parte il country rock degli esordi e optare per le sfumature tenui del pop. L’anima però è country, la si sente nelle storie di vita di tutti i giorni, nella semplicità e in quel conforto che questa musica sa dare. Hailey Whitters fa un passo importante per la sua carriera, scegliendo di mostrare i vari volti del country e riuscendoci grazie al senso di sincerità ed autenticità che esso riesce a trasmettere. Insomma in questi tempi cupi, The Dream regala emozioni e gioie, svelandoci uno dei nomi più interessanti della musica country di nuova gerazione.

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Éclaira les étoiles

Nella mia musica, dominata dalla lingua inglese, spiccano due artiste che hanno scelto di cantare in lingua francese. Entrambe canadesi, Coeur de pirate e Rosie Valland rappresentano dunque un’eccezione. Proprio la Valland ha pubblicato lo scorso mese il suo secondo album intitolato BLUE, giunto a cinque anni di distanza da Partir Avant e anticipato da un paio di EP, l’ultimo dei quali piuttosto sperimentale dal titolo Synchro del 2017. Quando inizio a seguire un artista sin dagli esordi, come avvenuto in questo caso, non mi fermo davanti a cambi di sonorità o genere, anzi, la vedo come un’occasione per ascoltare qualcosa di diverso. Questo BLUE dunque, si rendeva interessante perché svelava quale era la scelta stilistica intrapresa da Rosie Valland dopo Synchro. Fiducioso delle capacità di questa cantautrice francofona mi sono buttato subito su BLUE.

Rosie Valland
Rosie Valland

Blue apre l’album ed una canzone che parla di sofferenza ma anche di speranza. Un indie pop vitale e delicato, graffiato dalla voce unica della Valland. Il suo sound si è evoluto con intelligenza e talento, “J’ai beau te dire / Tu brilles fort / Et incarnes le feu pour plusieurs / Tu pleures / J’ai beau te dire que tes malheurs / Ne deviendront que quelques heures / Tu pleures“. La successiva Chaos è più orecchiabile e fa leva sulla melodia e un bel ritornello. La Valland ci mostra il suo lato più pop che mantiene però intatta quella sua indole malinconica, “Et quand la terre changera de ciel encore / Cette nuit / Faudra-t-il vraiment que je le fasse aussi / Car à la différence d’elle / Moi je ne reviens jamais / À ce que j’étais avant / À ce que j’étais hier / Moi quand je pars / Je ne retiens rien“. Uno dei brani più rock di questo album è senza dubbio Forçons Les Tiges. Le chitarre trascinano l’ascoltatore e lo attirano verso le parole taglienti della Valland. Forte e convincente sotto ogni aspetto, che richiama gli esordi, “Il serait temps qu’on soit beau / Qu’on se rêve mieux / Mais nos étés ne sont pas terminés / Que déjà il fait noir plus tôt / On pense à nous et non aux guerres“. La Plage si presenta come una canzone pop rock, lenta con una melodia elegante e triste. La voce spezzata della Valland corre leggera, cantandoci di un senso di vuoto e la volontà di scappare, “Ils me parlent d’argent / Je leur parle d’idées / Ils me reparlent d’argent / Alors je ne réponds plus / Ils me veulent en métier / Et moi à la plage / Car je me fous de brûler / Car je me fous de brûler“. La successiva Du Même Sang è una bella ballata pop, poetica e intensa. La voce della Valland si fa più morbida ed incanta con il suono delle parole francesi, “Car dans l’amour inconditionnel / Que tu prends pour acquis / Il ne demeura / Que de l’amour / Mais plus rien d’autre / Mais plus rien d’autre“. Sinon non è un inedito di questo album, era già stato pubblicato quattro anni fa come singolo. Una breve canzone d’amore, molto accorata quanto scarna ed essenziale. Un’interpretazione che viene dal cuore, “L’amour c’est bien / Mais quand c’est loin / De mes reins / Car sinon / Je n’arrête pas de chanter / Des chansons qui parlent de nous“. Il ritmo torna protagonista con Loin. Rosie Valland torna ad un pop efficacie, affatto scontato e con divagazioni elettroniche che riprendono le sonorità del suo ultimo EP, “On ne m’appelle plus mais je m’en fous / Je suis la paix ici et maintenant / Ça brasse un peu moins mais je m’en fous / Je sens que bientôt nous abdiquerons“. Comme Si è una delle canzoni più poetiche di questo album. La Valland torna ad un indie rock personale che scava a fondo nei sentimenti. Una dimostrazione del suo talento, “J’ai mes doutes sur le plafond / Alors, je me couche et fais attention / Oui, je me tourne / Pour mieux m’endormir / Et j’oublie mon nom / Et j’oublie mon nom“. L’album si chiude con MS. Qui si possono trovare le atmosfere tristi e dilatate del primo album, non lontane dalle più note canzoni in lingua francese, “On m’a dit de regarder le ciel / Ce soir car la noirceur / Éclaira les étoiles / Éclaira les étoiles / On m’a dit de regarder le ciel / Ce soir car la noirceur / Éclaira les étoiles“.

BLUE segna il gradito ritorno di Rosie Valland. Lasciate alle spalle le sperimentazioni elettroniche, anche se non del tutto rinnegate, la cantautrice canadese trova la giusta ispirazione per riprendere il suo percorso musicale che sembrava interrotto o quanto meno frammentario. BLUE potrebbe essere un nuovo inizio per quest’artista che dimostra di essere cresciuta artisticamente. Non c’è spazio per canzoni spensierate o leggere ma nonostante questo non si prova mai un senso di oppressione. C’è come una consapevolezza che quel senso di malinconia possa non andare via più, diventando una parte di noi stessi. Rosie Valland ha rinnovato in me l’interesse per la canzone in lingua francese e lo ha fatto ancora con delle canzoni belle e sincere.

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E sognerò il mare

Il primo album di questa cantautrice danese è uscito dieci anni fa e, anche se io l’ho scoperta l’anno successivo, è incredibile pensare che lei ci sia sempre stata con la sua musica. Mi ricordo quando ascoltai per la prima volta Philharmonics, rapito da quelle melodie magiche ed evocative. Quello era solo l’inizio della luminosa carriera di Agnes Obel, arrivata lo scorso febbraio al suo quarto album intitolato Myopia. Il suo percorso artistico è sempre stato in evoluzione, lasciando meno spazio alle parole e più alla musica, esprimendosi più come compositrice che come cantautrice. Ogni suo album è avvolto da un alone di mistero e di fascino, che sono pronto ad affrontare anche questa volta.

Agnes Obel
Agnes Obel

Si comincia con Camera’s Rolling dove ritroviamo le atmosfere tanto care alla Obel. Un brano etereo e sfocato, intriso di mistero che poggia sulla sua voce. La voce che è anch’essa uno strumento musicale che va oltre al significato delle parole, “The script is burning / On heavy fuel / No time to lose / What will you do? / Camera’s rolling / What will you do? / What will you do? / That you can’t undo?“. La successiva Broken Sleep è più sperimentale e vi fa entrare in un mondo notturno e fatto di sogni. La voce si trasforma, si sdoppia, intrecciandosi come spire di fumo. La Obel qui si mostra in una delle sue forme migliori, “I would like to fall, silence every call / (Will you level me with a dream?) / If I could fall, fall / I would like to fall (fall asleep), silence every call / (Will you level me with a dream?) / If I could fall, I would like to fall“. Island Of Doom è il primo singolo che ha anticipato l’album e la scelta è stata perfetta. Qui la voce della Obel si pone in primo piano, tornando in parte alle sonorità degli esordi. Ma è il ritornello a sorprendere, dove la sua voce alterata forma un coro a tre di grande impatto. Espediente già usato nel precedente album e che dimostra la volontà di creare e sorprendere di quest’artista, “Destiny made her way and found you in a room / They told me, they told me / To undo the rule of mind and body / And nature laughed away as their voices grew / They told me, they told me / Clean out the room and bury the body“. Roscian è un intermezzo esclusivamente strumentale, in linea con sui precedenti lavori. Ritroviamo il suono del pianoforte in perfetto stile Obel, che traccia un fil rouge lungo questi dieci anni. La title track Myopia è una delle più affascinanti dei questo album. Melodia e ritmo si incontrano, avvolti dalla voce morbida e impalpabile della Obel. Una discesa nel buio, nelle profondità più recondite dell’animo, “Your god is some one / Who would glow when you go along / Through so many eyes / In the dark with someone / Will you go, will you go along? / Like fire runs“. Ancora un brano strumentale, intitolato Drosera. Il titolo fa riferimento ad una pianta carnivora e il brano parte lento e poi va in crescendo, quasi a sottolineare la sua lentezza e letalità. Cant’ Be è un’altra affascinate prova del talento compositivo della Obel e della sua band. Siamo ancora attratti e trascinati in un sogno senza fine, incomprensibile e sfuggente, di rara bellezza che ha solo bisogno di essere ascoltato, “I can’t be, I can’t be / Keep digging, keep digging deep / Can’t keep me calm / Can’t keep me whole, can’t keep me whole / Can’t reach the sun“. Parliament Of Owl è un’altro brano strumentale. Il pianoforte apre e gli archi tessono una melodia triste ma profondamente epica. Un senso di nostalgia e quella strana sensazione di vedere attraverso la musica prendono il sopravvento. Uno dei momenti più belli e classici di questo album. Promise Keeper è un altro gioiellino della Obel. Essenziale e sognante, lascia l’ascoltatore in sospeso tra la notte e il giorno, cullato dalla voce unica di quest’artista, “Dream away, dream away / A game of numbers, will take us under / You would leave me under oath / Blazing thunder at all / Leave me under the sun / And I’ll / Dream of the sea / Dream of the sea“. Questo meraviglioso viaggio si chiude con Won’t You Call Me. La voce calda della Obel ci accompagna una ballata delicata ed elegante. C’è tutto quello che ho amato di quest’artista ed è bello ritrovarlo intatto in canzoni come questa, “No one knows what the devil did / What disguises hid from our eyes / So don’t burn your fire for their sake / Miracles of fate got no enemy but time“.

Con Myopia, Agnes Obel ci prende per mano e ci accompagna in un mondo notturno, fatto di sogni ma anche di incubi e insicurezze. Forse l’album più sperimentale di quest’artista che però non rinuncia ai suoi strumenti preferiti, pianoforte ed archi. La voce, mai come in questa occasione, è il veicolo per il suono delle parole più che per il loro significato. Agnes Obel dà prova, ancora una volta, del suo talento come compositrice, continuando ad affascinare con eleganza ma senza rinunciare a sorprendere come fece dieci anni fa. Myopia rinnova il legame tra me e quest’artista che è, e resterà, a mio parere, una delle più misteriose e talentuose degli utimi anni. Myopia è un album da ascoltare in religioso silenzio, quasi fosse un messaggio proveniente da una dimensione a noi sconosciuta, che si rivela con immagini evocate dal potere della musica.

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Bel tempo si spera

Il nome di Josienne Clarke non è certo un nome nuovo nel panorama della musica folk e il suo ultimo album in coppia con Ben Walker, è da parecchio tempo nella mia wishlist di Bandcamp. Sul finire dello scorso anno, però, questa cantautrice è tornata alla ribalta, in questa mia lista, con il suo nuovo album da solista, intitolato In All Weather. Resomi conti che perfino il precedente One Light Is Gone del 2010 era stato oggetto del mio interesse in passato, non potevo tardarmi oltre. Dovevo affrontare e conoscere la musica di Josienne Clarke prima che finisse tra quegli artisti che “mi piacerebbe tanto ascoltare ma che probabilmente non avrò il tempo per farlo“. Ecco qui In All Weather, che dà il via alla mia personale scoperta di questa cantautrice.

Josienne Clarke
Josienne Clarke

Si comincia con la canzone che dà il titolo all’album (Learning To Sail) In All Weather e che introduce le tematiche di questo album. La vita, con i suoi momenti difficili, è un viaggio alla ricerca di risposte che forse non arriveranno mai. La voce della Clarke è drammatica e triste, in una parola: perfetta. Seconds è una riflessione sul tempo che scorre inesorabile. I secondi diventano minuti sempre e comunque, non c’è niente che possiamo fare. Un folk moderno, semplice e delicato, con un testo sincero. The Drawing Of The Line continua sulla stessa strada, con un tono più poetico ma più scuro. La voce della Clarke appare fragile ed indifesa contro le tempeste del mare della vita. Intima ed essenziale è la successiva Leaving London. Anche qui tutto è leggero e sfuggente ma con la costante presenza di qualcosa, come di un peso. Però c’è anche la volontà e la speranza di un cambiamento. My Love Gave Me An Apple sembra aprirsi verso un cielo più luminoso. Forse quella tempesta sta passando ma la voce della Clarke non ci fa illudere, continuando ad essere tanto melodiosa quanto triste. Segue If I Didn’t Mind che con il suo piglio più rock delle precedenti, spazza via qualche nuvola. Il suono della chitarra traccia una linea che corre lungo questa canzone, che svela un punto di svolta all’interno di questo album. Host finisce però per riaffondare in una vaga disperazione. Le chitarre graffiano la superficie ed evocano una rabbia che stenta a venire fuori. A contrastare la ricaduta del buio, ci pensa Slender, Sad & Sentimental. Josienne Clarke tira fuori dal cilindro uno dei brani più luminosi di questo album. Un indie rock brillante che spicca su tutte per orecchiabilità e immediatezza. Season And Time prosegue sulla strada tracciata per questo album. Una musica, ridotta ai minimi termini, accompagna la voce della Clarke che vuole sembrare meno fragile. Walls & Hallways è una delle canzoni più belle di questo album. Josienne con la voce traccia una melodia malinconica e toccante. Tutta la poesia e il talento di questa cantautrice brillano in questo breve brano. Si gioca con la voce in Fair Weather Friends. Le parole di accavallano l’una sull’altra ma tutto dura un minuto e lascia spazio a Dark Cloud. Si ritorna sulle atmosfere buie e opprimenti che hanno caratterizzato parte di questo album. Il canto della Clarke però riesce però a stemperarle, come un raggio di sole in mezzo alle nuvole nere. Tutto si conclude con Onliness. La solitudine è un tema che ogni cantautore deve affrontare e Josienne Clarke lo fa con grazia e semplicità. Una canzone triste e solitaria ma allo stesso tempo elegante e poetica.

In All Weather è un album che ci invita a riflettere, mettendoci di fronte canzoni affatto leggere e spensierate ma mai troppo drammatiche o malinconiche. In italiano usiamo la parola tempo per riferirci indistintamente al meteo e al tempo che passa, quasi fosse scontato che le due cose sono legate l’una con l’altra. Qui Josienne Clarke sembra fare la stessa cosa. La vita è un susseguirsi di stagioni, il cielo cambia in fretta ma, come si dice, c’è sempre il sole sopra le nuvole. Josienne Clarke scrive canzoni sincere, dove la musica non prende quasi mai il sopravvento e lascia spazio alla sua voce unica, esprimendosi sempre in canzoni piuttosto brevi (solo in un paio di casi sopra i tre minuti). Sono rimasto sorpreso da questo album e da questa cantautrice, anche se non dovrei esserlo perché il suo talento è già noto da tempo. Ma questo non vale per me, ed è sempre bello quando succede.

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