Non mi giudicate – 2023

Un altro anno è arrivato in fondo e come di consueto mi fermo un momento per tirare le somme e cercare di riassumere qui quanto di meglio ho ascoltato quest’anno. Dei 73 album pubblicati quest’anno e che ho ascoltato ho dovuto fare una scelta e a malincuore lasciarne fuori parecchi altrettanto meritevoli. Ecco dunque la mia personalissima lista di fine anno.

  • Most Valuable Player: Margo Price
    L’album Strays e la sua successiva versione estesa, ci fanno ascoltare una Margo Price ispirata e finalmente sobria. Ormai questa cantautrice sembra aver trovato la sua strada.
    Una mentina in tasca e una pallottola tra i denti
  • Most Valuable Album: Thank God We Left The Garden
    Questo album di Jeffrey Martin aveva già un posto prenotato in questa lista, tanto era la fiducia in lui. Fiducia pienamente ripagata da un album profondo e personale.
    Alla fine, niente ha importanza, figliolo
  • Best Pop Album: Lauren Daigle
    Lauren Daigle ci regala un album pieno di vita e colori, per tutti i gusti. Una voce meravigliosa che sa toccare le corde giuste e andare al di là del suo particolare genere musicale.
    Vedo angeli che camminano per la città
  • Best Folk Album: A Seed Of Gold
    Scelta non facile ma ho voluto premiare il folk tradizionale di Rosie Hood e la sua band. Un ritorno fatto di ottime canzoni caratterizzate dalla voce unica di quest’artista.
    Un regalo riservato agli amici lontani
  • Best Country Album: Ain’t Through Honky Tonkin’ Yet
    Nonostante la spietata concorrenza, la spunta Brennen Leigh, con un album ben scritto e orecchiabile. Il suo stile unico e riconoscibile rendono questo album semplicemente perfetto.
    A volte sento di non avere un posto dove andare
  • Best Singer/Songwriter Album: Dreamer Awake
    Tanti ottimi album potevano rientrare in questa categoria ma questo di Rachel Sermanni è un ritorno molto gradito e rende giustizia al suo talento di cantautrice.
    Lascia che i segreti entrino dalla porta
  • Best Instrumental Album: Haar
    Lauren MacColl è una delle violiniste più prolifiche della scena folk scozzese, anche grazie alle sue numerose collaborazioni. Quando si mette in proprio ci regala sempre ottimi brani strumentali.
  • Rookie of the Year: Snows of Yesteryear
    Non sono pochi i debutti di quest’anno a questo trio ma Snows of Yesteryear mi ha sorpreso più degli altri con il suo album omonimo. Un ottimo mix di canzoni folk con contaminazioni rock e alternative che conquista subito.
    La neve dei tempi andati
  • Sixth Player of the Year: Ida Wenøe
    Pochi dubbi, la sorpresa di quest’anno si rivela essere la riscoperta di questa cantautrice danese con il suo Undersea. Un  album di canzoni folk di ottima fattura.
    Non ho mai saputo niente dell’amore
  • Defensive Player of the Year: Bille Marten
    Drop Cherries è l’album che ci si aspettava da questa cantautrice che continua a portare le sue sonorità distese e riflessive. Sempre un piacere ascoltarla.
    Non è rimasto niente per cui piangere
  • Most Improved Player: Kassi Valazza
    Con il suo Kassi Valazza Knows Nothing, dimostra un cambio di approccio alla sua musica, ora fatto di ballate in bilico tra classico e moderno. Un nuovo interessante inizio per lei.
    Non sai come funziona il fuoco
  • Throwback Album of the Year: Peculiar, Missouri
    Non sono molti gli album che sono andato a pescare dagli anni passati ma la scelta non è stata semplice. Willi Carlisle però si è distinto particolarmente con il suo country vario e carismatico.
    Mi ritorni in mente, ep. 88
  • Earworm of the Year: The Coyote & The Cowboy
    Non volevo lasciare fuori il buon Colter Wall da questa lista e dopotutto questa canzone, una cover di Ian Tyson, è così riuscita ed orecchiabile che mi è entrata subito in testa.
    Si deve riempire il grande vuoto con piccole canzoni
  • Best Extended Play: Forever Means
    Angel Olsen non delude mai anche quando si limita a proporre una manciata di canzoni. Ormai questa cantautrice è una garanzia e anche in questa occasione si dimostra una delle migliori del suo genere.
  • Honourable Mention: Jamie Wyatt
    Questo suo nuovo album intitolato Feel Good è un deciso passo in avanti e un cambio di rotta davvero sorprendente e non poteva mancare in questa lista di fine anno.
    Non abbiamo bisogno di morire senza ricordi

Speravo di parlare un po’, la musica era già iniziata

In questi ultimi due anni ho avuto la sensazione di aver precorso i tempi con largo anticipo, annusando nell’aria che la musica folk, americana, country o simili stava tornando di moda, soprattutto nella musica indie. Forse in questi anni difficili si è voluto tornare ad un genere riconoscibile, quasi di conforto, che ci riportasse in acque sicure. Ultimo è il caso di Angel Olsen, cantautrice americana con una carriera ormai più che decennale alle spalle, che con il nuovo Big Time ha messo da parte il pop alternativo per provare qualcosa di diverso, lasciandosi influenzare dal country appunto. Ero curioso riguardo a questo nuovo corso, certo che nella mani della Olsen non può che uscire qualcosa di buono.

Angel Olsen
Angel Olsen

All The Good Time non lascia dubbi su quali sonorità la Olsen abbia deciso di puntare. Una canzone celebra i bei momenti passati con la persona amata ma quell’amore è arrivato al capolinea, “Well I won’t be the one to keep holding you back / If there’s somethin’ you’re missin’ then go right ahead / I’ll be long gone, thanks for the songs / Guess it’s time to wake up from the trip we’ve been on / So long farewell, this is the end / And I’ll always remember you just like a friend“. La title track Big Time è ancora più marcatamente country ma la voce e l’interpretazione della Olsen sono al di sopra di qualsiasi genere. Una delle più belle canzoni dell’album, “And I’m losin’, I’m losin’, I’ve left it behind / Guess I had to be losin’ to get here on time / And I’m living, I’m loving, I’ve loved long before / And I’m loving you big time, I’m loving you more“. La successiva Dream Thing rallenta e si riprende le sonorità più eteree che da sempre la produzione di questa artista. L’atmosfera malinconica e l’accompagnamento sono il punto di forza di questa canzone, “I was lookin’ at old you, lookin’ at who you’ve become / I was hopin’ to talk some, music had already begun / I never thought that you / Wouldn’t be able to / Put it all behind / I guess I was blind“. Sulle note di un pianoforte prende forma Ghost On. Con voce calda e morbida, Angel Olsen si prende la scena. Una ballata dolce che emoziona con semplicità, “I know I have my own remorse / I often overthink, of course / The past is with us, it plays a part / How can we change it? How do we start?“. Non nascondo che All The Flowers è una delle mie preferite di questo album. Angel sfodera la sua voce più melodiosa, con quel suo modo unico di cantare, dando corpo ad una poesia (la melodia mi ricorda un’altra canzone, forse italiana, ma non sono riuscito a capire quale), “I’ll be gone so fast, I’ll fly / Across the midnight sky / Arrived or leaving / You can bet I’m dreaming / You can bet I’m dreaming / I’ve been spending too much time / Searching in vain, to find / The only reason / The only reason“. Right Now è ancora un’altra canzone che mescola la vocazione indie della cantautrice con lo stile country, questa volta strizzando l’occhio al rock, “We all know that it’s hard / Hard to stay forever / But I’m telling you right now / If we’re apart or here together / I need to be myself / I won’t live another lie / About the feelings that I have / I won’t be with you and hide“. Segue This Is How It Works, che pesca a piene mani dal country ma la Olsen non rinuncia a dare il suo tocco personale. Probabilmente questa è la canzone più country dell’album, “I know you can’t talk long / But I’m barely hanging on / I’m so tired of telling you / It’s a hard time again / It’s a hard time again / Tell me something good / Pull me out from what I’m in“. Go Home va in controtendenza, una dolorosa confessione che si esprime attraverso alti e bassi in un folk rock liberatorio, “I wanna go home / Go back to small things / I don’t belong here / Nobody knows me / How can I go on? / With all those old dreams / I am the ghost now / Living those old scenes“. Through The Fires è un lento che danza sulle note del pianoforte e si affida alla voce della Olsen. Una canzone meravigliosa e dalle sonorità classiche e senza tempo, “I felt the change and it came back around / Then I moved in to the feeling I found / And the feeling I found showed me how I could lose / To love without boundary and put it to use“. Si chiude con Chasing The Sun, nel quale ritroviamo il pianoforte ma la voce è sommessa, un sussurro delicato. Anche questa canzone ogni secondo sembra uscito da un passato lontano, “Write a postcard to you / When you’re in the other room / Just writing to say that I can’t find my clothes / If you’re lookin for something to do / Drop everything I’m doing / Nobody needs me here / I’ll go wherever you are going, I’ll be somewhere near“.

Big Time è qualcosa di più che l’album country di Angel Olsen. Non si può negare il deciso cambio di sonorità capace però di conservare l’approccio emotivo e poetico con il quale quest’artista ha sempre affrontato le sue canzoni. Non possiamo sapere se questa svolta si tratta di una parentesi temporanea, una necessità magari di voler tornare alle origini, oppure un nuovo corso che durerà più a lungo. Di sicuro c’è che Big Time è un ottimo album, il più immediato probabilmente della Olsen e quello che va incontro maggiormente ai gusti di una platea più ampia. Se questo revival country ha a volte una valenza puramente commerciale, nel caso di Angel Olsen, non riesco a pensare sia così. Big Time si candida ad essere uno dei migliori album di questo anno che è quasi arrivato a metà e che ci riserverà ancora numerose sorprese come questa.

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Il gioco degli specchi

Dopo la pubblicazione della raccolta Phases del 2017, che racchiudeva il percorso artistico della cantautrice americana Angel Olsen, che sua volta seguiva l’album MY WOMAN dell’anno precedente, ha visto la luce il nuovo All Mirrors. Fin dal singolo di presentazione del album era chiara la scelta di fare un passo indietro rispetto alle ultime sonorità indie pop e abbracciare qualcosa di più ricercato ma allo stesso tempo vicino agli esordi. Angel Olsen è ormai una certezza nel panorama cantautorale femminile e ha dettato alcuni stilemi che molte provano ad imitare. Questo album appare come il suo progetto più ambizioso ed artistico nel vero senso della parola.

Angel Olsen
Angel Olsen

Lark inzia sommessamente richiamando le sonorità tipiche dalla Olsen. Addentrandosi poi nella canzone il ritmo e la melodia esplodono, così come la voce, in un tripudio etereo di suoni. Un amore problematico, difficile da dimenticare è il motore di questa canzone, “Wishing we could only find one another / All we’ve done here is blind one another / Hate can’t live in this heart here forever / Have to learn how to make it together“. La title track All Mirrors affronta il passare del tempo con un vago senso di disperazione e rassegnazione. Angel Olsen usa la sua voce affilata per fa emergere un disagio profondo, sostenuta da una musica cupa e orchestrale. Uno dei migliori brani di questo disco, “Standing, facin’, all mirrors are erasin’ / Losin’ beauty, at least at times it knew me / Standin’, facin’, all mirrors are erasin’ / Losin’ beauty, at least at times it knew me / At least at times it knew me / At least at times it knew me“. Too Easy è una canzone indie pop delicata e sognante che rappresenta una delle variazioni più significative del disco. C’è però sempre quella atmosfera monocromatica che lo caratterizza, “I’m not alone I’m not / The real truth of it all / Is that I haven’t lost / After the wait, come down / I looked around and found something else / Something that was bigger than us / Bigger than us“. New Love Cassette vira verso un rock dove la musica distorta e dai toni bassi fa da sfondo al canto sussurrato e sfuggente della Olsen. Una canzone d’amore lineare ma sporcata da sontuoso accompagnamento orchestrale, “I’m gonna help you see when you’re hard to find / Gonna gather strength, give you all my mind / Wanna show you my love all the time / Wanna hold you close and let you lie“. La successiva Spring accende una piccola luce nella grigia tensione di questo album. Le sonorità retrò sono un territorio nel quale la Olsen si sa muovere, riuscendo sempre a metterci del suo, “Show me a love that / Won’t ever leave / Or look for another / One to deceive / I’m beginning to wonder / If anything’s real / Guess we’re just at the mercy / Of the way that we feel“. What It Is riprende il filo di un indie rock che accende l’album. Si ritrovano tutte le caratteristiche di questa cantautrice, come le chitarre e il canto melodioso e sommesso ma con l’aggiunta degli archi, la costante del disco, “It’s easy if you tell the truth / But knowing what it is it’s not enough / And knowing that you love someone / Doesn’t mean you ever were in love“. Impasse spezza l’album, rallentando il ritmo e abbassando di nuovo le luci. Dopo un inizio sottotono, l’orchestra torna protagonista e la Olsen si lancia in un’interpretazione sofferta di grande impatto, “You think this is what I wanted when I said / I’m just living in my head / I’m just living in my head / I’m just working for the name / I never lost anyone / I never lost anyone / I never lost anyone“. Tonight è uno dei brani che più ricordano gli esordi della Olsen. La voce appena accennata che tratteggia la melodia e la musica che cresce pian piano. Un inno alla ritrovata serenità e alla scoperta di sé stessi, “I like the air that I breathe / I like the thoughts that I think / I like the life that I lead / Without you / Without you / Without you / Without you“. Con Summer ritroviamo una Angel Olsen dalle tinte indie, anche un po’ folk, e delicatamente elettroniche. Una canzone intensa ma elegante e misteriosa, nonché una delle più mature di questo album, “And all those summer days were like a dream / Woke me from a restless sleep / Made me quiet, had me weak / And all the weight of all the world came rushing through“. Segue Endgame, nella quale troviamo la voce della Olsen, solitaria ed inafferabile. Anche questa volta riesce a dare prova del suo talento, tracciando una melodia quasi esclusivamente con la voce, che è di fatto, è lo strumento musicale più in evidenza in questa occasione, “Life carries on just like a song I sing, but I don’t know / I walk away from all the noise and I’m on my own / I don’t know how to speak with you, I’d rather be alone / But somehow whenever I do, I wonder why so long“. Si chiude con Chance, ballata solitaria e notturna. Il passato affiora dalla sua musica e dal canto, tutto è perfettamente in armonia. Così classico, così moderno, “I’m leaving once again / Making my own plans / I’m not looking for the answer / Or anything that lasts / I just want to see some beauty / Try and understand / If we got to know each other / How rare is that?“.

All Mirrors, oltre ad essere un nuovo capitolo della carriera di Angel Olsen, è anche l’album che più la rappresenta. C’è il suo lato indie rock, quello più pop e folk. C’è anche un revival di sonorità del passato, oltre ad un approccio moderno. L’uso preponderante degli accompagnamenti orchestrali danno una nuova dimensione alla musica di questa cantautrice, senza soffocarla con inutili orpelli. Uniche costanti in un album così vario, sono la voce inconfondibile della Olsen e le atmosfere in bianco e nero che lo pervadono. All Mirrors è l’album che consacra definitivamente Angel Olsen tra le cantautrici di razza, anche se non c’era bisogno di ulteriori conferme vista la sua discografia. Il mio rapporto con la Olsen rimane lo stesso di sempre. Sono affascinato dal suo stile ogni volta che l’ascolto ma tendo ad ascoltarla solo in determinate circostanze, senza distrazioni. Se non conoscete Angel Olsen, questo All Mirrors, è un buon punto di partenza per scoprirla.

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Mi ritorni in mente, ep. 63

Siamo ad Agosto ed è tempo di ferie e proprio adesso che avrei più tempo per fare recensioni, mi manca la voglia. Dopotutto è pur sempre Agosto ed è tempo di ferie. Quindi mi predo una pausa e comincio ad anticipare qualche nuova uscita prevista dopo l’estate. Ecco qui una playlist di novità in arrivo (ho scelto Spotify per comodità anche se non lo uso molto e presto capirete perché). Si inizia con il country rock di Aubrie Sellers e la sua Drag You Down che anticipa il suo secondo album di prossima uscita. Si passa poi al ritorno di Angel Olsen con All Mirrors, tratto dall’album omonimo in uscita il 4 Ottobre. Un altro graditissimo ritorno è quello dei Bon Iver con Faith che ci svela una piccola parte del loro quarto album, dall’enigmatico titolo i,i che sarà pubblicato il 30 di questo mese. Così come il tanto annunciato Norman Fucking Rockwell di Lana Del Rey. Ho scelto Venice Bitch e i suoi nove minuti in perfetto stile Del Rey. Si torna al country con Dori Freeman e la sua That’s How I Feel. Il suo terzo album Every Single Star uscirà il 27 Settembre e non vedo l’ora. Le tre sorelle Joseph tornano con il 13 Settembre con Good Luck, Kid e Fighter è il singolo scelto per presentare l’album. Ci sono altre novità nelle prossime settimane ma per oggi mi fermo a queste sei. Buon ascolto!

Non mi giudicate – 2016

Eccomi dunque ancora una volta a fare i conti con il tempo che passa. Un altro giro intorno al sole tra le pagine di questo blog se ne andato. Come ho fatto lo scorso anno, premio gli album e gli artisti che più hanno lasciato il segno nel 2016. Naturalmente le mie scelte si limitano a ciò che ho potuto ascoltare quest’anno, per ognuna di esse troverete la recensione dell’album su questo blog. Quest’anno, rispetto al precedente, ho ascoltato un bel numero di EP e così ho aggiunto una categoria tutta dedicata a loro. Un’altra novità è dettata dal maggiore spazio che ha trovato il country nella mia musica, così ho aggiunto un posto anche per questo genere americano. Quest’anno non è stato affatto facile scegliere e ho dovuto escludere qualcuno ma poco importa. In fin dei conti questo 2016 è stato un anno ricco di musica e ha volte mi sono ritrovato sommerso di cose da ascoltare. Il tutto per merito mio, si capisce.

  • Most Valuable Player: Agnes Obel
    Questa cantautrice rimane una delle più affascinanti degli ultimi anni. Il suo terzo album Citizen Of Glass è uno dei più belli di quest’anno. Un ritorno ispirato e magico, caratterizzato da tutto ciò che rende unica quest’artista. Imperdibile.
    Agnes Obel – Stretch your Eyes
  • Most Valuable Album: Jet Plane And Oxbow
    Johnatan Meiburg torna nella sua forma migliore con un disco carico e intenso. Le sonorità anni ’80 rilanciano gli Shearwater, un gruppo che non è mai troppo tardi scoprire. Vivamente consigliato per la sua qualità.
    Shearwater – Jet Plane And Oxbow
  • Best Pop Album: Keep It Together
    Lily & Madeleine virano su sonorità più pop ma riescono a non perdere la bussola. Le due ragazze di Indianapolis crescono a vista d’occhio, staccandosi sempre di più dai loro modelli e trovando una strada più personale. Ben fatto.
    Lily & Madeleine – Westfield
  • Best Folk Album: Between River And Railway
    Quando si parla di folk, si parla di tradizione. Nel caso di Claire Hasting è quella scozzese. Tra inediti e classici, questa giovane cantautrice ci porta nella sua terra con semplicità e una bella voce. Da tenere d’occhio per il futuro.
    Claire Hastings – The House At Rosehill
  • Best Country Album: Honest Life
    Courtney Marie Andrews nonostante la giovane età è già da tempo nel country che conta. Questo album però ha qualcosa di speciale, per maturità e ispirazione. Carico di sentimenti e malinconia, Honest Life è un must per gli appasionati del genere.
    Courtney Marie Andrews – How Quickly Your Heart Mends
  • Best Singer/Songwriter Album: Angel Olsen
    Difficile inquadrare questa artista americana in un genere musicale. Quello che è sicuro è che è una cantautrice. Ecco perchè non si può fare a meno di mettela al primo posto. Il suo MY WOMAN è un gioiellino anche se ha diviso critica e fan.
    Angel Olsen – Shut Up Kiss Me
  • Rookie of the Year: Billie Marten
    Con Writing Of Blues And Yellows fa il suo esordio la giovanissima cantautrice inglese Billie Marten. Il suo folk pop delicato e sognante è il suo punto di forza. Aspettavo da tempo questo esordio e questo album si è rivelato al di sopra di ogni aspettativa.
    Billie Marten – Milk & Honey
  • Sixth Man of the Year: Bon Iver
    Certo, mettere uno come Justin Vernon in panchina non è mai una buona idea ma è successo. Lui si è fatto trovare pronto con l’enigmatico 22, A Million, che provoca reazioni contrastanti. A me è piaciuto e tanto basta. Un’esperienza da fare.
    Bon Iver – 29 #Strafford APTS
  • Defensive Player of the Year:  Keaton Henson
    Come dire, Keaton Henson è Keaton Henson. Chi è più “difensivo” di lui.? Con il nuovo Kindly Now prova a buttare giù quella barriera tra lui e l’ascoltatore. Ci riesce con la consueta sensibilità e tristezza. Da ascoltare in totale solitudine.
    Keaton Henson – Alright
  • Most Improved Player: Kelly Oliver
    Dopo l’ottimo This Land, la cantautrice folk inglese compie un ulteriore passo avanti nella sua crescita artistica. L’album Bedlam è un concentrato di ballate folk senza tempo che traggono ispitazione dalla tradizione. Consigliatissimo.
    Kelly Oliver – Bedlam
  • Throwback Album of the Year: Soon Enough
    L’esordio di Erin Rae e dei suoi The Meanwhiles dello scorso anno è un album incredibilmente malinconico e emozionante. La voce di Erin Rae è tra le più e emozionanti che si possano sentire. Solo per malinconici cronici.
    Erin Rae And The Meanwhiles – Minolta
  • Earworm of the Year: Amerika
    Il gruppo canadese Wintersleep è tornato quest’anno in grande stile con The Great Detachment. Il singolo Amerika mi ha trapanato il cervello per settimane. Ritornello orecchiabile e tanto buon indie rock. Da ascoltare a vostro rischio e pericolo.
    Wintersleep – Amerika
  • Best Extended Play: Tide & Time
    Tanti EP quest’anno. Difficile scegliere ma sicuramente questo Tide & Time della cantautrice inglese Kitty Macfarlane è stato il più sorprendente. Voce unica e attenzione ai dettagli. Profondamente ispirato. Si attende un seguito.
    Kitty Macfarlane – Song to the Siren (Tim Buckley cover)
  • Most Valuable Book: I Racconti (1831 – 1849)
    Nonostante abbia letto libri con la regolarità di sempre, ho dato meno spazio a loro su questo blog. Senza dubbio la raccolta di tutti (o quasi) i racconti di Edgar Allan Poe è il libro dell’anno. Vi consiglio l’edizione di Einaudi con la traduzione di Manganelli.

Questo 2016 è stato un anno nel quale ho potuto ascoltare davvero tanti album e non tutti hanno avuto spazio in questo blog. Avevo intenzione di elencarli qui, in questo post di fine anno ma poi ci ho ripensato. Chissà magari meritano più spazio e l’anno prossimo lo troveranno. Nel 2017 ci saranno tanti ritorni e spero come sempre di avere il tempo di ascoltare musica e di scrivere in questo blog.

Buon 2017

Questi sono i giorni

Tra i ritorni più interessanti di quest’anno si è aggiunto anche il terzo album della cantautrice americana Angel Olsen, intitolato MY WOMAN. Proprio all’inizio di quest’anno ho pubblicato la recensione del suo album d’esordio Half Way Home del 2012. Ho voluto ascoltarlo per completare così la sua discografia, insieme a Burn Your Fire For No Witness del 2014. Angel Olsen mi è sempre piaciuta perchè è in grado di trasmettere, attraverso le sue canzoni, emozioni intense sia quando ha un piglio più rock piuttosto che uno più folk o pop. Un cantautrice di razza che non si è posta il problema di come piacere a tutti e questo MY WOMAN portebbe rappresentare uno spartiacque della sua carriera.

Angel Olsen
Angel Olsen

Intern apre l’album con il suono dei synth che qui sono l’eccezione. La voce della Olsen è elegante ma intensa, così come ci ha da sempre abituati. Qualche brivido ci ricorda che è tornata con tutta la disperazione del suo animo, “I don’t care what the papers say / It’s just another intern with a resumé / I am going to fall in love with you some day / I’m gonna fall in love and run away / I’m gonna fall in love and run away“. La successiva Never Be Mine è un bel rock dal sapore d’altri tempi. Angel Olsen riesce ad incantare con le chitarre, una bella melodia e il ritmo. Una delle migliori dell’album, una triste canzone d’amore, “He wants to know why / He wants to know why / I only want to know you / I want to tell him / I know the feeling / This time I swear that I do“. Shut Up Kiss Me è il primo singolo dell’album, un’accattivante pezzo indie rock carico di energia. La Olsen non è nuova a queste cose e dimostra di sentirsi a suo agio sempre e comunque, “I could take it down to the floor / You don’t have to feel it anymore / A love so real that it can’t be ignored / It’s all over baby but I’m still young / I’m still young“. Anche Give It Up è della stessa pasta. Sembra che la Olsen voglia richiamare alla memoria un rock che non esiste più ma che piace ancora, “In my arms and fast asleep / In my arms and all my dreams / Where you are is where I want you / Where you are is where I want to / Where you are is where / I want to be / I want to be / I want to be“. La prima metà dell’album, quella più rock, termina con Not Gonna Kill You. Qui si sente tutta l’influenza del rock americano della musica della Olsen, fondendo sapientemente il suo passato e il suo presente, “My watch is blurry when I look down at my hands / I’m just another, alive with impossible plans / I turn the lights low but we both know where we are / And when it’s over, what becomes of your pure heart?“. La seconda parte dell’album è dedicata alle ballate, malinconiche e tristi, che non possono mai mancare. Heart Shaped Face fa da contrasto e riapre le porte alla Olsen degli esordi. Qui i tempi cominciano a dilatarsi così come il ritmo, “I never wanted to be someone who had to leave it all behind / Even still there is no escape for what I face, I faced before / Have whatever love you wanna have / But I can’t be here anymore“. Ma forse è Sister che conserva tutta la poesia e la drammaticità dello suo stile. Per quasi otto minuti Angel Olsen ci rapisce con un’interpretazione al limite delle lacrime. Ecco l’altro lato di quest’artista che amo, “Everywhere I go / I can see your face / Alive and gone at once / Hey, that’s the way I see this place / And though this blessing was a curse / Before I opened up my heart / You learn to take it as it comes / You fall together, fall apart“. Those Were The Days ha un’atmosfera romantica e sfocata. La Olsen sfodera una voce sussurrata e sensuale come non mai, “See how you’re laughing with those you don’t know as well / I hear you saying I’m the one but I wish I could tell / Funny how time can can make you realize and realize / And then realize“. In Woman risiede l’anima di questo album. Un’altra ballata, personale e sentita. Un’interpretazione eccezionale, “You can leave now if you want to / I’ll still be around / This parade is almost over / And I’m still your clown“. Pops chiude l’album trasformando Angel Olsen in una sorta di Lana Del Rey. Ma in realtà sotto l’apparenza c’è un forte richiamo alla Olsen degli esordi, disperata che da sfoggio alla sua voce che io definirei “lacrimosa”. Sì, credo sia il modo migliore per definire la sua voce, “All those people, they don’t see me / Baby, don’t leave / Please believe me / Couldn’t love ‘em if I tried to / No one understands me like you“.

Angel Olsen continua il suo percorso musicale con questo MY WOMAN nel quale non ci sono strappi con il passato. Tutto cambia ma lentamente e Angel Olsen non rinnega sé stessa ma si mette in gioco, dimostrando sempre più di essere un’artista ormai matura. Abbiamo di fronte una cantautrice che non si lascia trasportare facilmente dalle mode del momento e questo, si sà, divide il pubblico e la critica. Io trovo MY WOMAN un album intenso e senza scampo, come i due precedenti. Mi rendo conto che Angel Olsen non è quel genere di artista che può piacere a tutti, ma vi invito ancora una volta ad ascoltare un suo album per intero. Perchè sono sicuro che vi piacerà almeno una canzone. Anzi, ne sono convinto.

Mi ritorni in mente, ep. 37

Quest’anno sento particolarmente il bisogno di staccare la spina per un po’, come si dice in questi casi. Le ferie si avvicinano ma sono ancora piuttosto lontane. Ma si sa che nel bene o nel male il tempo passa comunque e speriamo che quello cha manca passi in fretta. Poi se ne riparlerà dopo di tutto il resto. Ad alleggerire l’attesa ci pensano tre nuovi singoli che anticipano l’uscita di altrettanti album.

Il ritorno di Agnes Obel è imminente e la nuova Familiar segna il nuovo corso. C’è dentro quello che conosciamo e amiamo della cantautrice danese ma sotto una veste più moderna. La seconda voce che sentite nella canzone è quella della stessa Obel modificata. La sua musica evolve, lasciando intatta la magia che scaturisce dalle note. Familiar migliora ascolto dopo ascolto e non vedo l’ora di mettere mano su questo terzo album ancora senza data, seguito di Aventine del 2013.

Terzo album in arrivo anche per la cantaurice americana Angel Olsen. Il suo album MY WOMAN (rigorosamente in maiuscolo) è previsto per il 2 Settembre, anticipato dal singolo Shut Up Kiss Me. Non sembra essere cambiato molto dall’ultimo Burn Your Fire For No Witness del 2014 e questo è un bene. Angel Olsen è in grado di soprendere sempre mettendo la sua straodinaria voce al servizio di un pop alternativo e intelligente.

Ultimo ma non ultimo, il ritorno del cantautore/poeta inglese Keaton Henson. La sua Alright è una poesia in musica come tutte le sue canzoni. Il nuovo album Kindly Now uscirà il 16 Settembre e sono convinto non deluderà. C’è ancora da aspettare per queste tre nuove uscite, così come c’è da aspettare per le ferie. Il tempo passa sempre e comunque. Non resta che aspettare.

Siamo al sicuro

Poco meno di un anno fa mi dedicai all’ascolto di quello che è stato considerato uno dei migliori album del 2014 ovvero Burn Your Fire For No Witness della cantautrice americana Angel Olsen. Prima di un eventuale nuovo album per il prossimo anno, ho voluto ascoltare il suo LP d’esordio intitolato Half Way Home del 2012. Avevo letto di un cambio di sonorità tra il primo e il secondo lavoro e quindi non sapevo cosa aspettarmi esattamente ma è stato meglio così. Half Way Home non è poi così diverso dal suo successore ma un cambiamento c’è. Ciò che è rimasto inalterato è il talento della Olsen e la sua voce espressiva e emotiva.

AngelOlsen
Angel Olsen

Apre le (tristi) danze la bella Acrobat, una semplice chitarra fa da sfondo alla voce intensa della Olsen. Non si fa fatica ad entrare in sintonia con lei e con il suo mondo, malinconico e affascinante, “You are the crazy acrobat / You are the witch, I am your cat / I want to be a bit like you. I hope you don’t mind / If I do“. Più movimentata la successiva The Waiting dove la voce della Olsen è più potente ma sempre vibrante, dimostrazione di un talento destinato a non passare inosservato, “Well, I’m lost in my thoughts / They tumbled ahead / Over and over again / Yeah, it’s true / Just take a look at what’s been done to me / I wasted time to ponder / Here I am, oh, Alice in wonder“. Safe In The Womb è una lunga ballata nella quale lasciarsi trasportare dall’intensa interpretazione della cantautrice americana. Angel Olsen è racchiusa in canzoni come questa, scolpite dalla sua voce unica, “Deep in the nest of an endless dream / When a stranger thought becomes of me / It can slowly turn my blood / Just as the rings around our ever burning sun / Eventually wilt a once freshly blooming bud“. Da brividi la successiva Lonely Universe. Si sente il folk americano, veicolo di emozioni vivide. La migliore canzone dell’album, da ascoltare interamente nei suoi sette minuti abbondanti, “Goodbye sweet mother earth / Without you now I’m a lonely universe / You won’t always understand / When you’ve truly loved someone / Until after they’ve gone“. Con Can’t Wait Until Tomorrow ritroviamo una Olsen solitaria e confidenziale. Questa volta non si dilunga e va dritta all’obiettivo. Un brano che alleggerisce l’ascolto delle due precedenti e ravviva l’attenzione, “Oh, I don’t care if I spend my whole life away / I’m gonna try to give to you all of the love that I’ve been shown before / Can’t wait until tomorrow so that I can know you more / So that I can know you more“. Always Half Strange è ancora una volta intensa ma sempre essenziale e mai sopra le righe. La Olsen sa toccare le corde giuste e dosa bene voce e musica per non incorrere in sgradevoli eccessi, “Always love / Like no other love / Like none i’ve known before / Well I saw the way you looked at that woman / I saw the way you looked at that woman / I saw / I was looking, too“. You Are Song è più cupa delle precedenti e la Olsen non gioca troppo con la voce. Un folk intimo e confidenziale ma allo stesso tempo capace di apparire distaccato. Una prova d’autore, “It is true at times one can see I am strong / I am not at home, yet I know where I belong / I am silence now, but I am always song / Can you hear me? / I thought this time last year I’d be dead / It’s quite strange the thoughts that pop into your head“. Un po’ di luce con Miranda, un’altra ballata sulla quale c’è poco da aggiungere. Quando Angel Olsen si mette a fare cose del genere non resta che ascoltare in religioso silenzio, “Don’t sand too close to me, darling / Keep your hands where I can see / Don’t you know you’re wanted in fifty states? / I love you, dear, but it’s not up to me / And it’s never been quite been, you see“. Si continua con The Sky Opened Up che anticipa le sonorità del secondo album. Una voce che incanta come non mai e sembra incapace di fermarsi, si finisce per esserne rapiti. Troppo facile Angel, troppo facile, “No one will ever be you for yourself / Even if the world is ready to help / If you give it some time / Out of the stranger you may find / Someone that hears what you mean / Someone that hears what you mean“. Un pop d’altri tempi da vita a Free, che ci mostra una Olsen meno malinconica e più positiva. Una canzone che da un po’ di colore ad un album altrimenti in bianco e nero, “Free! Love, nothing can come between / All I want is to believe / That there’s no harm, it’s what we need / There’s no harm, it’s what we need / There’s no harm, it’s what we need“. Chiude Tiniest Seed ennesima ballata americana dal sapore dolce e famigliare. L’ultimo caloroso saluto prima di congedarci da questo album, “When did the time become / Something that I feel? / And now as I disappear / Someone else becomes real / As real as the smallest star / Borne into a child / It’s known that the tiniest seed / Is both simple and wild“.

Half Way Home non lascia scampo. Angel Olsen è emozionante così come lo sarà nel successivo Burn Your Fire For No Witness. Nonostante qualche EP alle spalle questo si può considerare un esordio a tutti gli effetti ed è davvero incredibile la vena creativa di quest’artista. Angel Olsen non può lasciare indifferenti, proverete compassione per lei e la sua anima tormentata. Sono contento di aver ritrovato la Olsen che avevo lasciato e ora so di potermi fidare di lei in futuro. Come notai in occasione della mia precedente recensione, anche in questo caso l’album rende al meglio se ascoltato per intero, come rivivere un viaggio e non semplicemente rivedere una serie di istantanee in ordine sparso.

Mi ritorni in mente, ep. 32

Ci stiamo inesorabilmente avvicinando alla fine di quest’anno ma non è ancora il momento di tirare le somme. In questi giorni ho scorso la mia libreria musicale per cominciare a farmi un’idea di cosa ho ascoltato quest’anno e se fosse possibile farne una classifica. Dato che non mi piace dare voti alla musica, tanto meno fare classifiche, ho optato per “premiare” gli artisti o gli album che più mi sono piaciuti. Pubblicherò i risultati prima della fine dell’anno.

Scorrendo la lista, ho dato anche un’occhiata per vedere di quali artisti averei potuto arricchire la mia collezione, artisti dei quali ancora non possiedo tutta la discografia. Il mio difetto è che bramo l’intera discografia di qualsiasi artista che abbia fatto anche un solo album di mio gradimento. Questo è anche il motivo per il quale, spesso, rifuggo artisti con alle spalle decine di album. Se solo uno dovesse piacermi, mi sentirei obbligato a procurarmi tutti gli altri, rischiando di non trovarne un altro all’altezza. Non è il caso di Angel Olsen che ha all’attivo due LP, il primo Half Way Home del 2012 e il secondo Burn Your Fire For No Witness dello scorso anno. Prima che la cantautrice americana dovesse decidere di farne un terzo il prossimo anno, ho deciso di procurarmi il suo album d’esordio. Nonostante sia passato quasi un anno da quando ascoltai Burn Your Fire For No Witness è ancora vivo nella mia memoria il ruolo che il brano Windows ha avuto nel condurmi verso Angel Olsen. Sempre Windows mi ha riportato sulle sue tracce al tramonto di questo 2015. Spero che chiunque l’ascolti possa convincersi a seguire questa straordinaria artista come è successo a me.

Won’t you open a window sometime
What’s so wrong with the light
What’s so wrong with the light
Wind in your hair, sun in your eyes
Light
Light

Nessun testimone

Angel Olsen è uno di quei nomi che prima o poi mi ritrovo davanti mentre cerco qualcosa da ascoltare. Recentemente ha dato alle stampe la versione deluxe del suo secondo album, intitolato Burn Your Fire For No Witness. Questo album è stato da molti riconosciuto come uno dei migliori del 2014 nonostante qualche perplessità di alcuni. Data l’insistenza con la quale Angel Olsen appariva ovunque mi sono deciso di ascoltare questo Burn Your Fire For No Witness approfittando, appunto, della versione deluxe. La svolta decisiva c’è stata, quando ho ascoltato il singolo Windows che traghettava la nuova veste dell’album. Non nego che qualche perplessità l’ho avuta anche io prima di ascoltarlo ma questo genere di cose, nel mio caso, tendono a dissolversi abbastanza velocemente.

Angel Olsen
Angel Olsen

Unfucktheworld ci introduce nelle atmosfere affascinanti e un po’ lacrimose della musica della Olsen. La sua voce distorta ci accopagnerà per quasi tutto l’album, “I wanted nothing but for this to be the end / For this to never be a tied and empty hand / If all the trouble in my heart would only mend / I lost my dream I lost my reason all again“. Forgiven/Forgotten cambia subito registro. Un punk-rock addolcito dalla voce della cantautrice che con due canzoni in poco più di quattro minuti ci spiega quali saranno le due facce di quest’opera, “All is forgiven / Always you are forgiven / If there’s one thing I fear / If there’s one thing I fear / It’s knowing you round / So close but not here“. La successiva Hi-Five è uno dei singoli di punta. Un canzone dal sapore anni ’70, che può confondere ai primi ascolti ma si rivela essere uno dei brani più orecchiabili, “I feel so lonesome, I could cry / But instead of that time / Sitting lonely with somebody, lonely dude / Well, there’s nothing in the world I’d rather do“. I veri pezzi da novanta cominciano con White Fire. Triste, lenta e profondamente malinconica, questa canzone si insinua nei più profondi anfratti della nonstra memoria e ne estrae senzazioni che possono essere constrastanti. Ascoltata al momento giusto è da brividi, “Everything is tragic / It all just falls apart / But when I look into your eyes / It pieces up my heart“. High & Wild ci riporta sulla terra, in un turbinio di chitarre e parole. La Olsen cuce tutto alla perfezione e non si può fare altro che rimanere incantati ad ascoltarla, “I wait for this to pass / For us to both say at last / On this dark and narrow path / The sun is shining and we remember what it is we’re living for / I’m neither innocent or wise when you look me in the eyes / You might as well be blind“. Il tempo di riprendersi e infila un altro gran pezzo come Lights Out. Vi verrà spontaneo canticchiarlo. La sua spontaneità e apparente linearità sono il segreto di questa bella canzone che mette in mostra anche le doti da chitarrista della Olsen, “If you don’t believe me you can go ahead and laugh / If you’ve got a sense of humor you’re not so bad / No one’s gonna hear it the same as it’s said / No one’s gonna listen to it straight from your head“. Stars è l’emblema di quelle atmosfere lacrimose citate in precedenza. Il ritornello è uno dei più belli dell’album sempre sorretto dalle sempre presenti chitarre, “To scream the animals to scream the earth / To scream the stars out of our universe / To scream at all back into nothingness / To scream the feeling til there’s nothing left / To scream the feeling til there’s nothing left“. Cantilenante e affascinante la successiva Iota. Una canzone dalle atmosfere vintage che sembrano uscire da un vecchio giradischi impolverato. Più si va avanti in questo album e più ci si sorprende della sua varietà, “If only all our dreams were coming true / Maybe there’d be some time for me and you / If only all the world could sing along / In perfect rhythm to the perfect song“. Dance Slow Decades non è da meno, crescendo istante dopo istante, “I can see you dancing / If you’d just take the step / You might still have it in you / Give yourself the benefit / And dance slow decades / Toward the sun / Even when you’re the only one“. Chiude l’album, in versione standard, la lunga Enemy. Una solitaria Olsen sembra sussurrarci nell’orecchio la sua canzone e ancora una volta non si può fare a meno di restarne rapiti, “Sometimes our enemies / Are closer than we think / Sometimes the ones we trust / May have to give up listening“. La prima delle tracce bonus è la straordinaria Windows. La voce della Olsen è a tratti vicina e lontana, una voce in cerca di redenzione, “Won’t you open a window sometime / What’s so wrong with the light / What’s so wrong with the light / Wind in your hair, sun in your eyes / Light / Light“. Si aggiungono White Water, che riporta la Olsen verso il rock sentito all’inizio di questo album, e la dolce ma pur sempre lacrimosa All Right Now. Segue Only With You d’altri tempi e May As Well che propone un inedito folk cantautorale di tutto rispetto. La Olsen ci prova anche con il country di Endless Road, trasformandosi per l’ennesima volta in questo album e portando a termine la missione.

Quello che questo album dimostra è la quasi assenza di limiti di Angel Olsen di scrivere musica. Spazia da un genere all’altro senza apparente difficoltà. Un album frutto di un lavoro intenso ma breve che si rispecchia nella sua coerenza. Tale coerenza non è scontata data la varietà di generi e stili che formano questo Burn Your Fire For No Witness. Non è facile, se non impossibile inquadrare Angel Olsen come artista. A volte è l’immagine della cantautrice acqua e sapone, un’altra quella della rocker depressa e altre ancora quella di un’interprete nostalgica. Un album vario che rende al massimo se ascoltato per intero piuttosto che facendolo separatamente canzone per canzone. Forse non a tutti può piacere la varieta di musica che Angel Olsen propone ma personalmente io lo ritengo un valore aggiunto e questo album si è rivelato al di sopra di ogni mia aspettativa.