Perdere la testa

Sono sempre attratto dagli album di debutto. Mi piace l’idea di iniziare a seguire un artista fin dai suoi esordi e vederlo crescere anno dopo anno. Così successe due anni fa quando ascoltai per la prima volta Far From Home della cantautrice inglese Kelly Oliver e subito dopo l’album This Land. Quelle canzoni facevano presagire un altrettanto ottimo secondo album. Qualche settimana fa è uscito Bedlam e non potevo certo farmelo scappare. Le positive impressioni che avevo avuto dei singoli rilasciati prima della sua pubblicazione, non potevano prepararmi a quello che avrei trovato in questo secondo album di Kelly Oliver.

Kelly Oliver
Kelly Oliver

Apre l’album la straordinaria title track Bedlam. Cronaca di una triste storia sullo sfondo del Bethlem Royal Hospital di Londra. Kelly Oliver dimostra di essere un’autentica storyteller evocando con la sua musica immagini ricche di vita, “Look at me in Bedlam, in my prison cell / Then invite the people of the city to come and look at me as well / Invite the drunkards, and invite the clowns / Then invite the richest men, the middle man and every beggar in town“. Lay Our Heavy Heads è tra le migliori dell’album. Il ritmo e i violini ci trascinano in un’atmosfera ottimistica e romantica, una dichiarazione d’amore lunga una vita. Da ascoltare, “Down where the river flows, and where the boats are rowing / Down where the river flows, and where the boats are rowing / He said ‘I’ll meet you there, I’ll bring food and I’ll prepare / a patch of land to lay our heavy heads on.’“. Con Jericho,  Kelly Oliver ritorna a suonare l’armonica, in una canzone carica di energia e passione. Come nelle tracce precedenti anche in questa, si può sentire come la sua musica sia diventata più ricca rispetto al precedente This Land, “We’re off to battle in Jericho, he’s my prize and I’ll bring him home. / I’ll fight off any girl in town, for him I’ll break the walls of Jericho down“.  La successiva Miles To Tralee ne è la conferma. Kelly Oliver dimostra tutto il suo talento come cantautrice riuscendo a trasportare l’ascoltatore nel viaggio che sua nonna fece nel dopoguerra per cercare lavoro, “There was a young girl from Tralee / Moved to England to feed her family / Earnt her wages on her own / Then she sent them home“. In The City è un canzone colorata e ricca di immagini. Qui ritroviamo la semplicità degli esordi e la melodia che nasce dalla voce della Oliver. Una canzone che racconta come la città possa condizionare le nostre vite e farci perdere la testa, “In the city we were losing our minds / We were crying, we were sighing, not yet in love / But how far estranged we are, you said ‘I am stronger / And I will go the way with you’. I said I will take you“. The Other Woman è la canzone più oscura e triste dell’album. Kelly Oliver si esprime in una delle sue migliori interpretazioni, si sente un’emozione nella sua voce che arriva diritta all’ascoltatore, “For his woman, he’ll put everything first / He won’t satisfy my hunger or my overwhelming thirst / For his woman, he would leave me alone / She’s the other woman on the throne“. C’è più luce in Same World, una delle canzoni più dolci di questo album. Kelly Oliver fa ancora centro, emozionando e catturando l’ascoltatore con un ritornello orecchiabile, “Come away oh, oh away oh, / Just for a while and see the life you’re living / Well it’s standing in the way oh, / Of every dream, of every meeting / You won’t believe me, no“. La successiva Ghosts At Night è un’altra storia triste ma dove c’è sempre quella speranza che non manca mai nelle sue canzoni, “And are you still running from all your ghosts at night / Well I hear you’re always running, every day of your life / You’re the man who spends his days known by another name / Never the same again, no way again, no“. Si può dire lo stesso di Die This Way. Un bambino che racconta, attraverso i suoi occhi, gli orrori della guerra e della violenza. Una canzone dove si vede tutta la sensibilità di questa cantautrice, “Daddy, let’s move away, let’s move away / To a place in the world where the children all play / And their parents are safe, they work and they pray / Oh let’s move away to this heavenly place“. La sorpresa dell’album è Rio, dedicata alla “sua” Rio de Janeiro. Un colorato pop folk, inedito per la cantautrice inglese, che si mette in gioco con nuove sonorità. Un bel modo per chiudere l’album, “If I could go to Rio de Janeiro, / I would say ‘Oh thanks for having me, / flying me back home with wonder, / filling my heart with dreams and memories’“.

Kelly Oliver con Bedlam fa un enorme passo avanti nella sua crescita come cantautrice. In questi due anni è stata capace di arricchire la sua musica, trovando più sicurezza nella sua voce e nelle sue capacità di scrittura. Un mix perfetto tra la musica tradizionale e i tematiche moderne. Kelly Oliver dimostra con questo album di essere in gran forma, proponendo dieci canzoni delle quali è difficile scegliere la migliore. Bedlam si è rivelato al di sopra delle mie aspettative ed è un serio candidato ad essere uno dei migliori album folk dell’anno. Aver ascoltato This Land due anni fa, mi permette di ascoltare meglio Bedlam e cogliere così la crescita di quest’artista. Ecco spiegato perchè mi piacciono gli album d’esordio.

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Luci e ombre

Non perdono tempo le sorelle Jurkiewicz e pubblicano il loro terzo album in quattro anni. Lily e Madeleine hanno infatti dato alla luce, lo scorso Febbraio, Keep It Together, riprendendo là dove avevano finito ma riuscendo ad evolversi ulteriormente verso un pop elegante e disteso. Le due sorelle avevano iniziato proponendo un folk delicato e malinconico, scegliendo poi nell’anno successivo di virare verso sonorità pop. Ero curioso di ascoltare il terzo album delle americane Lily & Madeleine perchè volevo scoprire quale direzione avessero scelto dopo che il singolo indie pop Hourglass mi aveva convinto.

Lily & Madeleine
Lily & Madeleine

L’album si apre con Not Gonna, dove i ritmi lenti e rilassanti fanno da sfondo alle due voci complementari delle sorelle. Un inizio che anticipa le nuove sonorità, catturando fin dalle prima note, “Everyone’s expecting me / To say I’m sorry but I’m not / No I’m not / Keeping quiet it’s easy / And I could try / But I’m not gonna“. La successiva For The Weak è un trascinante rock anni ’60, vecchia scuola dove, sorprendentemente, la voce di Madeleine calza a pennello. Il duo non è nuovo a questo genere di canzoni ma questa ha qualcosa di speciale, “I just want you to tell me now / How this is gonna go / Cause I’m sick of losing sleep / I want you to tell me now / So I just gotta know / Is hoping for the weak“. Westfield è una canzone che io definirei notturna. Luci che brillano nel buio della notte e pulsazioni elettroniche danno nuova linfa alla musica di Lily & Madeleine, “I’m sitting next to you / It’s 2am and you don’t mind / You always keep your cool / And you’re probably staying here / Talk about the next five years / It makes me feel weird“. Altrettanto notturna è Chicago. Le due voci si confondono una con l’altra fino a formare una canzone ipnotica. Un po’ oscura e cupa ma sempre pervasa da un senso di distensione e relax. Il singolo Hourglass è un indie pop frizzante ma non troppo. Il ritonello si accende sulla notte dei precedenti brani, rendendola una delle migliori canzoni dell’album, “Rain falling hard and steady / Don’t stop until I’m ready / This is my hourglass / Let me stay where I am / Seconds pass through my hand / Fall asleep like the sand / And it’s falling“. Hotel Pool è il pezzo più affiscinante per le sue atmosfere calde e rilassanti. Un ondeggiare lento e costante che avvolge e intrappola l’ascoltatore. Una delle canzoni più riuscite del duo americano. Smoke Tricks è fredda e distaccata, sospesa nel vuoto, fumosa. Lily e Madeleine riescoscono ad evocare immagini nitite, attraverso una musica essenziale e l’uso delle voci, “I’m disconnected and frozen / Just like the words I’ve spoken / Rolling up no emotion / I know this won’t change / Talking is your game“. Midwest Kid è un un’altro brano indie pop dalle tinte pastello. Un’eccezione in questo album, più vicina alle sonorità del precedente Fumes così come la successiva Small Talk. Un lento indie rock di chitarre accompagna le due sorelle, sempre perfette, che dovrebbero considerare l’idea di fare più spesso canzoni del genere. Chiude la bella Nothing. Una seconda parte di album in crescendo che restitusice colore alla notte che abbiamo condiviso con queste due cantautrici. Un gran finale, riprova del loro talento.

Keep It Together è decisamente pop dei predecessori ma le due cantautrici americane hanno saputo cambiare ancora pur rimanendo riconoscibili e per certi versi uniche. Non ci sono strappi con il passato, c’è una lenta trasformazione verso un pop delicato e introverso. Incredibile come le Jurkiewicz, così giovani, siano state in grado di realizzare tre ottimi album in un tempo così ristretto. Hanno le idee chiare e lo dimostrano, non si perdono inseguendo il successo immediato ma cercando un compromesso tra ciò che è bello e ciò che piace. Potrei consigliare a Lily e Madeleine di prendersi tutto il tempo di cui hanno bisogno per pensare al prossimo album ma sono convito che loro non si fermeranno, viaggiano veloci nella notte, dove le sue luci e le sue ombre sono state intrappolate nelle canzoni di questo album.

Ape regina

Dovrei cominciare a segnarmi come arrivo ad ascoltare certa musica. Sincermente non ricordo come sono arrivato a Logan Brill. Sicuramente per caso ma è altrettanto sicuro che la chioma bionda e gli occhi azzurri di questa cantautrice americana, hanno giocato un ruolo fondamentale. Siamo sinceri, chi non gli concederebbe un ascolto, anche solo per curiosità? Eccomi dunque tra le mani, il secondo album di Logan Brill intitolato Shuteye e pubblicato lo scorso anno. Il suo è un country dal forte accento americano, un po’ commerciale è vero ma non lasciatevi ingannare. Dietro quel bel visino si nasconde una cantautrice abile che con la sua musica arriva dritta, ci da una scossa e se ne va, lasciandoci qualche bel ritornello da canticchiare.

Logan Brill
Logan Brill

Apre la titletrack Shuteye, energico contry rock illuminato dalle chitarre e dalla voce potente della Brill. Un inizio scoppientate che fa presagire un album caricato a molla, “It’s a quick little cat nap here / A little Red Bull in a cup of coffee / And I can keep up the pace / Someday this sugar rush might just kill me / But I’ll go with a smile on my face“. World Still Round è il singolo di punta dell’album e vira su un pop un po’ ruffiano ma piacevole. Logan Brill cuce i testi sulla musica alla perfezione. Tutto scivola via, catturati dal forte accento americano della giovane cantautrice, “I hear you knocking at my door / You don’t have to tell me what you came here for / If you’re gonna leave me, don’t gotta let me down easy / Just let me go“. C’è spazio anche per qualche ballata d’amore con The Woman On Your Mind. La voce della Brill è calda e confidenziale ma non rinuncia alla sua energia consueta. Un’altra bella canzone orecchiabile e sincera, “Like the tattoo on your arm / That you got of someone’s name / Reminding you some things don’t leave / Somethings only fade / You cover it up with a red rose / To hide away the blue / When the light hits it just right / It’s still a part of you“. Un banjo attacca in Don’t Pick It Up e si perde in un contry blues affascinante. Una canzone che trasmette tutto l’entusiasmo di questa ragazza, “Don’t pick it up / There’s no tellin what I’d say / Just let it ring / Yeah just let the voicemail play / Don’t say hello, then I’ll know, that door is closed and window’s shut / Don’t pick it up don’t pick it up don’t pick it up“. Far Cry From You è un pezzo pop rock un po’ malinconico. Logan Brill risponde sempre presente, protagonista della scena ma senza alzare troppo la voce, “Hey, I left a few on your old sweater / I watched them fall on a love sick letter / And I cried a river, cried a mile wide one / I’ve ever cried some crocodile ones“. Con The Bees si torna al country più genuino e sincero. L’atmosfera bucolica e il testo, tutt’altro che banale, ne fanno la migliore dell’album. Da ascoltare, “But I can hear the bees buzzing through the walls / Making their honey and singing their song / They say I work for the queen all day / Yeah, I work for the queen all day / Ooooh, ooooh“. Un po’ di southern rock con Where Rainbows Never Dies. Chitarre squillanti e ritornello accattivante, sono ingredienti che funzionano sempre. Logan Brill evidentemente lo sa bene e io ci casco sempre, “I will make my way / Across the fields of cotton / And wade through the muddy waters / One last time / And in my dreams, I’m comin’ out clean / When I reach the other side / West of where the sun sets / Where the rainbows never die“. Hafway Home è un’altra bella ballata notturna e solitaria. Logan Brill ci mette sempre del suo per arricchire qualcosa di già sentito e ci riesce sempre, merito della sua voce e del suo talento, “Halfway home / You ain’t so sure he’s the one / 4AM and you drive alone / With last nights clothes on / Halfway home / Tell yourself you’re still strong / Wondering what’s so damn wrong / With needing someone“. Tupelo è made in USA. C’è tutto quello che ci si aspetta dal country. Questa ragazza del Tennessee ne sa qualcosa di come si fa e stavolta ha fatto centro. Viene quasi voglia di tornare anche a me a Tupelo, anche se non ci sono mai stato, I’m going back to Tupelo / Headed south on a greyhound fare / Nobody gonna miss me ain’t nothing left for me here / I’ve struck out here in the city / I almost forgot about you / And the fireflies in cotton fields of June“. La fine dell’album è affidata a I Wish You Loved Me, ballata romantica che non brilla certo di originalità ma è comunque un piacere da ascoltare, “And I wish the full moon / Would float into your room / Leave you a sweet dream / Of what used to be / And I wish this whiskey / Didn’t burn like your memory / I wish you loved me / As much as you don’t“.

Shuteye è un album da ascoltare tutto d’un fiato, con la mente sgombra e la voglia di lasciarsi accompagnare dalla voce di Logan Brill. Un album che non richiede impegno, che entra subito in circolo al primo ascolto. Di belle ragazze che fanno country ce ne sono tante ma Logan Brill potrebbe sorprendervi per la sua energia e semplicità. Ora quella curiosità per quella ragazza bionda con gli occhi azzurri si è trasformata in un interesse che devo approfondire con il suo primo album Walking Wires. Quindi se vi va di ascoltare un po’ di buon country al femminile e passare una piacevole mezz’ora questa è l’occasione per farlo.

Bianca poesia

Questo EP è uscito un anno fa ma solo di recente è giunto alle mie orecchie. Ho sempre qualche album che metto in una lista dei desideri ideale e Home di Hattie Whitehead è uno di questi. Non riesco a resistere alla semplicità del folk voce e chitarra e questa cantautrice è una di quelle che si aggiungono alla mia collezione personale. Gli ingredienti sono gli stessi e si ripetono ma c’è sempre qualcosa che mi affascina, come una magia, che non riesco a spiegare. Hattie Whitehead ha questa magia.

Hattie Whitehead
Hattie Whitehead

Apre la titletrack Home, delicata e spensierata con una vena di malinconia. C’è qualcosa della prima Laura Marling nella sua voce e nel modo di cantare e c’è anche il sapore del folk americano. La successiva This Ship è più solitaria e triste. La Whitehead riesce ha incantare lungo tutti i cinque minuti abbondanti del brano senza risultare affatto noiosa. Un piccolo gioiellino incastonato in questo EP. La più bella è però Confused And Untied. Una canzone sincera e luminosa, dove esce fuori tutto l’entusiasmo della sua giovane età. Hattie Whitehead qui da il meglio di sè, dimostrando tutto il suo talento. Sonny è dolce e malinconica con una melodia cucita sulla sua voce. Difficile resistere. Chiude Twenty-Three un’altra canzone folk che ha tutto quello che si chiede. La Whitehead trova sempre la melodia giusta, il lato poetico della musica. Chiude in crescendo così come ha iniziato.

Hattie Whitehead esordisce con un EP di tutto rispetto. Non posso nascondere che in più occasioni ho sentito Laura Marling nella sua musica e questo è bene. La Marling è senza dubbio una buona maestra e questa giovane cantautrice non poteva scegliere di meglio.Sarei curioso di ascoltarla in un album e chissà se questo è l’anno buono. La poesia di questo Home è sincera e spontanea. Un EP che potrebbe essere solo l’inizio di una carriera interessante.

Nessuno sa che mi sono perso

Tina Refsnes è una cantautrice norvegese e lo scorso anno ha pubblicato il suo album d’esordio intitolato No One Knows That You’re Lost. Con colpevole ritardo mi sono dedicato all’ascolto di questo album dopo l’ottima impressione che ho avuto dal singolo I Don’t Know. Tina Refsnes propone un mix tra folk e pop piacevole da ascoltare soprattutto grazie alla sua voce delicata e malinconica. Non ha uno stile particolarmente riconoscibile ma pur trattandosi di un esordio, già si intravedono margini di miglioramento e caratteristiche che possono crescere in futuro. Nell’attesa non resta che assaporare un po’ delle atmosfere nel nord Europa con questa giovane cantautrice e la sua musica.

Tina Refsnes
Tina Refsnes

Si comincia proprio con I Don’t Know, introduzione alle melodie e alla voce della Refsnes. Un pop folk positivo dove destreggiarsi con la voce e trovare un ritmo che sa di primavera. Come di consueto gli artisti scandinavi non disdegnano le sonorità americane è la nostra non fa eccezione. Leave This Heart è malinconica e toccante. Un ritornello leggero e impalpabile, accompagnato da una melodia delicata. La Refsnes dimostra di avere talento nel scrivere canzoni semplici ma altrettanto belle. Upside Down Cloud è di chiara matrice americana e esplora territori più oscuri. La voce della Refsnes è profonda e in grado di disegnare atmosfere più tristi e coinvolgendo l’ascoltatore. The Heart Wants Its Way è una canzone d’amore dallo stampo classico. Tutto funziona come dovrebbe e la Refsnes ne approfitta per mettere in mostra le sue doti vocali. La successiva Put It Way è fresca e dolce. Un ritornello orecchiabile che subito si fa ricordare. Una delle migliori canzoni dell’album, un riuscito mix tra pop e folk genuino e sincero. Alaska è sulla stessa lunghezza d’onda ma questa volta c’è un sentimento di nostalgia e separazione più forte. Un prova maiuscola per Tina Refsnes, segno di un talento cristallino. Spoilt Rotten Blues è sorpresa dell’album. Una canzone vibrante e viva, dove la voce ha il ruolo di costruire una melodia irresistibile. Con questa, Tina Refsnes fa centro, convincendoci di tutto il suo talento. Un po’ di americana con Told. Una canzone confortante e sincera, che scaccia pensieri e pesanti con una ventata di semplicità e leggerezza. Tra le migliori dell’album non si può escludere City City. Chitarra e voce si fondono insieme per creare un’atmosfere notturna e affascinante. Un piccolo gioiello. A Million Things è più pop e orecchiabile. Non si può fare meno di canticchiare il ritornello e se, come me, non sapete cantare come lei, potrete sempre farlo sommessamente. Chiude Song About Trust nella quale ritroviamo tutte le caratteristiche dell’album. Un’altra canzone melodiosa e affascinante, perfetta per salutarsi.

Tina Refsnes e il suo No One Knows That You’re Lost ci regalano momenti di poesia che hanno la capacita di scacciare i pensieri e condurci in luoghi sicuri e famigliari. Questo è il potere della musica cantautorale e questa giovane norvegese non fa eccezione. C’è tutto ciò che serve per sperare in un futuro in crescendo per quest’artista che dimostra di avere le idee chiare. Un album che supera di poco la mezz’ora è sintomo che Tina Refsnes non ha bisogno di dilungarsi troppo per farsi capire. La sua musica è semplice e spesso essenziale ma in grado di solleticare le corde giuste dentro di noi. Non tutti ci riescono ma Tina Refsnes è una di queste. Un album piacevole da ascoltare in qualsiasi momento.